Emergenze Permanenti/ San Pietroburgo, una ragnatela metafisica di ponti – Паутина 300 мостов Северной Венеции

San Pietroburgo
San Pietroburgo

San Pietroburgo, una ragnatela metafisica di ponti

“La ragione di una così improvvisa esplosione di vigore creativo fu, ancora una volta, prevalentemente geografica” secondo J. Brodskij.

L’avvento di San Pietroburgo fu paragonabile alla scoperta del Nuovo Mondo. La contemplazione della grandezza è la calce delle sue fondamenta. La città è una rêverie, è un evento dell’altrove. Quando tale altrove è naturale, quando non si trova collegato al preciso passato storico, esso è immenso. L’immensità si potrebbe definire come una categoria filosofica di questa città. Così la nazione poteva essere vista da fuori da un alto geografico tale da rendere alienante il raggio di visione. 

Quell’in alto, quel luogo dell’Utopia che è Pietroburgo era lo spazio dell’estraniazione. Dispensava gli uomini della cultura russa dall’idea del viaggio. Mentre si avverava, nel tempo, la profezia di Puskin: “Tutte le bandiere verranno ospiti a noi!”. E la città “nuova in un paese vecchio” diventava “più originale di tutte le città americane”, dunque una “nuova speranza” esclamava Belinskij. Dunque, un ordine migliore.

L’architettura sociale di San Pietroburgo

L’architettura viene così ad assumere una rilevanza anche sociale. La proporzione è una virtù. Concepita sotto il segno della nordica grecità, la città nutre un’acuta coscienza della forma incurante della proporzione. Monumento, o piuttosto un sarcofago per uno zar che aveva così forte l’idea d’eternità e d’immenso da immaginare la sua città indistruttibile: può solamente dissolversi, mentre l’aria non può essere più di vetro ma di porcellana. Visto che è l’Asia che da qui Pietro il Grande, l’europeo per principio, volle dominare, dal “limite del suo immenso regno, paragonabile a un capitano che collochi il ponte di comando sulla prua della sua nave” (J. Roth).

La città dei ponti

Città-ponte di comando è anche una metafisica ragnatela: “città dei ponti”. L’immaginario architettonico in cerca di una metafora: Venezia del nord, Palmira del nord, Babilonia delle nevi. O piuttosto delle paludi sulle quali sorge la realtà, meno straordinaria dell’immaginario: volontà implacabile di un uomo, maestria di centinaia di architetti e di artigiani stranieri e fatica di uomini e schiavi russi, futuri pontieri, con il loro lucido culto dello spirito. Lo spirito di un’Idea. Con la orientale qualità di contemplazione della grandezza. Si sa, l’immensità è il moto dell’essere immobile. Pietroburgo così già al nascere è rudere del passato e del futuro.

L’archeologia della polvere conferisce alla città notturna la luce morbida e profonda dell’argento, grande scenario, quello dell’immenso, sul quale si apre la vicenda dei ponti. Ragnatela che sa produrre e percepire l’eco, e le notti bianche, pregiate e lucenti, le nebbie, nobili araldiche nebbie della memoria.

L’acqua gelida si snoda silenziosa e veloce dal lago Ladoga, oltrepassa fortezze e palazzi, e incanalandosi tra quarantadue isole (in tutto seicento tra fiumi e canali) si getta con forza nel golfo di Finlandia. Le onde di questa invasione si possono ancora notare molte miglia al largo.

La violenza della corrente, il perdurare di ghiacci e i non meno violenti disgeli rendono difficile la progettazione dei ponti ai tempi di Pietro. Tuttavia non erano queste le ragioni per cui non si costruivano. Lo zar voleva che i suoi sudditi imparassero a navigare: in autunno e in primavera, periodi del formarsi e dello sciogliersi del ghiaccio, gli abitanti delle isole sulla Neva erano praticamente tagliati fuori dal resto della Russia.

