Negli spazi della Fondazione Mudima di Milano è allestita una mostra dal titolo “La face autre de l’autre face” a cura di Davide Di Maggio, precedentemente ospitata al Muc – Musee Urbain Cabrol di Villefranche de Rouergue. Il curatore ha estrapolato alcune opere del progetto “Viva Gino! Une vie dans l’art” (grande evento francese che ha celebrato la passione di Gino Di Maggio, padre di Davide, a Les Abattoirs, Musee-Frac Occitanie Toulouse).
A questo modo il curatore ha dato vita a una visione altra: se la mostra celebrativa di Tolosa era incentrata sulle passioni del celebrato per le neoavanguardie, in questa mostra milanese la figurazione finisce col giocare un ruolo da protagonista, offrendo, appunto, una “face autre”.
Vi espongono 21 artisti, quasi tutti legati da un fil rouge, dato dal fatto che il significante rinvia alla scoperta del significato il quale spesso nelle opere risulta irrilevante. E così la mostra si snoda tra figurazione, segno, ritualità, maestria tecnica.
Si percepisce allora una specie di reincanto del mondo, e sei portato a indugiare, quasi un effetto terapeutico, in contrasto con la cultura odierna dell’eiaculazione precoce. Buona parte delle opere ti parlano, direttamente o indirettamente, dell’utopia del tempo in rapporto alla quale l’idea della morte rappresenta un modo di vivere intensamente.
Gli artisti
Il lavoro di Daniela Alfarano presenta dei disegni con piume bianche sospese, tra luce e ombra; quello di Federico Pietrella, come in un quadro impressionista, coglie un momento di vita quotidiana attraverso il minuzioso disegno con i suoi timbri datari.
Uliano Lucas ci seduce e ci confonde con dei ritratti in bianco e nero realizzati nel tempo, con la stessa inquadratura, all’interno di un manicomio. Nelle installazioni di si mettono in relazione vari elementi che determinano una visione in bilico tra spazio abitato e paesaggio dell’anima. In modo diverso, Alfredo Pirri, con la sua installazione, ci fa entrare in uno spazio meditativo, offuscato da piume, dove il cromatismo si infrange nella trasparenza del plexiglass.
Con uno sguardo ai maestri del Cinquecento Nicola Samori e Nicola Verlato reinterpretano figure dall’anima turbata. Giovanni Manfredini, Alessandro Verdi e Andrea Salvino ci riportano a un silenzio contemplativo tra sacro e profano, nel recupero di una classicità plastica, creando nell’ambiente un’atmosfera di attesa e sospensione.
Diamante Faraldo ci blocca e ci invita a comprendere il suo mondo buio, fatto di riflessi e deformazioni. Si ritrova il tempo del silenzio nei paesaggi di architettura metafisica di Gabriele Basilico, Claudio Gobbi, Pierpaolo Curti e anche nell’assolato scenario urbano in mutamento di Francesco Jodice.
Le opere di Nerina Toci e di Sabrina Mezzaqui rimandano ad una poiesis, espressa attraverso il femminile, tra tempi lenti e gesti ripetuti. Ciò è presente anche nel lavoro di Christiane Lohr che ricostruisce pazientemente una natura artificiale intrisa di elementi organici. La stessa natura si trova in Loris Cecchini ma stavolta realizzata con moduli di acciaio dalla forma organica. Questi ultimi si adattano a spazi e luoghi diversi cambiando nel tempo forma e dimensione.
Nella sala a piano terra di Mudima una sequenza fotografica di Ugo Mulas dedicata ai tagli di Lucio Fontana. Essa ci pone di fronte alla dimensione del tempo e alla liturgia del vuoto significante. Con la sua installazione Renata Boero ci parla di un processo intimo che rinuncia alle parole. Esso cede il passo alla trasparenza che, di fatto, non è più una pagina da leggere