Michele Mezza, il contagio-algoritmo e le idi di marzo da scongiurare

Insieme di lettere e numeri con caratteri bianchi che definiscono un algoritmo, su sfondo nero.

In epoca di digitale ci si è abituati all’algoritmo. In quelli della pandemia al contagio. Michele Mezza, giornalista di lungo corso, saggista, docente di New Marketing e New Media all’Università Federico II di Napoli, mette insieme le due parole nel titolo del suo ultimo lavoro Il contagio dell’algoritmo. Le idi di marzo della pandemia, Donzelli Editore, collana Rosso e Nero.

Mezza è un comunicatore, il suo saggio non tratta di medicina o di matematica ma informa di alcuni pericoli che, a partire dall’attuale pandemia, si possono generare nella produzione e nella raccolta dei dati digitali.

Come messo in luce nella prefazione di Enrica Amaturo, Mezza osserva che la pandemia ha posto nella stessa condizione milioni di persone, con un medesimo linguaggio, medesime prospettive, nello stesso istante. In quest’ottica un solo fenomeno, la rete digitale, presenta simili caratteristiche. Milioni di dati, informazioni, che circolano all’interno di un territorio apparentemente neutro e gratuito, una galassia di interazioni fra soggetti rese possibili in condizioni di assenza di contatto fisico e reso necessario dalla paura del contagio.

Il contagio e la rete: Mezza stabilisce un parallelo fra l’uno e l’altra sul terreno della pervasività, della logica e della struttura, ne definisce gli elementi e poi li sovrappone. Il contagio si muove come in fisica si diffondono le particelle. Nello stesso modo si propagano le relazioni fra i contatti nella rete. Laddove la rete è stata più forte, maggiore è stato il contagio. E Mezza mette efficacemente a fuoco le evidenti congruenze tra il tessuto economico, il suo dinamismo, la potenza della rete e l’espansione del virus.

La proprietà delle informazioni

Ma l’autore va oltre: oltre ad affrontare la questione generale del rapporto fra rete e diffusione del virus, ci mette in guardia contro i pericoli insiti in questa relazione. La stessa legge che garantisce sopravvivenza e moltiplicazione al virus, unita alle restrizioni che ovunque nel mondo sono state poste agli spostamenti fisici delle persone, permette alle informazioni in rete di circolare e ampliarsi in termini numerici. 

Piatto di copertina del saggio di Michele Mezza, Il contagio dell'algoritmo, Donzelli Editore. Su fondo rosso una mascherina con un codice digitale

Chiunque, confinato nella propria abitazione, utilizzi un proprio profilo su un social media potrà fornire informazioni circa la sua situazione in rapporto alla pandemia, al solo scopo di comunicare con l’esterno. Si tratterà di un gran numero di informazioni veicolato, gestito, nonché posseduto (proprietà), relativo a soggetti privati.

Anche nel saggio di Andrea Crisanti, dell’Università di Padova, viene enfatizzato l’inevitabile riferimento ai “giganti del web”. Approfondito il tema dell’incidenza e delle dinamiche del valore Rt, lo scienziato fa presente che “per esempio, si potrebbero utilizzare i dati in possesso di Google per individuare alla frontiera ogni singola persona che rientra in Italia dopo un soggiorno in aree a rischio e quindi sottoporla a test diagnostico o invitarla a rimanere in isolamento”. Informazioni utili al sistema sanitario e all’organizzazione sociale e “di grande valore per i ricercatori allo scopo di validare ipotesi e prevedere l’evoluzione dell’epidemia”.

L’uso delle informazioni

Ma non c’è dubbio che, in assenza di una comune globale regolamentazione, queste informazioni potranno essere assemblate e utilizzate dai soggetti proprietari, a loro piacimento. Dunque, passare dalla raccolta dei big data, provenienti dai nostri abituali comportamenti, alla creazione di algoritmi predittivi in grado di influenzare e orientare le scelte future non è cosa difficile. Dunque, tutto nelle mani di pochi soggetti che, anche in momenti di crollo dei valori economici aziendali, hanno visto crescere i profitti e la capitalizzazione delle loro imprese.

Soggetti economici potentissimi, che possono influenzare le scelte, orientare le decisioni, predire le opzioni che riguardano miliardi di persone. Soggetti che detengono la proprietà di beni immateriali preziosissimi: le informazioni che noi stessi immettiamo nella rete. Queste sono, per tali soggetti, la materia prima, la risorsa inesauribile del loro immateriale processo produttivo. E non c’è dubbio che le ricadute economiche materiali riguardano tutti.

La condivisione dei dati

Da professore di New Marketing e New Media, l’autore sottolinea che non ci rimane che la condivisione dei dati digitali. A questo scopo egli identifica alcuni soggetti adatti a negoziare, con i colossi che detengono i big data, il trasferimento dei dati sensibili: università, città metropolitane, categorie professionali.

Sembra imprescindibile mettere in campo un’efficace educazione al digitale che consenta di coglierne le opportunità e conoscerne le insidie. Solo con la conoscenza, pur con le connesse difficoltà e conflittualità interne, si potrà controllare l’eterogenesi dei valori insita nella rivoluzione digitale. Anche per evitare che le “idi di marzo” del secolo ventunesimo non siano da ricordare per il passaggio a un potere non democratico.

 

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