Contro l’idolatria del bello

SIAMO NEL KITSCH

La forma fenomenica del bello soggettivo sembra incarnarsi in una parola: il kitsch. Il kitsch interessa l’arte visiva, l’architettura, il design, la così detta arte decorativa, la letteratura, il cinema, la fotografia, la musica, il mondo della televisione e dei video giochi, il fumetto, la pubblicità, la cucina (in particolare la pasticceria con la quale, essendo il kitsch un mondo edulcorato, c’è una profonda affinità), la moda, i parchi a tema, il variegato mondo del turismo e dei souvenir e quello della religione e della politica.

Il kitsch è anche un “… vizio nascosto, vizio tenero e dolce, permanente come il peccato”, è il “male radicale” (H.Broch), è “l’arte nell’età della morte dell’arte” e “la mediazione tra arte e non-arte” (A. Moles), è il portato di una estetica come gastronomia, che produce un inquinamento governato dalla inautenticità (T. W. Adorno) . E ancora, il kitsch è il “regno della dittatura del cuore”, il “paravento che nasconde la morte” . Così Milan Kundera che, nel suo L’insostenibile leggerezza dell’essere scrive: .. “prima di essere dimenticati, verremo trasformati in kitsch. Il kitsch è la stazione di passaggio tra l’essere e l’oblio”. Persino una figura più attenta alle questioni dell’ontologia che a quelle della sociologia, o ai comportamenti del quotidiano, come Heidegger si ritrova a evocare il kitsch là dove in Essere e tempo affronta il tema della chiacchiera come linguaggio inautentico, puro fatto comunicativo, privo di riflessione interiore, o, nel suo Contributi alla filosofia, afferma che il crescente appiattimento e svuotamento del nostro tempo, grazie alla tecnica, conduce alla caduta nel kitsch.

Le molteplici dinamiche del kitsch vanno affrontate mettendo in gioco il concetto di autenticità, i meccanismi dello straniamento, le forme del feticismo, le dinamiche che permettono le identità collettive e le logiche della appartenenza, l’emergere con forza, soprattutto nella seconda metà del Novecento, del camouflages, del glamour e del camp, e i rapporti tra cultura di massa e cultura dell’élite, tra cultura “bassa” e cultura “alta”.