Sergio Dangelo, ci ha lasciato un samurai oltre che un pezzo di storia artistica

L'immagine mostra l'artista Sergio Dangelo con la moglie Maria. L'artista è sulla sinistra, capelli bianchi, occhiali e mani giunte su un cappotto bianco avorio ed una sciarpa blu arancione, mentre la mogli, una donna anziana dai capelli rossi è suella destra, anch'ella con le mani giunte, su un giubbotto crema ed una sciarpa blu e viola, entrambi sullo sfondo di una installazione di cui si scorgono solo alcuni dettagli
Sergio Dangelo con la moglie Maria

“Tu che cammini, la strada non c’è. La strada si fa camminando” (Antonio Machado)

 È stato il figlio Simone ad informarmi e io grato lo abbraccio affettuosamente. Mi ha reso partecipe degli ultimi istanti di vita di un amico a me carissimo con il quale ho condiviso gran parte della mia esistenza.

Maestro anche nell’arte marziale Kendō

Ha deciso lui quando e come lasciarci e partire per questo suo ultimo viaggio terreno. Come fanno i grandi guerrieri, e lui lo è stato durante tutta la sua lunga vita; anche praticando il Kendō, l’arte marziale giapponese utilizzata dai samurai nel kenjutsu (l’arte della spada) che non è mai stata solo un’arte militare o sportiva, ma la metafora di un modo di intendere la vita e il rapporto con gli altri.

Samurai con la summa dei sette concetti morali

Non me l’ha mai detto ma sono profondamente convinto che il suo mito fosse Miyamoto Musashi (1584-1645) considerato il più grande spadaccino della storia giapponese, anche scrittore e artista calligrafico di grande valore.

Il codice di condotta dei samurai chiamato bushido (la via del guerriero) non riguardava solo la disciplina militare ma era una summa di sette concetti morali fondamentali: Gi: onestà e giustizia; Yu: eroico coraggio; Jin: compassione; Rei: gentile cortesia; Makoto: completa sincerità; Meiyo: onore; Chugi: dovere e lealtà.

Guerriero sempre all’erta nell’arte, ma ingratitudine nella sua Milano

E guerriero Sergio lo era anche lottando come solo sanno fare gli spiriti liberi, contro ogni forma di potere. Nel suo caso contro i poteri culturali imperanti.  Artista colto, interveniva sempre nei dibattiti, con il suo eloquio brillante.  La sua franchezza critica ha spesso creato irritazioni nell’establishment culturale della sua città Milano che forse per questo è stata avarissima nel riconoscergli il grande contributo che aveva dato.

Dada, surrealismo, Duchamp e la galleria di Schwarz

Ci siamo conosciuti all’inizio degli anni Sessanta. Di alcuni anni più grande di me, aveva però già alle sue spalle una notevole esperienza del mondo dell’arte nazionale e internazionale. Divenne subito il mio riferimento nel mondo dell’arte. Mi documentò sulle avanguardie storiche e i suoi protagonisti: Dada, Surrealismo e Marcel Duchamp. Mi fu maestro ineguagliabile. Mi introdusse alla galleria di Arturo Schwarz con il quale lavorava come artista e che con il tempo mi onorò della sua amicizia fraterna.

L’incontro con Theodore Koenig

Ho ancora oggi un ricordo vivissimo di un viaggio in Belgio nel 1965 fatto insieme per incontrare Theodore Koenig, poeta, scrittore che aveva co-fondato in Belgio, nel 1953, la rivista culturale Phantomas alla quale Sergio collaborava. Incontro fertilissimo per la cordialità del nostro interlocutore che per giorni ci invitò a casa sua facendoci incontrare, e per me era la prima volta, artisti poliedrici e straordinari come poi si sarebbero rivelati Marcel Broodthaers, Edouard Léon, Théodore Mesens, Marcel Mariën.

Un maestro e compagno di strada

Da quella serie di incontri credo sia nata in me la passione per la creazione di riviste e giornali che non ho mai abbandonato. Ed è da quel viaggio con Sergio che nacque il progetto di creare, ritornando in Italia, uno spazio espositivo particolare che alcuni anni dopo si concretizzò nel progetto della Galleria Breton in Corso di Porta Romana a Milano a cui in ordine di tempo succedettero la Multhipla in Piazzale Martini e la Fondazione Mudima in via Alessandro Tadino, sempre a Milano.

Non ricordo che Sergio abbia mai mancato un incontro o un’inaugurazione, comprese naturalmente quelle dedicate a lui e al suo lavoro di artista.  Si autodefiniva “uno degli ultimi surrealisti”. Secondo me in lui si sommavano quelle che Breton chiamava “le due onde che di volta in volta si accavallano”: Dada, Surrealismo e naturalmente Marcel Duchamp che era l’uno e l’altro ancora.

Traghettatore dei grandi avanguardisti e pensatori liberi del primo Novecento

Mancava, e curiosamente non ne abbiamo mai parlato, il Futurismo che pure in qualche modo era il padre comune soprattutto per Marcel Duchamp e Dada. Ma evitando di fare accademia, forse potremmo dire che gli antenati che lo hanno coinvolto totalmente, lui come altri della sua generazione, ed anche noi che gli siamo stati compagni di strada, è stata quella vasta galleria di personalità che, a prescindere dai movimenti che in qualche misura ne erano la sintesi congiunturale, vanno da Rimbaud a Jarry, da Tristan Tzara a Apollinaire, da Freud a Sade, da Lautréamont e Marinetti a Breton e altri.

Essi, in un periodo particolare della storia umana, e come raramente accade, ma come evidentemente accadde, si sono trovati, concentrati sulla scena del mondo e hanno prodotto con il loro pensiero scintille che hanno illuminato il mondo.

Totale libertà, totale anarchia, infiniti campi di ricerca. Un salto mentale, culturale di enorme portata per l’umanità tutta.  Questo era il bagaglio che Sergio Dangelo giovanissimo ha fatto suo, trasportandolo brillantemente sulle sue spalle. È stato uno degli artisti più colti che ho incontrato, che più ha contribuito alla diffusione di queste idee con la sua ricerca e anche con la sua attitudine comportamentale verso il mondo che a molti è potuta apparire a volte come intellettualmente sfrontata…