Lukasz Twarkowski, artista visivo
Uno dei più interessanti registi europei arriva dalla Polonia. Lukasz Twarkowski, giovane artista visivo (1983), è creatore di lavori multimediali di alto valore. Le sue opere non sono solo teatrali o solo performance, ma contengono un mix di linguaggi diversi ciascuno espresso mediante canoni propri. Il risultato è estremamente espressivo per via che il regista è in grado di mescolare i vari linguaggi senza condizioni di prevaricazione.
Twarkowski caratterizza i suoi lavori per la loro durata (per Respublika si contano sei ore di live performance, divise fra luoghi aperti e chiusi, all’interno dello stesso sconfinato spazio). Con Rohtko, che il Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa ha presentato nell’ambito della seconda edizione del Festival Presente Indicativo – Milano Porta Europa, si scende a circa tre ore e mezza di visione.
Lo spazio, luogo dell’azione decostruita
La natura di artista visivo conduce il giovane polacco a immaginare lo spazio come il luogo dove l’azione si frammenta al suo interno. Lo spettatore può vederla in tutto, in parte o per niente poiché l’impianto scenografico gli può impedire la visione dell’azione scenica. Twarkowski mette in gioco un grande schermo. Questo, oltre a fungere da strumento linguistico, diventa supporto fruitivo per il pubblico.
L’utilizzo del video (in Rohtko ce ne sono diversi, mobili e spostati quando necessario) fa sì che il rapporto spazio/tempo subisca sostanziali alterazioni. Infatti, l’elemento reale (l’azione in scena) è ingigantito dal grande video sul quale è proiettato in diretta e diventa iper-reale o magari realtà aumentata. A causa della videoripresa lo spazio si modifica. Lo spettatore si trova di fronte al reale che vuole dargli il regista. Si tratta di realtà basata su soggettive di angolazioni strette che di fatto alterano il dato reale e lo restituiscono diverso, forse più bello.
Il pubblico è posto nella condizione di scegliere fra la realtà (“vera”) che si svolge sul palcoscenico e la realtà (proiettata) sul grande monitor in alto sopra la prima. Tale scelta ha conseguenze sulla fruizione perché pone la questione, non senza conseguenze, della percezione relativa alla visione teatrale (verso il palco) o cinematografica (verso lo schermo posto in alto). Ciò può avvenire soprattutto da parte di un pubblico non abituato al mix di stili e linguaggi. Rohtko deve essere “letto” nella sua totalità, nel coacervo estetico perfettamente armonico e spesso spiazzante.
Una multi-realtà che offre diversi piani di godimento dell’opera
Per Lukasz Twarkowski, cultore di Kantor, è sempre realtà ciò a cui si assiste, una multi-realtà che offre diversi piani di godimento dell’opera, anche se concorrenti. L’importante è che tutti i sensi ne siano coinvolti. E poiché dalla vista a tutti gli altri sensi il passo è breve, non si sperimentano differenze percettive ed emozionali.
Il caso del monumentale lavoro del polacco è esemplificativo di un teatro che richiede palcoscenici molto ampi e profondi. Spesso si tratta di istituzioni teatrali che possono contare su un gran numero di tecnici preparatissimi.
Il termine “monumentale” è ben adatto al lavoro del polacco: la scena è occupata da enormi cubi dentro i quali si svolgono le varie azioni. Ruotano, quando è necessario un cambiamento di scena. Per Rohtko il regista ha scelto l’interno di un ristorante cinese e di un bar, sfruttando le di finestre e le porte di entrata e uscita, le piante e le tende. Verso la fine del lavoro compare anche un letto matrimoniale nel quale giace una donna, Mel, la moglie di Mark Rothko.
Un lavoro costruito su un fatto di cronaca
La storia dalla quale Lukasz Twarkowski attinge per la costruzione del lavoro è un fatto di cronaca: la vendita di un dipinto di Mark Rothko a 8,3 milioni di dollari da parte di un noto gallerista americano ad una coppia di collezionisti italiani. L’opera si è rivelata un falso, ma solo anni dopo. Intorno alla vita difficile e tormentata dell’artista nato a Daugavlpils, nell’attuale Lettonia, poi naturalizzato americano, si snodano le storie della galleria di New York, della sua direttrice Ann Friedmann, personaggio attorno al quale ruota la vicenda.
I temi affrontati introducono alle grandi questioni: cosa sia l’arte, chi debba determinare il valore e il prezzo di un’opera, quale ruolo debbano avere gli artisti. E, partendo dall’inquietudine di Mark Rothko e dal suo convinto rifiuto per la mercificazione della propria arte, Lukasz Twarkowski giunge a mettere in discussione anche gli NFT. Questi ultimi sarebbero falsi o nuovi prodotti artistici?
La distinzione fra falso e autentico per il polacco passa attraverso il testo di Byung-Chul Han, filosofo sudcoreano sessantacinquenne che vive a Berlino. Egli, con parole semplici e testi brevi, non vede differenze tra falsi e autentici, considerando i primi come nuovi originali.
Lo Shanzhai di Byung-Chul Han affascina Lukasz Twarkowski
Lukasz Twarkowski è affascinato dallo Shanzhai di Han, che si avvicina al concetto di imitazione. Quest’ultima, intesa come decostruzione dell’originale, può dare luogo a un risultato non peggiore dell’originale. Per questo motivo il falso Rothko Intitled 1956 sarebbe un nuovo originale.
In primo piano sempre e comunque l’immagine
Se l’obiettivo di Lukasz Twarkowski era – anche – stupire, possiamo dire che vi è riuscito. La complessità di questo lavoro ha fatto sì che la drammaturgia a volte passasse in secondo piano, in avanscoperta sempre l’immagine. Ottima performance di buona parte degli attori. Una menzione speciale va agli operatori che con il loro lavoro attento e continuo (video maker e tecnici impegnati nello spostamento delle scene) hanno avuto un ruolo importante nella messa in scena.
Rohtko è un ottimo lavoro metateatrale, un’importante produzione con un impianto scenico complesso. Ciò è perfettamente coerente con l’intera opera di Twarkowski che sembra voler superare in modo creativo i limiti del palcoscenico. Il regista ripresenterà il suo lavoro ibrido Respublika al Terra Vibe Park di Malakasa dal 13 al 15 giugno prossimi.
Rohtko
di Anka Herbut
regia Łukasz Twarkowski
con Juris Bartkevičs, Kaspars Dumburs, Toms Veličko, Ērika Eglija-Grāvele, Yan Huang, Andrzej Jakubczyk, Rēzija Kalniņa, Katarzyna Osipuk, Artūrs Skrastiņš, Mārtiņš Upenieks, Vita Vārpiņa, Xiaochen Wang
scene Fabien Lédé
costumi Svenja Gassen
musica Lubomir Grzelak
video Jakub Lech
luci Eugenijus Sabaliauskas
coreografie Pawel Sakowicz
produzione Dailes Theatre
in coproduzione con JK Opole Theatre e Adam Mickiewicz Institute
e il cofinanziamento del Ministero della Cultura e del Patrimonio Nazionale della Repubblica di Polonia