Il testo di Margareth Atwood, un caso letterario
Nel 1985 la scrittrice, poeta e critico Margaret Atwood (Ottawa 1939), pubblica negli Usa, “The handmaid’s tale” (Il racconto dell’ancella) che in breve tempo diventa un caso letterario in tutto il mondo occidentale. Recentemente è stato ripreso e portato in tv e in teatro. D’altra parte, i temi sono scottanti e sempre attuali. Quel lavoro anche oggi ci spinge a chiederci: cosa accadrebbe se il genere femminile fosse privato di ogni libertà, le donne venissero catalogate in funzione della capacità riproduttiva e si instaurasse un regime teocratico illiberale?
Margareth Atwood offre proprio uno scenario possibile per questi interrogativi, uno scenario terribile, una catastrofe sociale e politica mondiale. Una sintesi. Difred, donna prima libera e poi sottomessa nella casa del Comandante Fred, è la narratrice fredda della propria e di migliaia di vite interrotte. Sono le vite delle donne costrette ad assumere il ruolo di mere riproduttrici nelle case dei Comandanti, di coloro hanno preso il potere a seguito di un colpo di Stato.
In un futuro lontano, il nuovo stato teocratico pratica la repressione a carico delle donne, le obbliga alla sottomissione, le espelle nei progrom o le elimina fisicamente se scappano. Il cuore del testo è intensamente fantasioso, ma guardando al passato e alla Genesi neppure poi tanto.
Dal romanzo al teatro
Dunque, il teatro. A mettere in scena quel racconto ci ha pensato Viola Graziosi, con la direzione di Graziano Piazza. Un adattamento teatrale a Milano, per il Teatro Franco Parenti, che si ispira liberamente ai momenti cruciali del testo originale.
Molta parte del testo della Atwood non trova spazio nell’adattamento teatrale. Della protagonista, che prende il nome di Difred (da Fred il Comandante presso la cui casa è ancella) non sono raccontati i suoi rapporti con il Comandante e la storia con Nick – un “Occhio” controllore all’interno della casa. La scelta di Viola Graziosi riesce comunque a fornire un quadro preciso della narrazione atwoodiana.
L’adattamento del testo è fedele. I fatti, nonostante siano costruiti in modo diverso, generano una architettura temporale nuova e fluida del racconto. Pur concentrandosi esclusivamente sulla figura e sul circuito emotivo di Difred, il duo Graziosi/Piazza esalta con la necessaria enfasi i caratteri della donna. Su palco c’è solo il necessario: il corpo e la voce dell’ancella, la violenza psicologica e fisica da lei subita, il colore forte del suo abito monacale – ma rosso come la passione che dovrebbe muovere a fini di procreazione nel suo padrone – il buio della sua anima spogliata.
Viola Graziosi è un deserto fiorito di passioni morte, di memorie che volgono lo sguardo alla speranza futura, di copule asciutte che non la salveranno dall’inferno. La bravissima attrice penetra nell’oscurità delle sopraffazioni descritte dalla Atwood con un’intensa interpretazione che troppo spesso involve sino a diventare profondo dolore. Un dolore che quasi non riesce a farsi suono attraverso la voce della Graziosi, spesso troppo fioca, a voler persino rappresentare il plastico annullamento della persona.
Certo, dal vivo tutto cambia. Nonostante si debba ringraziare Livia Pomodoro per l’opportunità data al pubblico, chiuso in casa durante la pandemia, di assistere allo spettacolo in streaming, successivamente, dopo la pandemia, dal vivo, al teatro Franco Parenti, l’esito è un’altra storia.
Una scena nera, luci soffuse, pochi arredi, movimenti scenici ridotti all’osso, solo quelli necessari a dipingere la prigionia e l’abuso sessuale. Regia e interpretazione asciutte, fredde, essenziali. Forse un adattamento molto più libero e coraggioso avrebbe conferito maggiore peso al lavoro che, comunque, merita l’ora e mezza a teatro.