La Giornata del teatro, Mino Bertoldo su Franco Quadri e altro

fotografia di due uomini che parlano
Franco Quadri e Dario Fo

Per la Giornata mondiale del teatro (27 marzo 2021) il Teatro Out Off di Milano ha progettato una tre giorni di live streaming (25, 26, 27 marzo) dedicata al critico Franco Quadri, a 10 anni dalla sua morte. Intervistiamo Mino Bertoldo, fondatore del famoso teatro milanese.

Molte le testimonianze di chi ha lavorato con Quadri, collaboratori della sua casa editrice Ubulibri, critici musicali, altri editori, registi, attori, drammaturghi. Dalle loro testimonianze – diverse cariche di ricordi personali – emerge il carattere e le peculiarità professionali di Quadri, severo osservatore e padre di “ingiustizie” nel giudicare i teatranti, una figura dalla cui penna si trae il catalogo delle proposte drammaturgiche a partire dagli anni ’60. Quadri osservava, giudicava e determinava chi era fuori e chi dentro il mondo del teatro. Il ruolo del critico oggi è latitante ed è sostituito dalla moltitudine delle voci degli spettatori. Ma il fatto che alla figura del critico si sia pesantemente sovrapposta la moltitudine di voci urlanti (social e altro) ci fa sentire ancora più vicina e opportuna la figura di Franco Quadri.

 

Mino Bertoldo, fondatore del teatro Out Off, a Milano, dalla sede in viale Montesanto, la cantinona, allo sfratto, alle sedi temporanee, sino al definitivo spazio di via Mac Mahon. Franco Quadri è stato molto vicino al suo teatro, sin dalla prima casuale discesa in sala. Lei, più vicino ad altre forme di arti visive, ha avuto l’opportunità di trarre vantaggio dalle vostre distanze?

La magia stava nel grande amore che Franco aveva per il teatro. Mi ha avvicinato a quel tipo di teatro che lui cercava e spesso trovava in luoghi barbari, selvaggi, sempre con un entusiasmo totale. Quel tipo di teatro potente, al quale capita ogni tanto di avvicinarsi, ma che lo portava a trovare grandi artisti. Franco cercava il dialogo in tutto ciò che faceva, e ciò che ci ha avvicinato era sicuramente la curiosità e il senso della scoperta. La sua capacità di analisi era più solida della mia, più sviluppata, al contrario della mia, emotiva e istintiva.

Si può dire che il vostro dialogo avveniva su uno stesso terreno ma con linguaggi diversi?

Certamente sì, linguaggi diversi sullo stesso terreno. Franco ricercava e coglieva i più scatenati e i più rigorosi e li coltivava, come del resto è capitato di fare a me Oggi cerchiamo nuovi linguaggi, ma lo streaming non è la soluzione. Le iniziative di quest’ultimo anno sono nate per arrivare al pubblico attraverso quello strumento, non sono state adattate perché sarebbe stato un tradimento assoluto. Così, prossimamente, il Teatro Out Off presenterà sulle piattaforme tecnologiche, anziché dal vivo, un lavoro studiato per essere proposto in alcune parti quasi come una serie. Senza alcuna forzatura poiché lo sviluppo del testo originale permette una divisione in capitoli. Aspettiamo di poter tornare dal vivo, lavorando e studiando.

Il futuro letto attraverso il presente, avendo sempre in mente la tradizione. La sperimentazione, in una parola, e le sue scelte teatrali. Da Antonio Syxty a oggi quanto è cambiato l’orizzonte del teatro di ricerca?

La ricerca dovrebbe avere luogo sempre: non c’è tempo o motivo che possa giustificare minore sperimentazione. Tuttavia, la mancanza di un referente autorevole, in grado di mantenere elevato il livello del dialogo, può determinare assenza di confronto e conseguente abbassamento del livello delle produzioni. E il venir meno della figura del critico colto, preparato, ha determinato il proliferare di quella del curatore, che fa un mestiere diverso. Franco era sempre alla ricerca di nuovi artisti dotati, si procurava le occasioni per trovarli, in Italia ma anche all’estero, nel mondo del teatro ma anche della danza. Fu lui a portare in Italia Pina Bausch e Bob Wilson.

Il ruolo del critico impietoso, ma pertinente, è stato soppiantato dai social? Non c’è un equivoco nel pensare che il critico sia parziale nell’emettere giudizi, cioè schierandosi, e che le comunità dei social non lo siano?

Il ruolo del critico non esiste più, richiede capacità di assunzione di responsabilità e coraggio. E ciò dipende dalla stampa, i cui direttori hanno destinato sempre minore spazio alla cultura, alla terza pagina. Le stroncature del critico erano una dichiarazione d’amore nei confronti dei teatranti. I social sono una chiacchiera fastidiosa, voci di un gregge privo di autorevolezza. Spesso i social sono anche depistanti e pericolosi. L’equivoco è pensare che quantità – di follower – corrisponda a qualità. Innanzitutto, chi decide dov’è la qualità? E poi, la competizione, sana, fra chi vuole correre, in queste condizioni non può esistere.

La chiusura dei teatri, l’assenza di creazione, la sussidiarietà della cultura. Come riportare la cultura in cima alle necessità umane, restituendole il ruolo di provocatrice di coscienza civica?

Un anno fa ho pensato che sarebbe stato difficile aprire presto, nel mezzo di una pandemia. Ci sarebbe voluto almeno un anno, o più. Abbiamo dovuto rinunciare allo spettacolo di Dario Fo e Franca Rame, che a dicembre abbiamo mandato in pillole, attraverso le piattaforme streaming. Ma abbiamo anche deciso di spostare l’attenzione su temi da approfondire. Il lavoro su Fo/Rame è diventato l’occasione per trattare la questione della parità di genere, scoprendo quanto il nostro Paese sia indietro. Poi abbiamo individuato alcune figure isolate, particolari, come Gianni Sassi e Franco Quadri. Poi ci occuperemo di Joseph Beuys, artista a 360 gradi. Ci esercitiamo con riflessioni su personaggi che non possono lasciarci indifferenti, che ci impongono di fare qualcosa nei nostri spazi, per il nostro territorio.

Ritiene che Milano sia o possa ridiventare culla di cultura innovativa?

Milano potenzialmente è capace di assolvere a tale ruolo. Da questa città provengono figure come quella di Nanda Vigo. Ma non sembra vi siano movimenti e ciò può essere pericoloso per le piccole realtà, mentre quelle maggiori e robuste potranno sopravvivere. Proprio come la storia dell’Uomo.

Fotografia del fondatore del teatro Out Off di Milano, alle sue spalle quadri di con fotografie.
Mino Bertoldo, fondatore del Teatro Out Off