Yvonne D’Acosta

il dipinto di Yvonne D'acosta a colori ritrae un paesaggio con cipressi, un albero e un fiume; le nuvole sono rosa e una parte del terreno, oltre a essere verde, è bianca
Yvonne D'acosta, Untitled, acrylic on canvas, 60 x 50 cm, 2018; Yvonne D’acosta, Senza titolo, acrilico su tela, 60 x 50cm, 2018.

Il mondo di Yvonne

CARMELO STRANO

Paesaggi improbabili, delicati resi vibranti dalla convivenza tra cromie intense e dense e altre lievi e stemperate. Piccoli mondi ovattati fissati in un momento dell’esistenza, non effimeri ma attimali, colti in un istante irripetibile. Niente figure. Se ci fossero avvicinerebbero un po’ di più l’artista al cloisonnisme di Paul Gauguin. L’enfasi sui contorni non manca qua e là, ma sembra che Yvonne D’Acosta del pittore francese tragga, involontariamente o responsabilmente, il “sintetismo”, la tensione ad esprimere l’essenza, trascurando i dettagli. Famosa la sua raccomandazione del pittore francese a copiare ben poco dal vero. E Yvonne ha addirittura creato una sua realtà, un suo mondo fantastico e nello stesso tempo simbolico, ovviamente con la sua simbologia. Insomma, una condizione di autoreferenzialità visiva e sentimentale, sicché al riguardante empatico non rimane che gustare. Figurazione ma, paradossalmente, con contenuti poco transitivi, proprio perché, come rilevato, si tratta di simbologia priva di relazionalità. Sintonizzarsi significa quindi godere in modo diretto dell’atmosfera di levità assoluta che Yvonne riesce a creare, di sospensione anch’essa assoluta, senza riferimenti alla sua origine, sicché alberi, fiori, ecc. sono come poggiati nel terreno, come per effetto di una performance di danza leggera. Yvonne vanta la messa a fuoco di un suo linguaggio che ammicca all’astrazione.

il dipinto di Yvonne D'acosta a colori ritrae un paesaggio con molti alberi e un fiume
Yvonne D’acosta, Untitled , acrylic on canvas, 150 x 60 cm, 2019; Yvonne D’acosta, Senza titolo, acrilico su tela, 150 x 60cm, 2019.

Yvonne’s World

CARMELO STRANO

Delicate unreal landscapes whose results are vibration thanks to the coexistence of intense and dense colors and others that are mild and diluted. Small muffled worlds that the artist represents in a moment of their existence, grasps in an unrepeatable instant. No figures. If there were, they would tied the artist a little closer to Paul Gauguin‘s cloisonnism. Sometimes you find an emphasis on contours, but it seems that Yvonne D’Acosta involuntarily or responsibly looks at the French painter as far as his “synthesis” is concerned. She also likely aims at expressing the essence, avoiding the details. French painter’s statement to copy very little from life is very famous. And Yvonne has even created her own reality, her own world which is at the same time fantasy and symbolic. Obviously we refer to her own symbolism: a condition of visual and sentimental self-fulfilling attitude, so that the empathic reader only has to taste. Figuration, of course, but paradoxically with little transitive contents. That’s because, as noted, it is a symbology devoid of relationality. Tuning in therefore means directly enjoying the atmosphere of absolute lightness that Yvonne wonderfully creates; an absolute suspension, without reference to its origin, so it is as if trees, flowers, etc. were as if resting on the ground, as in a light dance’s performance. Yvonne succeeded  in working out her own language that winks at abstraction.

Nostalgia per il reale

JACQUELINE LACASA

La capacità di andare oltre l’immagine e affrontare la trasgressione arbitraria del segno, concepito come capacità critica di interiorizzare il futuro degli oggetti e della loro esistenza, è una sfida presente nell’arte contemporanea.

Accettando una simile sfida, Yvonne D’Acosta gioca nel suo lavoro con la condizione di rendere visibile la sperimentazione e la manipolazione degli oggetti e la loro immanenza nel mondo reale. Quello spazio irraggiungibile dove il soggetto mette in atto la sua capacità di percezione e si scontra, più volte, con la necessità di rendere esplicito il divenire cosciente dell’informazione che è materiale e che lo costituisce come soggetto del desiderio.

il dipinto di Yvonne D'acosta a colori ritrae un paesaggio con alcuni alberi, uno a sinistra e tre a destra; in primo piano, alcune margherite e al centro, una specie di foglio di carta piegato su se stesso
Yvonne D’acosta, Untitled, watercolour on paper, 34 x 24 cm, 2020; Yvonne D’acosta, Senza titolo, acquerello su carta, 34 x 24 cm, 2020

L’artista provoca nello spettatore un tempo diverso, nel mezzo di un lavoro accademico (azione della pittura e creazione di oggetti tridimensionali, riproducendoli) le cui variabili di forma e composizione incontaminata rivelano luci e ombre e si configurano nel piano, alterando gli effetti dell’immagine.