Le Blond a San Pietroburgo

Tuttavia dai tempi di Trezzini, il primo architetto e sovrintendente di una città che conta 34.500 edifici nel 1714, dell’architetto-ingegnere Schluter, e di Le Blond che stese nel 1716 il piano regolatore della città, il paesaggio essenzialmente orizzontale di Pietroburgo, senza dintorni, senza passaggi metropolitani o ferroviari, conta circa trecento ponti. Colpa di Le Blond. Firmò nell’aprile del 1716 un contratto senza precedenti: sarebbe stato in Russia in qualità di architetto sovrintendente per cinque anni con un salario minimo garantito di 5.000 rubli l’anno. Dimora, permesso di andarsene a fine contratto, e tutto senza alcuna tassa. Doveva progettare e insegnare a farlo ai russi. Aveva 37 anni.

Il suo piano regolatore doveva essere attuato a tempo indefinito. Intuiva il concetto di russità. Volle una città solcata da numerosi canali sul modello di Amsterdam. Appunto, città dei ponti. Un’enorme scacchiera acquatica. In mezzo, quattro chilometri di Prospettiva Nevskij, tra l’Ammiragliato e il monastero di Aleksandr Nevskij, il viale lastricato da squadre di prigionieri svedesi (che avevano anche il compito di ripulirlo ogni sabato): la via più famosa di tutte le Russie.

Tra il viale e i ponti, l’essenza del paesaggio e la penetrazione dello spazio. Alla base di questo sta l’equilibrio tra elementi orizzontali e verticali del disegno in una prospettiva essenzialmente orizzontale. E non solo l’equilibrio. Sul terreno fertile dell’eredità classica, il costruttivismo nordico e lo spiritualismo decorativo orientale sembrano smorzare le rispettive asprezze in una sintesi piena di equilibrio armonioso, ma anche di grandezza. Trascende il principio del form follows function. Qui in ogni sorta di epoca prevale sul funzionale il moderno, cioè dell’epoca l’incalzante spirito nuovo.

E i ponti si inarcano, come se le isole del delta tendessero le mani e si lasciassero andare adagio alla deriva, verso il Baltico. E allo spezzarsi degli archi, le grandi navi entrano, penetrando nuovi spazi e creando nuovi ponti, quelli del commercio che è la vita. Come i grattacieli di New York, quei ponti fanno parte in scala gigante, dei complessi architettonici del funambolo europeismo.

Il ponte Isakievskij

Il primo – in legno – è del 1706, tre anni dopo la fondazione della città. Nel 1749 altri 49 ponti in legno sfrecciano sui canali sostituendosi ai ponti naturali di neve e di ghiaccio. Il ponte Isakievskij era già un ponte galleggiante. E dal 1779 si costruiva anche in inverno, sui canali ritagliati nel ghiaccio. Erano ponti-miraggio: durante il ledochod (moto del ghiaccio nel disgelo dei fiumi), tutti questi ponti si smontavano. Nel 1820 le teste del ponte Isakievskij sono già in pietra. Si vedono ancora oggi, rivestite di solenne granito come il resto della Neva. Non c’è più il ponte. Nel 1916 fu bruciato da una scintilla nel passaggio di una nave. Non ci sono più i ponti galleggianti, ma quelli di legno si trovano ancora vicino alla fortezza Petropavlovskaja, sull’isola Kirovskij e sul canale Obvodnyj.

Dalla metà dell’Ottocento, appunto, la Neva si veste di granito. Nascono i primi ponti di pietra. Segnano, in pietra, il passaggio dall’esuberante barocco del nord al severo classicismo. Gli autori sono sconosciuti. La nobile semplicità si ammorbidisce ancora con qualche fugace nota del barocco. Si sa, in Russia i tempi non sono affatto lenti: sono diversi. Ed ecco il paesaggio inedito della città trafitta dall’ago dell’Ammiragliato: la geometria delle prospettive è ideale per cancellare le cose per sempre.

Questo paesaggio architettonico, che fu safari creativo per artisti e costruttori italiani, francesi e tedeschi assume il suo aspetto imperiale anche col moltiplicarsi dei fregi dell’arredo urbano. Lesene, colonnati, portici, varietà e meraviglie rasentano l’oscenità. Cancellate rendono ponti e parchi luoghi circoscritti da eccezionali quinte in ferro, forma condensata del tempo. E in mezzo a questo narcisismo urbano nella mitica luce bianca della notte e obliqua dei lampioni, un viandante che attraversi il ponte capisce finalmente cosa intendevano i costruttori nell’inarcare queste passerelle, queste trasversali: un gigantesco specchio per un pianeta solitario. Il ritmo solenne e monotono dei colonnati, piloni, lampioni si confonde con quello delle acque a specchio: lì tremolano le fronde metafisiche del Giardino d’estate che come corona del ragno si trova nel centro della pontuosa ragnatela.

