Un malato immaginario a regola d’ARS

Un malato immaginario a regola d'ARS
Giole Dix e Anna Della Rosa

Il teatro, per Antonin Artaud, è la messa in scena della cattiveria, quella umana. Un uomo ipocondriaco, malato immaginario, scontroso, opportunista e misogino – molto più di quanto basterebbe a farlo risultare “soltanto” maschilista – può esserne la summa.

Molière e l’ultima pièce

Jean Baptiste Poquelin, al secolo Molière, nel 1763 scrisse e interpretò “Il malato immaginario”, la sua ultima pièce. Già molto malato e vicino alla morte, riuscì a portare in scena il suo ultimo Argan, il protagonista della commedia, e andarsene per sempre poche ore dopo. Diversamente da Argan, Molière soffriva di un male incurabile e, probabilmente, le sue condizioni di vita – raminga con la sua compagnia di teatranti – non gli consentivano di indugiare sui mali del corpo e della mente. I tempi erano duri, davvero, per tutti. Ben peggiori per chi si dedicava alle arti teatrali.

La Commedia dell’Arte e i personaggi di Molière

Il testo de “Il Malato Immaginario” è semplice e chiaro: un ironico affresco della inutilità del pensiero dei ricchi nullafacenti, egotisti ed egocentrici al punto da inventarsi una realtà parallela, utile ai propri miserrimi fini. A questo si aggiunge la settecentesca visione delle figure femminili, tema centrale di molte commedie di Molière. Il trattamento riservato alle signore e signorine, a ben pensarci, non era tanto diverso da quello attuale. Con qualche doveroso distinguo.

Serve, figlie, mogli, nella Commedia dell’Arte di Molière, sono personaggi vessati, la cui vita è orchestrata dal padrone, marito e padre. Ma il francese rappresenta l’universo femminile con “una marcia in più”: donne fedeli, asservite, educate e riverenti solo in facciata. Esse mostrano nell’intimo, neppure tanto in profondità, l’incontenibile desiderio di emancipazione. Questo dettaglio è limpido sia nei testi di Molière che ci sono pervenuti, sia nelle messe in scena, le più diverse per stile e caratteri.

Andrée Ruth Shammah e la sua versione de “Il malato immaginario”

Andrée Ruth Shammah (le cui iniziali formano la parola latina ARS, come ha ricordato Jean Blanchaert – e viene da dire nome nomen), ripropone il suo “Il malato immaginario” del 1980, con alcuni piccoli ma determinanti cambiamenti che lo rendono diverso dall’originale: mise en scène essenziale e realista. Un solo ambiente separato da quinte di teli trasparenti scuri, tre lampadari al fondo della scena, qualche spazio vuoto a rappresentare le porte attraverso cui i personaggi si avvicendano. C’è lo stesso portavivande di metallo, che stava accanto a Franco Parenti, primo e indimenticabile Argan, sul quale ampolle e strumenti del mestiere medico, simulacro di ciarlatani ed imbroglioni, volteggiavano nelle mani della cameriera e infermiera Lucilla Morlacchi/Antonia o Antonietta o Antoinette o Tonina.

Ieri e oggi

Oggi Argan è Gioele Dix e Antonia è Anna Della Rosa. L’ Argan di oggi è misurato, come l’originale Parenti. Circostanza che, considerando i caratteri dell’attore che adesso lo intrepreta, capace di slanci vocali e fisici significativi, lo rende lievemente sottotono. Ma a renderlo calzato nel ruolo è la sua capacità di soppesare il lato comico e bilanciando con le prescrizioni del testo, con la regia asciutta della Shammah.

La Tonina ora sul palco è molto diversa da quella del 1980: rabbiosa e aggressiva Lucilla Morlacchi, severa e delicata Anna Della Rosa. La Tonina di oggi è un personaggio più lineare, che nelle pieghe mostra intuizioni contemporanee più adatte al testo. Per chi conosce la bravissima attrice, la sua performance non è una scoperta. Già diretta da altri grandi registi, fra i quali Massimo Castri, Peter Stein e Lluís Pasqual, aveva dato un segno tangibile del proprio talento che il tempo, l’esperienza sulle scene e lo studio hanno rafforzato.

Diversi sono anche i caratteri di Belina del 1980 e quella attuale: Francesca Muzio era la seconda moglie falsa e arrampicatrice sociale senza fronzoli e determinata nel suo obiettivo di rivalsa. Oggi è, invece, una donna frivola, appariscente e  imparruccata.

Le scarpe rosse

Un altro cambiamento significativo è nella figlia Angelica, la tiepida Manuela Verchi della versione degli anni ottanta. Ora è una donna volitiva, innamorata di Cleante, che non intende imporre la propria libertà al padre (del quale subisce un vago timore riverenziale) pur determinata a non essere schiacciata dalle convenzioni sociali. Non è un caso che vi sia un particolare nel suo costume di scena, che mette bene in chiaro quale si il suo ruolo in questa nuova versione della Shammah: le scarpe rosse indossate, segno sociale delle manifestazioni contro la violenza sulle donne.

Forse non si tratta di un’opzione meramente decorativa – posto che anche la poltrona di Argan, il suo letto di Procuste – è di colore rosso. Angelica è lì a rappresentare il diritto delle donne di non essere maltrattate. Neppure da un padre.

La riduzione del testo

La scelta di troncare il testo e portare in scena il lavoro di Molière privo della parte finale nella quale entra la parte della comedie ballade è mantenuta anche nella versione attuale. In tale modo il testo presentato chiude con la critica che Molière fa alla società corrotta del tempo. Perfetta chiusa anche per i nostri tempi e, siamo certi, anche per tutti i futuri possibili.

Il Malato Immaginario, di Molière: traduzione Cesare Garboli, regia Andrée Ruth Shammah, con Gioele Dix, Anna Della Rosa e con Marco Balbi, Francesco Brandi, Fabrizio Coniglio, Piero Domenicaccio, Filippo Lai, Viola Magnone, Silvia Giulia Mendola, Pietro Micci, Marina Occhionero. Scene e costumi Gianmaurizio Fercioni; luci Gigi Saccomandi; musiche Michele Tadini Paolo Ciarchi. Produzione Teatro Franco Parenti.

Al Teatro Franco Parenti fino al 23 ottobre.

 

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