In questa operazione, l’ombra proiettata dall’oggetto ed elaborata dall’artista rivela i sintomi del pericolo o l’impossibilità di trovare ciò che ci si aspetta, è questa minaccia percepita dal soggetto che lo posiziona in uno spazio critico, sottolineando il rapporto con il oggetti che lo circondano.

L’artista colloca giustamente lo spettatore in quello che Hall Foster propone come “Il ritorno del reale” e lo fa attraverso “Traumatic Illusionism”, quello spazio dove l’arbitrarietà del segno riprodotto dall’artista sulla tela si configura in un nuovo spazio, che scaturisce da diversi processi vitali, generatori di crisi del senso semantico.Lì, la catena dei significanti visivi e acustici fa parte di una costruzione nata per un mondo particolare e spinta dall’irraggiungibile ritorno di oggetti, da comprendere e assimilare nella quotidianità, come movimento che rassicura all’individuo uno spazio di contenimento e di auto-riconoscimento. L’opera suggerisce la possibilità di mettere in relazione la sparizione dell’oggetto o la sua creazione, la rottura del significante: l’ombra e lo spostamento dello sguardo dello spettatore verso l’implosione dell’oggetto stesso, cioè la possibilità di esplorare il potenziale movimento degli oggetti e il loro valore immanente. L’artista nel suo lavoro propone la sfida di fermarsi per brevi istanti nella capacità di contemplare il mondo, sapendo che nel ritorno degli oggetti e nella loro manipolazione si possono trovare territori di libertà, che elaborino eventi traumatici come spazi di conflitto, tenendo conto di ciò nella revisione di queste azioni, nella ripetizione dell’azione o nella riconfigurazione di un luogo comune. Tutto questo implica anche l’elaborazione delle differenze che esaltano il discorso e lo decentralizzano dalla mera riproduzione dell’oggetto.L’artista, come sosteneva Jacques Lacan, è colui che consente il dialogo per la natura stessa del suo lavoro, è colui che mostra che l’illusione perfetta non esiste in quanto tale, sebbene il desiderio di rappresentazione sia prodotto efficacemente nell’opera; il reale dell’oggetto non può essere rappresentato come tale e solo nello spazio di rappresentazione c’è la possibilità di lavorare il simbolico di quella rappresentazione, quello spazio che congela l’azione e svela l’evento reso traumatico. Per attivare la macchina del pensiero critico, si confronta con la postura perimida di ingannare l’occhio (“trompe-l’oeil”) e sostiene che l’evoluzione strategica dell’arte cerchi di domare lo sguardo (“il sembrare addomesticato”). Nelle parole di Zizek, il “reale” ci rimanda alla nostalgia per l’esperienza come fondamento della percezione, e questo è il percorso che Yvonne D’Acosta ci invita a seguire.

La nostalgia de lo Real

JACQUELINE LACASA

La habilitación de ir más allá de la imagen y abordar la trasgresión arbitraria del signo, aquello  que se concibe como la capacidad crítica de internalizar el devenir de los objetos y su existencia, es un desafío presente en el arte contemporáneo.

Aceptando tal desafío, Yvonne D’Acosta juega en su obra con la condición de hacer visible la experimentación y manipulación de los objetos y su inmanencia en el mundo Real. Ese espacio inalcanzable donde el sujeto pone en acción su capacidad de percepción y choca, una y otra vez, con la necesidad de hacer explícito el devenir consciente de la información que es material y que lo constituye como sujeto de deseo.

La artista provoca en el espectador un tiempo diferente, en medio de un trabajo academicista (acción de pintar y crear objetos tridimensionales, reproduciéndolos) cuyas variables de forma y composición impolutas ponen de manifiesto luces y sombras y se configuran en el plano alterando los efectos de la imagen.

En esta operación la sombra proyectada por el objeto y alterada por la artista develan los síntomas del peligro o la imposibilidad de encontrar lo que se espera, es esta amenaza percibida por el sujeto que lo posiciona en un espacio crítico, tensionando la relación a los objetos que le rodean.

