Arte senza amore?

Vittorio Mazzucconi, Il sogno (l’inconscio), pittura, 1994

VITTORIO MAZZUCCONI –

Forse, prima di pensare all’arte, dobbiamo chiederci: può esistere l’uomo senza l’amore? Senza la forza che, per mezzo della complementarità fra femminile e maschile, spinge noi e tutte le altre creature ad accoppiarsi e a generare così la vita? Può esistere un mondo in cui non ci sia la stessa complementarità, allargata a dei piani più generali, quali quello della vita e della morte, o quello in cui la materia è fecondata dallo spirito come il femminile dal maschile? E, se ci rendiamo conto di questi vitali e perenni processi, pensiamo che essi siano possibili di per sé, senza un motore, un centro che imprima loro movimento e vita? Sarebbe come credere che la terra ruoti intorno a … niente, nell’assenza di un sole.

Sono immagini e pensieri che sembrano forse andare troppo lontano, ma tale centro non è un’astrazione ne è solo un astro nel cielo, ma è una viva presenza all’interno di noi, come di ogni creatura. Privilegio e anzi caratteristica fondamentale dell’uomo è di esserne consapevole, anzi di poterlo essere mentre in realtà ne è dimentico, soprattutto nel nostro tempo.

Parlando quindi di arte, pensiamo che essa, al pari della scrittura, possa e debba esprimere questo privilegio, questa caratteristica, questa realtà di un uomo consapevole, non solo del mondo fisico sulla cui circonferenza egli vive febbrilmente ma del proprio centro interiore, in cui troverà Dio, ossia la sua origine e il suo fine. Non è da tutti raggiungerlo, è vero, ma l‘amore ce ne mostra la strada, anche quando esso non sembra indirizzarsi a questo centro: è l’amore sessuale, l’amore fra gli uomini, l’amore della natura, e anche l’amore del proprio lavoro che, se fatto con amore, è appunto arte.

Talvolta essa è indirizzata solo agli aspetti esteriori e fenomenici del mondo – anche l’amore per essi produce arte – e ce ne sarà sempre un mercato anche se possibilmente ridimensionato rispetto alla follia attuale, ma, se vorremo trovare una grande arte, quella che sa scandagliare ed esprimere l’anima umana, come e dove la cercheremo?

Nei grandi musei dell’arte del passato, negli edifici in cui ne erano raccolte ed esaltate le testimonianze civili, nelle chiese in cui venivano celebrate le vite dei santi e dell’uomo meraviglioso che era chiamato “figlio di Dio”? Era forse una figliolanza immaginaria, mentre erano proprio le opere d’arte a meritare l’onore di una tale qualifica, in quanto erano generate, attraverso la mano degli artisti, dall’amore, ossia dallo Spirito, lo stesso che anima e trasforma la materia del mondo, lo stesso che è nel centro dell’uomo.

La troveremo magari anche in qualche bel film o fra gli scaffali di una buona libreria, ma difficilmente in una galleria d’arte e tanto meno nei musei di arte contemporanea, sempre più somiglianti a dei negozi di giocattoli per uomini-bambini. Le sole opere d’arte che una volta vi erano esposte sono finite nei musei, senza parlare delle più grandi e significative che stanno nei luoghi in cui sono nate ed hanno partecipato alla vita politica, culturale e religiosa del loro tempo.

Ma dove è andato a finire l’uomo che era capace di fare tali opere? Un immenso patrimonio artistico ce ne parla, mentre tale uomo parlava solo di Dio, sia pure con parole e forme che ci sembrano oggi sprovviste di senso. Nascosto in esse c’era in realtà il suo alto concetto dell’uomo, quale un interiore archetipo a cui costantemente si riferiva. Se lo paragoniamo all’archetipo dell’uomo di oggi, che è piuttosto uno stampo che non un archetipo, c’è di che rimanere sbigottiti: è l’uomo che guarda solo al suo benessere, l’uomo appiattito in esso, che sa solo consumare e, dopo una vita inutile, morire.

Se, nonostante tutto, ci sono ancora degli artisti, non lasceranno certo dietro di sé figurazioni di santi e di eroi, squarci di divino o almeno di esaltazione, apertura e speranza, ma solo i piccoli e ridicoli sgorbi con cui, da vivi, si erano ingegnati a mentire a sé stessi e al prossimo, pur dicendo senza volerlo la verità, quanto allo squallore in sé stessi e nel mondo che li circonda.

Uomini incompleti, deviati o immaturi questi artisti che non sanno amare, come lo sono d’altra parte anche molti altri attori della commedia che si recita attualmente nel mondo. Una commedia che sta per trasformarsi in una tragedia che l’arte, come tante altre attività umane, sta prefigurando.