La popolazione che era zero nel 1700, aveva raggiunto il milione e mezzo nel 1900. Spesso la Russia comprime i secoli in decenni. Il tempo qui ha una dimensione mitica perché il mito è quello della creazione. I ragazzi di Pietroburgo vedendo un rimorchiatore lottare contro la corrente del Baltico mentre i ponti issati rallentano la presa della mandibola d’acciaio imparano, come diceva J. Brodskij, più cose sull’infinito e sullo stoicismo che dalla matematica e da Zanone.

Tuttavia matematica, scienza delle costruzioni, urbanistica, economia, cioè l’Accademia, non furono mai messe da parte.

Il problema della tipizzazione fu intenso qui già nel Settecento non solo in termini economici ma nei termini dello specifico architettonico, conferendo unità compositiva e severità di ordine a fiumi e canali.

I ponti fratelli

Di questa prima costruzione in serie, appunto, si sono conservati, tra i più interessanti, i ponti Staro-Kalinskij e Lomonosov, le cui torri di granito conservano la storia dei così detti ponti fratelli.  Nei primi dell’Ottocento arriva il materiale nuovo: il metallo. Il primo ponte di ghisa, Policejskij, è del 1806, opera dell’architetto Geste, su idea dell’ingegner Fulton. Nuovi materiali, nuove forme. Cinque volte più robusta del granito, la ghisa permette proporzioni aeree. Tra il 1820 e il ’30 Basen, Adam, Freter, ingegneri dell’Istituto Politecnico dei Trasporti creano dei nuovi complessi di ponti di perfezione orafa. Nel 1823 il primo ponte sospeso della Russia unisce le rive della Fontanka.

Il primo ponte metallico sulla Neva (1843-1850), il Nikolaevskij, è opera dell’ingegner Kerbedz e dell’architetto Brullov. Fu issato, nel ’17, contro la rivoluzione. Ma l’incrociatore Aurora sparò a salve da dietro il ponte, e la città divenne Leningrado. Il manufatto (oggi ponte Schmidt) diventò uno dei più grandi ponti saldati nel mondo negli anni Trenta. E’ epoca di ricostruzione. Il ponte in ferro Litejnyj, di Struve (1875-1879), subì negli anni Sessanta un remake neotecnologico: l’immensa campata dell’ala issata è una straordinaria visione. Lunga 55 metri, larga 34, pesa 3.225 tonnellate. Sollevata, si mette in verticale in due minuti.

E’ difficile elencare le centinaia di ponti nuovi in acciaio, alluminio, calcestruzzo, realizzati con nuovi metodi di montaggio. Simile destino ebbe il ponte d’acciaio Troickij (1897-1903), compagnia costruttrice la francese Batignolles, con ingegneri e architetti russi. La solenne inaugurazione avvenne nel 1903 per i festeggiamenti dei 200 ani di Pietroburgo. Ribattezzato Kirov nel 1934, fu in parte rimodernato tenendo conto dei passaggi delle navi moderne e dell’apertura di una nuova via fluviale tra il Volga e il Baltico.

Schiere di architetti, di ingegneri, di urbanisti continuano a costruire, ricostruire, a ingrandire: sempre più luci, sempre più arcate, sempre più potenti le ali, sempre più forti i muscoli levatori.

Ma la fisionomia essenziale della città è pressoché intatta. E i cinque milioni di abitanti non creano ressa. Un pietroburghese è sempre solo quando da un ponte cerca, riflesso nell’acqua, l’ago d’oro della guglia dell’Ammiragliato rimandato come un’eco delle nuvole.