Justamente la artista coloca al espectador en lo que Hall Foster plantea como “El retorno de lo real” y lo hace a través del “Ilusionismo Traumático” aquel espacio en donde la arbitrariedad del signo reproducida por la artista en el lienzo, se configura en un nuevo espacio, producto de diferentes procesos vitales, generadores de crisis de sentido semántico.

Allí, la cadena de significantes visuales y acústicos son parte de una construcción creada para un mundo particular e impulsada por el inalcanzable retorno de los objetos, para ser comprendidos y asimilados en la cotidianidad, como movimiento que reasegura al individuo un espacio de contención y de reconocimiento de sí.

En la obra se sugiere la posibilidad de relacionar la desaparición del objeto o su creación, la ruptura del significante: sombra y el corrimiento de la mirada del espectador hacia la implosión del objeto en si mismo, es decir la posibilidad de explorar el potencial movimiento de los objetos y su valor inmanente.

La artista en su trabajo propone el desafío de detenerse por breves instantes en la capacidad de contemplar el mundo, sabiendo que en el retorno de los objetos y su manipulación pueden encontrarse territorios de libertad, que elaboren los eventos traumáticos como espacios de conflicto, tomando en cuenta que en la revisión de estas acciones la repetición de la acción o la reconfiguración de un lugar común implica elaborar también las diferencias que potencian el discurso y lo descentran de la mera reproducción del objeto.

El artista, planteaba Jacques Lacan, es quién habilita el diálogo por la propia naturaleza de su trabajo, es quién pone de manifiesto que la ilusión perfecta no existe como tal, aunque el deseo de representación se produzca con eficacia en la obra, lo Real del objeto no puede representarse como tal y solo en el espacio de representación queda la posibilidad de trabajar lo simbólico de esa representación, ese espacio que congela la acción y pone de manifiesto el hecho traumático.

Para accionar la maquinaria del pensamiento crítico, se enfrenta la perimida postura de engañar el ojo (“trompe-l’oeil”) y asume que el devenir estratégico del arte intenta domar la mirada (“dompte-regard”). En palabras de Zizek lo “real” nos remite a la nostalgia de la experiencia como la fundamentación de la percepción, y ese es el camino que nos invita a recorer Yvonne D’Acosta.

Bianco

GUSTAVO TABARES

“Con un oggetto morbido puoi stabilire un dialogo. La rigidità solleva un muro di indifferenza”. Claes Oldenburg

“Un sogno di luce, come un’alba, non sarà dimenticato”. Luis Alberto Spinetta

“Tieni l’acqua per lavarla nell’acqua. Lavare o mettere l’acqua nel depois sujar de areia”. Arnaldo Antunes

….. sculture morbide. Morbido e bianco. Sconvolge il concetto di scultura tradizionale che consisteva nel racchiudere la forma in un materiale rigido. La pittura vinilica per pareti con cui è dipinta la tela le conferisce una certa rusticità che fa sì che non siano oggetti a mò di peluche, ma piuttosto l’artista vi imprime la sua personalità. Non sono “squishy”, sono morbidi con una certa rigidità generata anche dalle cuciture a vista e sfilacciate. Morbido e rustico allo stesso tempo. Il bianco è il colore con la maggiore sensibilità alla luce. È la somma o la sintesi di tutti i colori, e il simbolo dell’assoluto, dell’unità e dell’innocenza, significa pace o resa, bontà, ingenuità, luce, asepsi, pulizia, sicurezza, ottimismo, isolamento, freddo, minimo. Nella maggior parte delle religioni è usato come segno di purezza e verginità e rappresenta anche la perfezione. Il lavoro di Yvonne D’Acosta ha carattere onirico, come di un’altra realtà, quasi magica, non rappresentativa e suggestiva. Una sorta di surrealismo pop spirituale. L’insieme delle sculture fa riferimento ai cuscini e quindi al sonno, alla notte. Sono come sogni morbidi pieni di tenerezza e umorismo giocoso. Una poetica dell’inconscio segnata a volte dal sessuale e altre da un certo ricordo d’infanzia. Una delle sculture morbide è una specie di insetto di un centinaio di piedi ma con solo sei zampe, sebbene sembri anche essere un cuscino con una mammella. Un altro è un ovale che ricorda una botte, c’è anche un’altra, triangolare, che sembra una porzione di torta chantilly o un pezzo di formaggio. Una delle più grandi somiglia a un grande oggetto bifalo, ma fa pensare anche alla testa di un coniglio o a uno zoccolo. In questa serie di pezzi realizzati da Yvonne D’Acosta con umiltà e tanta creatività (atteggiamenti poco comuni in questa ipocrita società consumistica) c’è anche qualcosa che va messo in evidenza: lavoro, perseveranza e coerenza. L’artista si espone. In questo modo realizza i suoi sogni che diventano i nostri.

il dipinto di Yvonne D'acosta a colori ritrae un paesaggio con alcuni alberi; in primo piano, una specie di foglio di carta piegato su se stesso
Yvonne D’acosta, Untitled , watercolour on paper, 34 x 24 cm, 2020; Yvonne D’acosta, Senza titolo, acquerello su carta, 34 x 24 cm, 2020.

