Contro l’idolatria del bello

La bellezza per altro diventa così attributo. Divino. Si consideri il fatto, non di poco conto, che, come segnalato negli appunti precedenti, l’iconografa del divino è, nelle fasi pre classiche, caratterizzato dalla terribilità per progressivamente diventare invece ricerca della rappresentazione prima del caratteristico, poi del bello. Il greco sin dagli inizi dell’età che chiamiamo classica, quando parla del kalos, pensa ad una condizione complessiva, in cui ciò che è sano, salutare, integro, ordinato forma un tutt’uno tanto nella apparenza esteriore quanto nell’atteggiamento interiore. Anche per questo motivo il kalos attiene in linea assoluta anche alla sfera del divino. Avviene una trasmutazione che coincide con la fondazione del logos e quindi delle basi della metafisica. Questa trasmutazione è particolarmente significativa in Platone nel momento in cui viene connesso il kalos con l’agathon e quindi con il divino stesso. Un divino, come vedremo di seguito legato alla luce, al vedere, all’apparire, al fenomenico, all’evento. A questa idea di kalos kai agathos si legano simmetria e verità ed è pantheon … kalon aitia (res 7.517 c). Intendiamo qui metafisica nella sua accezione più vasta e fondamentale (delimitandosi infatti si elimina da se stessa) come intesero i greci: indivisa dalla “santa conoscenza circa le origini del mondo” (mito), e nelle vaste dimensioni dell’alethe (“schiuso”, “vero”), dell’agathon (“buono”) e del kalon (“salvo”, “sano”,”bello”).

Ci può essere una idea di bello oggettivo solo se si pone l’autonomia dei trascendentali, se si considera questi trascendentali come legati agli universali, a valori assoluti. Ricordo che il trascendentale è la proprietà che tutte le cose hanno in comune e che perciò eccedono o trascendono la diversità dei generi mentre l’universale ha due declinazioni: nella forma dell’oggettivo è una determinazione qualsiasi che può appartenere o può essere attribuita a più cose, nella forma del soggettivo è la possibilità di un giudizio di valore per tutti gli esseri ragionevoli.

Posta la questione in questo modo è inevitabile che il bello venga percepito come modalità connessa al bene, alla perfezione, all’ordine o alla stessa verità. E’ un po’ come affermare che il bello non appartiene a questo mondo e che possiamo solo cercarlo, rincorrerlo, e se accade che si renda presente dovremmo con la contemplazione annullare tutti i nostri bisogni, interessi, passioni.

Diventa allora chiara la dinamica o i modi della formazione del bello oggettivo: esso nasce o da una divinità, da un ordine (misura o proporzione) pre umano o non umano, dal mondo delle idee, che sta sopra agli uomini, o dalle leggi della natura. Questioni che possono trovare vari intrecci. Comunque esso potrà presentarsi solo se il prodotto nasce o si adatta a principi prestabiliti che appunto sono il più delle volte ordini, proporzioni determinate, regole, canoni, etc. Il soggetto che, nel caso, può trovarsi a produrre bellezza (noi diremmo l’artista) è il portatore di una abilità sostanzialmente mimetica, adattativa, omoiotica. Cercherà di annullarsi nell’opera. Ciò che dovrebbe emergere è l’assoluto.

Questo modo di pensare alla bellezza che, ripeto, a mio parere, nasce solo all’interno della cultura occidentale classica, permane anche se con diverse trame, occasioni, forme espressive, stili e quant’altro, sino alla metà del Settecento quando si cominciano a mettere in discussione, appunto, modi e funzione dei trascendentali, la mimesi come base della stessa conoscenza e la funzione e il valore sociale e soprattutto politico della soggettività.

E’ comunque necessario ribadire che se il bello oggettivo presuppone la trascendenza, in sostanza un ordine metafisico, ciò che lo caratterizza è il suo apparire. In altri termini il bello è la mediazione tra l’immutabile (il trascendente) e l’accidentale (l’immanente), tra l’invisibile e il visibile e la forza che permette questa mediazione è l’eros. L’esito della mediazione è l’unità. Questo non solo per i Greci antichi, ma anche per gli Stoici, per i teologi della Scolastica, in particolare per San Tommaso d’Aquino e per gli scrittori e gli artisti del Rinascimento. Si ricordi Leon Battista Alberti: l’unità dell’opera, la sua bellezza si ha quando non si può togliere o aggiungere alcunché.

L’apparire accade e tende a presentarsi come un evento, qualcosa che si presenta in un determinato momento, per lo più inaspettato. Accezione ripresa anche da Heidegger nell’uso del termina ereignis, un modo di pensare l’essere non inteso come statica presenza, ma come accedere eventuale. L’evento, l’ereignis connette essere e tempo e predispone l’essere ad essere sempre per altro. E’ il tentativo di Heidegger di risolvere le contraddizioni metafisiche del pensiero greco. Il bello oggettivo per essere tale non può che farsi fenomeno. Si tenga presente che nel greco antico fainomena nasce dalla radice fos , cioè luce. E’ ciò che sta nella luce, che a sua volta ha lo stesso radicale di Theos. Il divino è un aprire alla luce. Questa è la natura del politeismo dell’antica Grecia. Nell’evento dell’apparire della bellezza come mediazione tra invisibile e visibile si manifestava quindi anche la verità stessa, essendo a sua volta la verità trascendente.

Non è un caso se il problema dell’ontologia del bello ha avuto inizio con Platone. Il bello è tale per sé e con sé, eternamente univoco. La bellezza grazie all’eros è il mezzo fatale nella mediazione tra l’accidentale da una parte e il divenire immutabile dall’altra. Il bello conferisce all’uomo il privilegio di essere destinato all’eternità, tiene assieme la verità e l’apparire. La verità e la bellezza si fondono nel manifestarsi dell’idea ed entrambe rivelano l’essere.

Un modo analogo per spiegare il bello nella sua modalità oggettiva parte dall’ipotesi che sia i trascendentali che gli universali possano trovare la loro ragione empirica nella natura, meglio nelle leggi di natura, siano esse pensate e immaginate come implicite o espliciti ai fenomeni. Così come c’è un ordine nel movimento degli astri come nel trascorrere delle stagioni, non potrà non esserci un ordine nelle opere degli uomini. Certo l’uomo può anche andare contro natura, ne va del libero arbitrio, ma se lo fa cade in quello che per i Greci era la cosa più terribile che poteva accadere: la hybris.

Questo legame tra le leggi della natura e la bellezza inizia con Pitagora, visto il racconto fatto in precedenza e viene affermato con forza da Aristotele.

ROBERTO MASIERO 88 Articoli
Architetto, professore ordinario di Storia dell’Architettura, ha insegnato nelle Università di Venezia, Genova e Trieste. Ha contribuito alla fondazione della Facoltà di Architettura a Trieste e della facoltà Design e Arti dello IUAV, della quale è stato Vicepreside. É stato responsabile per l’UE di un Osservatorio sulle Accademie d’Arte.