 


Nаутина 300 мостов Северной Венеции

Согласно И. Бродскому «Причина столь неожиданного взрыва творческой энергии была, повторим еще раз, преимущественно географической»

Возникновение Санкт-Петербурга сопоставимо с открытием Нового Света. Созерцание величества  цемент фундамента его набережных. Город представляет собой rêverie  поэтическое видение в процессе сновидения, событие того далёко, которое у Пушкина звучит  далече. Когда такое далёко существует естественно, когда оно не связано с определенным историческим прошлым, суть его  необъятность. Необъятность можно определить как главное философическое измерение этого города. Таким образом, нация видится тут вне географических координат, с некоего географического Alto (высота) до полного отчуждения визуального ракурса. 

В этой высокой точке географического далёко обитает Утопия, что суть Петербург, пространство «вне» и «над», логово отчуждения. Оно, это пространство, освобождало людей культуры русской от идеи путешествия. Так во времени исполнялось пророчество Пушкина: «Все флаги в гости будут к нам». «Новый город в старой стране» становится «оригинальнее любого американского города», откуда и «новая надежда», восклицал Белинский. Надежда на некий лучший порядок.

Архитектура обретала, таким образом, особую социальную значимость. Пропорции стали добродетелью. Задуманный под знаком северного эллинизма, город приобретает острое чувство формы. Монумент, или скорее саркофаг для Царя, который так четко владел идеей вечности и необъятности, что воображал свой город неподвластным разрушению: город может только исчезнуть, а воздух  даже не стекло  фарфор. Ведь над Азией он, царь Петр, европеец по духу, хотел властвовать «до самых пределов своего необъятного царства, как капитан, который разместил свой капитанский мостик в самом носу корабля».

Связать несвязуемое

Город  капитанский мостик  метафизическая паутина, город мостов. Архитектурная фантазия ищет метафору: Северная Венеция, Северная Пальмира, Снежный Вавилон. Скорее на ум приходят болота, из которых возник мир, не столько поражающий, сколько воображаемый: неумолимая воля одного человека, мастерство сотен иностранных архитекторов и инженеров, запредельные усилия русских крепостных  строителей мостов. Мостов, пронизанных единым порывом культа идеи. Идеи духа. С восточным качеством созерцания величия. Необъятность, впрочем, склоняет к неподвижности. Петербург при рождении  уже руины. Прошлого и будущего.

Археология праха окутывает ночной город мягким, но густым светом серебра. Грандиозный сценарий, необъятности которого вторят ритмы чередующихся мостов. Паутина, порождающая и поглощающая эхо, и белые ночи, их драгоценное сияние, и туманы, и благородную геральдику их памяти. Ледяная вода в стремительной тишине разматывается из клубка Ладожского озера, огибает крепости и дворцы и, растекаясь меж сорока двумя островами (всего их шестьсот, если считать также отрезки суши между речками и каналами), мощной лавиной уходит в Финский залив. Волны этого набега заметны на расстоянии многих миль от берегов.

Сила течения, долгие льды и мощные ледоходы затрудняли строительство мостов при Петре. Однако не строили их по другой причине. Царь хотел, чтобы его подданные научились навигации. Осенью же и весной, во время ледостава и ледохода, жители невских островов были практически отрезаны от остальной России.

Тем не менее со времени Трезини, первого архитектора и суперинтенданта города, со времени зодчего и скульптора Шлютера, а также Леблона, составившего в 1716 году первый план застройки новой столицы в Петербурге, сплошь равнинном, горизонтальном, без резко выраженных естественных границ, без сквозных железнодорожных линий и наземных участков будущего метрополитена, построено около трехсот мостов. Размах, изначально заложенный в плане Леблона. 

Однако первый градостроительный план был рассчитан на время неопределенное: автор интуитивно чувствовал русскую душу. Он задумал избороздить город каналами на манер Амстердама. Город мостов, огромная водная шахматная доска. Посередине от Адмиралтейства до Александро-Невской лавры  четыре километра Невского проспекта, вымощенного шведскими военнопленными (им вменялось также мести его каждую субботу).

Проспект вкупе с мостами составляет сокровенную сущность петербургского пейзажного пространства. В основе последнего  строгое равновесие горизонталей и вертикалей, причем в чисто горизонтальной перспективе. И не только. На плодородной почве классического наследия северный конструктивизм и орнаментальная духовность Востока взаимно приглушают крайности в синтезе, полном не только гармонического равновесия, но и величия.

Принцип Form Follows Function (форма следует функции) оказывается здесь превзойденным: в каждую эпоху над функциональным превалирует современное, то есть новый надвигающийся дух эпохи.