Blanco

GUSTAVO TABARES

“Con un objeto blando se puede establecer un diálogo. La rigidez levanta un muro de indiferencia”. Claes Oldenburg

“Un sueño de luz, como un amanecer, no pasara al olvido”. Luis Alberto Spinetta

“Sujar o pé de areida para depois lavar na agua. Lavar o pé na agua para depois sujar de areia” Arnaldo Antunes

“….esculturas blandas. Blandas y blancas. Trastoca el concepto de escultura tradicional que consistía en encerrar la forma en un material rígido. La pintura vinílica para paredes con la que está pintado el lienzo le otorga cierta rusticidad que hace que no sean objetos como de peluche, sino que la artista imprime, se  quiere, en ellas su personalidad. No son “blanditas”, son blandas con un grado de rigidez generado también por las visibles y deshilachadas costuras. Blando y a la vez rústico. El color blanco es el que mayor sensibilidad posee frente a la luz. Es la suma o síntesis de todos los colores, y el símbolo de lo absoluto, de la unidad y de la inocencia, significa paz o rendición, bondad, candidez, luz, asepsia, limpieza, seguridad, optimismo, aislamiento, frío, mínimo. En la mayoría de las religiones es utilizado como signo de pureza y virginidad y también representa la perfección. El trabajo de Yvonne D’Acosta tiene

Un carácter onírico, como de otra realidad, casi mágico, no representativo y sí sugerente. Una suerte de surrealismo pop espiritual. El conjunto de esculturas remiten a almohadas y por consiguiente al sueño, a la noche. Son como sueños blandos llenos de ternura y humor lúdico. Una poética del inconsciente a veces signada por lo sexual y otras por cierta memoria infantil. Una de las esculturas blandas es una especie de bicho tipo cien pies pero con solo seis patas a modo de insecto, aunque también parece ser una almohada con ubre. Otra es un óvalo que recuerda un barril, hay también una de forma triangular que parece ser una porción de torta de chantilly o un trozo de queso. Una de las mayores parece ser un gran objeto bifálico, pero también sugiere la cabeza de un conejo o una pezuña. En este conjunto de piezas creadas por Yvonne D’Acosta con humildad y mucha  creatividad (actitudes que no son muy comunes en esta hipócrita sociedad de consumo) hay algo que también hay que destacar: el trabajo, la constancia y la coherencia. La artista se expone. De esta manera hace que sus sueños se hagan realidad y pasen a ser nuestros.

 

YVONNE D’ACOSTA

Yvonne D’acosta (nata in Uruguay nel 1949) ha studiato arte dal 1975 al 1983 con l’artista Hilda López. Questo periodo coincide con la dittatura militare in Uruguay quando le scuole d’arte erano vietate. Dopo la dittatura, ha continuato i suoi studi con diversi artisti e curatori tra cui: Alfredo Torres, Nelson Di Maggio, Jorge Medina Vidart, Fernando Andacht, Estela Abal e Alberto Lastrero. Proseguendo la sua formazione, ha fatto viaggi culturali a Biennali d’arte in Europa, Stati Uniti e Brasile. Dal 2008 è allieva del filosofo Sandino Núñez. Si occupa di arte dal 1987.

Principali eventi dal 2006

2019 collective sample, Leonardo Da Vinci’ s 500 years, Validity , CAF Gallery, Montevido.

2017 Illustration, Distopics Drawings, for essay magazine “Forbiden to Think”, AñoI N.4January/february

2016 Solo show, Ondulatin plane, solo show, Pablo Achugarry’s Foundation, Maldonado.

2015 Illustration, Drawings, for essay magazine “Forbithen to Think”, January/february 2015Año I n.5

2014 Selected 56° Visual Arts Nacional Award,“José Gamarra”, Montevideo.

2013 Solo show, La Sombra, instalation, Kavlin Cultural Center, Maldonado.

Collective sample, Extentions or the end of virtual, SUBTE, Montevideo Arts Center.

