Lev Abramovič Dodin nasce a Novokuzneck, in Siberia. Casualità, ma il giorno e il mese della sua nascita coincidono con quelli della fondazione del Piccolo Teatro di Milano. Il 14 maggio. Dico questo perché è proprio al Piccolo Teatro che in molti hanno assistito agli straordinari lavori di Dodin, recitati in lingua originale.
In quella data dunque nascono un teatro importante e un regista importante.
Da ragazzo Lev, con la sua famiglia, si trasferisce a Leningrado, dove frequenta un corso di teatro per ragazzi. Da qui in avanti la sua sorte è segnata. Si diploma in regia all’Istituto Teatrale di Leningrado – dove poi diventa docente – con maestri del calibro di Boris Vul’fovič Zon (1898-1966), allievo di Stanislavskij. Da Zon apprende, più che il cuore del metodo (dare vita ad attori realistici attraverso una sorta di trasferimento psicologico dal personaggio all’interprete), un’attitudine. Quella del teatro – e degli interpreti – di mostrare le infinite risorse che la vita offre e l’estrema mutevolezza dell’esistenza.
Il successo nella sua URSS arriva nel 1974, quando dirige per la prima volta la compagnia del Malyj Dramatičeskij Teatr di San Pietroburgo in un allestimento de Il ladro di K. Čapek. Sono le scenografie e i linguaggi adoperati, moderni e inusuali per il tempo e il luogo, a mettere in risalto la personalità di Dodin. Poi, nel 1980, l’allestimento de La casa, dello scrittore russo Fëdor Aleksandrovič Abramov (morto il 14 maggio 1983, una data che ritorna) gli procura il successo anche all’estero. Il suo occhio creativo si pone in aperta critica alla censura del regime sovietico circa le condizioni reali delle popolazioni rurali russe. Da ora in poi i suoi spettacoli sono oggetto di attenzione del censore russo.
Nel 1983 Lev Dodin diventa direttore principale del Malyj Dramatičeskij Teatr e nel 2002 passa alla direzione artistica, portando in giro per il mondo allestimenti dei capisaldi della letteratura russa, come I demoni, rappresentazione elaborata dal romanzo di Fëdor Dostoevskij. Oltre a Il giardino dei ciliegi, Commedia senza titolo (Platonov) e Il gabbiano, opere di Anton Čechov. Indimenticabili i capolavori Gaudeamus, da un testo di Sergej Kaledin, oggetto di premi come quello della critica del Teatro e Cinema Francese nel 1992, del Teatro Regionale Inglese, l’italiano UBU e il premio nazionale dell’URSS nel 1993. Altrettanto straordinario, riteniamo, la messa in scena di Vita e Destino, testo di Vasilij Grossman, ebreo sovietico, scrittore e giornalista.
Lev Dodin in molti anni di attività ha consegnato al pubblico uno spaccato realistico e devastante della storia del suo Paese. Dal declino delle ottocentesche aristocrazie protette e nullafacenti, alla distruzione del terreno sociale e culturale della Russia contadina e povera, affamata, ignorante per mano della crudele disciplina totalitaria. E si arriva alle alle opere più immaginifiche e dichiaratamente “politiche” come Gaudeamus.
Dodin non sa tacere neppure adesso, dopo la dissoluzione del regime, dalle cui rovine sgorgano le nostalgie imperialistiche. Ed ecco, ora, la sua lettera aperta a Putin, pubblicata il 28 febbraio 2022 sulla rivista russa Teatr e ripresa dal quotidiano francese Libération il 2 marzo 2022. In questo messaggio egli parla parla da russo a russo: “Ti scongiuro! Fermati.”
Qui di seguito la nostra traduzione.
La misericordia, la compassione, l’empatia non sottostanno alla volontà degli stati e dei politici. È impossibile dettare agli uomini quando e di chi devono avere paura, quando e di chi devono avere pietà. Nessuno Stato, per il momento, ha imparato a controllare i sentimenti degli uomini. La missione dell’arte e della cultura è sempre stata ed è sempre, soprattutto dopo tutti gli orrori del XX secolo, insegnare agli uomini a prendere come propria la disgrazia dell’altro, a capire che non c’è una sola idea, per quanto grande e bella, che valga una vita umana. Già oggi possiamo dire: ancora una volta la cultura e l’arte non sono riuscite a compiere la loro missione.
Ho 77 anni, non è difficile per me immaginare cosa accadrà dopo ovunque, ovunque: la divisione in giusti e non giusti, la ricerca di nemici interni, la ricerca di nemici esterni, tentativi di prendere il passato a modello, di accogliere il presente, di riscrivere il futuro. Tutto questo è già successo nel XX secolo.
In questi giorni che viviamo, siamo arrivati nel futuro. È in questi giorni che è cominciato il XXI secolo. Insieme, abbiamo realizzato questo secolo ed è arrivato così com’è. Il XXI secolo si è rivelato più orribile del XX. Cosa ci resta da fare? Pregare? Pentirsi? Speranza, supplica, domanda, protesta, fede? Presumibilmente, tutto ciò che non abbiamo fatto finora: amare l’altro, perdonarlo come noi perdoniamo noi stessi, non credere al Male e non confondere il Male per Bene.
Ho 77 anni, ho perso molte persone che ho amato nella mia vita. Oggi, quando sopra le nostre teste, al posto delle colombe della pace, volano i missili dell’odio e della morte, posso dire solo una cosa: “Ferma!” L’organismo dell’umanità non può essere curato con interventi chirurgici. Qualsiasi operazione di interferenza fa defluire il sangue della persona operata e contamina la persona operante con un’infezione incurabile. Ferma questa interferenza chirurgica, metti dei lacci emostatici sulle ferite. Raggiungiamo l’impossibile: realizzare il XXI secolo che abbiamo potuto sognare e non quello che stiamo per fare. Sto facendo l’unica cosa che posso: ti prego, fermati! Fermati.
TI SCONGIURO.
Dopo la pandemia, con i vivi che piangono ancora i loro morti, Dodin grida che quei morti del XXI secolo sono già abbastanza. Il nemico invisibile, il virus, ha già dato tanta sofferenza. Basta morte e disperazione.
La bellezza salverà il mondo, l’arte aiuterà a introiettare i sentimenti umani: obiettivi lontani.
Non c’è molto da fare per l’uomo Lev Dodin, che ha visto tante brutture nella propria vita, se non appellarsi ad orecchie attente alle suppliche. Possibilmente ricettive, quelle di Vladimir Putin.
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