Мосты выгибаются, как будто острова дельты протягивают руки и осторожно ведут друг друга к устью, к Балтике. Словно ломая эти арки, входят большие корабли, проникая в новые пространства и порождая новые мосты  мосты торговли, что есть сама жизнь. Как небоскребы Нью-Йорка, эти мосты органически выражают архитектурное мышление европейского авантюризма.

Первый, деревянный, был построен в 1706 году, спустя три года после основания города. К 1749 году еще 49 деревянных мостов было перекинуто над каналами, заменив естественные переходы из снега и льда. Порою это были мосты-миражи: во время ледохода их сносило. В 1820 году опоры Исаакиевского моста уже были сложены из камня. Они видны и сегодня, одетые в торжественный гранит, как и вся Нева. Но моста больше нет: в 1916 году он сгорел во время прохода большого судна. Нет больше и понтонных мостов, но деревянные еще сохранились возле Петропавловской крепости, на Кировском острове и Обводном канале.

Эхо отражений

С середины XIX века Нева одевается в гранит. Появляются первые каменные мосты, запечатлевшие в камне переход от роскошного, порывистого северного барокко к строгому медлительному классицизму. Время в России, как известно, отнюдь не медленно: оно разнообразно. Отсюда непредсказуемый вид города, пронзенного адмиралтейской иглой. Геометрия проспектов идеальна: она зачеркивает навсегда.

Архитектурный пейзаж, ставший творческим сафари для итальянских, французских, немецких художников и строителей, обретает имперский вид только со всемерным умножением всяческого декора. Изобилие и разнообразие пилястр, колоннад, порталов сливается в архитектурном экстазе. Мосты и парки ограждаются изысканными железными решетками, запечатлевшими орнаментальные формулы времени. Среди этого городского нарциссизма, в мифическом белом сиянии ночей, в неверном свете фонарей какой-нибудь прохожий на мосту внезапно понимает, что имели в виду творцы этих переходов и горизонталей. Гигантское зеркало одинокой планеты. Торжественный и монотонный ритм колоннад, пилонов, фонарей продолжен зыбью зеркальной воды. В ней дрожит метафизическая листва Летнего сада, который, как паук, застыл в самом центре мостовидной паутины.

Население Петербурга было нулевым в 1700 году, но в 1900 достигло полутора миллионов. Вскоре века в России ужались в десятилетия. Времени всегда присуще мифическое измерение, ибо миф  это прежде всего миф о творении. Иосиф Бродский заметил, что петербургские ребята, наблюдая, как буксир борется с балтийским приливом, как замедляет движение огромная стальная челюсть разводного моста, узнавали о бесконечном, о мудрости стоицизма куда больше, чем из математики или апорий Зенона.

Все же математика, инженерия, экономика, всякого рода академическая премудрость не остались втуне.

Проблема типизации остро встала еще в XVIII веке, когда не только экономические, но и специфически архитектурные потребности заставили придать рекам и каналам композиционное единство и строгий порядок.

Из ранних образцов особо интересны Старо-Калинский и Ломоносовские мосты, гранитные башни которых наглядно запечатлели историю этих так называемых мостов-братьев. В начале XIX века появился новый материал  металл. Первый чугунный мост  Полицейский  построен в 1806 году по проекту архитектора Гесте и инженера Фултона. Новые материалы обусловили новые формы. Чугун, в пять раз более прочный, чем гранит, придал пропорциям особую, воздушную грацию. Между 1820 и 1830 годами инженеры Политехнического института Базен, Адам и Фретер создают новые мостовые конструкции, выделяющиеся ювелирным совершенством. В 1823 году первый в России подвесной мост соединяет берега Фонтанки. Все новые мосты из стали, алюминия, бетона трудно перечислить. Команды архитекторов, инженеров, строителей продолжают их совершенствовать. Шире становятся пролеты, круче арки, сильнее подъемные мускулы.

Но суть города почти не изменилась. Его пять миллионов жителей по-прежнему не образуют толпы. Петербуржец всегда одинок, когда, стоя на мосту, он ищет отражения в воде золотой иглы Адмиралтейства, замирающей в облаках словно эхо.

 

 

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