2012 Solo show, Metro Ochenta,instalation, Season 8, EAC, Contemporary Arts Space.

2010 Collective sample, Sin título, Arts felonies, Season I, EAC, Contemporary Arts Space, Montevideo.

2009 Solo show, Real Realidad Realismo, La Pasionaria gallery, Montevideo.

2008 Selected, 59° Visual Arts National Award, “Hugo Nantes”, Montevideo.

Solo show, Blanco, Engelman Ostt, Private collection Gallery, Montevideo.

2006 Selected, 52° Visual Arts National Award, “ Maria Freire”, Montevideo.

Premi

1991 Honorific Mention, Salón Banco de la República O. del U.

1988 First Award, Salón Primavera Instituto Cultural Anglo-Uruguayo,

Honorific Mention, Salón de Pintura Banco de la República O. del U.

Mention, 7° Salón de Pintura Automóvil Club del U.

www.ydacosta.wordpress.com

Yvonne D’acosta (Born in Uruguay 1949) studied art from 1975 to 1983 with the artist Hilda López.

This period coincides with the military dictatorship in Uruguay when art schools were forbidden. With the restoration of civilian rule, she continued her studies with several artists and curators including: Alfredo Torres, Nelson Di Maggio, Jorge Medina Vidart, Fernando Andacht, Estela Abal and Alberto Lastrero.

Furthering her education, she made cultural trips to Art Biennals, Europe, United States and Brazil.

Since 2008 she has been a student of  the philosopher Sandino Núñez. She has been produced art since 1987.

Main events since 2006

2019 collective sample, Leonardo Da Vinci’ s 500 years, Validity , CAF Gallery, Montevido.

2017 Illustration, Distopics Drawings, for essay magazine “Forbiden to Think”, AñoI N.4January/february

2016 Solo show, Ondulatin plane, solo show, Pablo Achugarry’s Foundation, Maldonado.

2015 Illustration, Drawings, for essay magazine “Forbithen to Think”, January/february 2015Año I n.5

2014 Selected 56° Visual Arts Nacional Award,“José Gamarra”, Montevideo.

2013 Solo show, La Sombra, instalation, Kavlin Cultural Center, Maldonado.

Collective sample, Extentions or the end of virtual, SUBTE, Montevideo Arts Center.

2012 Solo show, Metro Ochenta,instalation, Season 8, EAC, Contemporary Arts Space.

2010 Collective sample, Sin título, Arts felonies, Season I, EAC, Contemporary Arts Space, Montevideo.

2009 Solo show, Real Realidad Realismo, La Pasionaria gallery, Montevideo.

2008 Selected, 59° Visual Arts National Award, “Hugo Nantes”, Montevideo.

Solo show, Blanco, Engelman Ostt, Private collection Gallery, Montevideo.

2006 Selected, 52° Visual Arts National Award, “ Maria Freire”, Montevideo.

Awards

1991 Honorific Mention, Salón Banco de la República O. del U.

1988 First Award, Salón Primavera Instituto Cultural Anglo-Uruguayo,

Honorific Mention, Salón de Pintura Banco de la República O. del U.;

Mention, 7° Salón de Pintura Automóvil Club del U.

www.ydacosta.wordpress.com

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JACQUELINE LACASA, GUSTAVO TABARES
JACQUELINE LACASA Jacqueline Lacasa, Montevideo, visual artist, curator of dozens of shows and contemporary art researcher, psychologist, MA in Cultural Studies. Formal director of Visual Arts, National Museum, Uruguay, 2A4 Art Critic 2014-2020. Jacqueline Lacasa, Montevideo, artista visiva, curatrice di decine di mostre e ricercatrice di arte contemporanea, psicologa, MA in Cultural Studies. Direttore formale delle arti visive, Museo Nazionale, Uruguay, 2A4 Art Critic 2014-2020. GUSTAVO TABARES Gustavo Tabares, 1968, Montevideo, visual artist, curator and art professor at the Catholic University of Uruguay. Since 1990 solo and group shows even abroad (Venice Biennale, 2015). Visual Arts advisor for the Uruguay government. An anthological show in Montevideo, in 2019. Gustavo Tabares, 1968, Montevideo, artista visivo, curatore e professore d'arte all'Università Cattolica dell'Uruguay. Dal 1990 mostre personali e collettive in Uruguay e all'estero (come la Biennale di Venezia 2015). Consulente per il dipartimento di arti visive del ministero dell'Istruzione e della cultura per l'Uruguay tra il 2006 e il 2012. Nel 2019 ha tenuto una mostra antologica al Museo Nazionale delle Arti Visive di Montevideo.