Con Testori la donna negli anni Sessanta

la Maria Brasca di Testori e la donna anni '60
Marina Rocco con Filippo Lai in "La Maria Brasca" di Giovanni Testori

Giovanni Testori e la Maria Brasca

Erano gli anni ‘60 e il dialetto era una lingua parlata che diceva molto più delle parole: caratterizzava le persone e le radicava nel territorio.

La lingua è l’elemento che ha fatto di Giovanni Testori (raffinato scrittore, drammaturgo, critico d’arte) un unicum nella letteratura italiana e in particolare in quella milanese. Nato a Novate Milanese nel 1923, Testori ama i suoi personaggi al punto di desiderare, ormai vicino alla fine, di vedere ancora una volta sul palco il suo personaggio vincente, l’unico del suo teatro: la Maria Brasca. E non è un caso che sia proprio lei, la Maria Brasca, ad aprire il ciclo che il Teatro Franco Parenti dedica a Testori, nel centenario dalla nascita. Seguiranno poi l’8 maggio “Testori con-sonante”, un’indagine sulla lingua testoriana e dal 7 al 9 giugno lo spettacolo “Cleopatràs” con Anna Della Rosa diretta da Walter Malosti.

Scritto nel 1959 e portato sulle scene l’anno successivo, “La Maria Brasca” è un testo che nella sua semplicità raccoglie il senso dell’umanità di quegli anni. La vita operaia che si svolge tra le quattro mura di una piccola abitazione di periferia e la fabbrica. La casa, la famiglia, la sottomissione e i primi – e antesignani – fermenti di ribellione femminile.

Maria è una donna giovane, lavoratrice, che vive con la sorella Enrica e la sua famiglia. In fabbrica e per il quartiere è oggetto di pettegolezzi per la sua instabile vita sentimentale. Prima un uomo, poi un altro, e poi il Romeo Camisasca, con l’articolo determinativo, come si dice in milanese. Un bel giovane, di qualche anno minore di Maria. Ma scansafatiche, o troppo presto rassegnato alla disoccupazione.

E già questo è una forte rottura per quel tempo. Ancora oggi, ne siamo certi, mentre accettiamo di vedere uomini maturi scaricare le mogli per belle fanciulle, fatichiamo a concepire il contrario. In più, Testori fa di Maria la donna che lotta per avere il bel Romeo tutto per sé, non curandosi delle dicerie e delle altre spasimanti.

Ci si può domandare se Maria lotti perché spaventata dalla solitudine che si aprirebbe senza Romeo. Oppure se l’accanimento a non perdere l’amato sia più una questione di orgoglio. Infatti Maria è una donna determinata, libera, sciolta nel parlare e nel pensare. È concretamente emancipata e i vincoli che la società e la vita operaia le impongono le stanno stretti. Parla di sesso e lo fa senza alcuna vergogna dove può, come è giusto che sia. Testori ci mostra come funzionava la vita sessant’anni fa, rendendola con un’attualità che disarma. Non nega ai personaggi della pièce – Maria, Enrica sua sorella, Angelo il cognato e Romeo – la rassegnazione nel loro stato sociale. Sono tutti dentro il ripetitivo ritmo della loro esistenza. Accettano ciò che sono e quel che fanno. Gli slanci di miglioramento provengono dalle donne, da Maria e da Enrica, se pure con differenze sostanziali.

Dal testo alla rappresentazione

la Maria Brasca di Testori e la donna anni '60
Filippo Lai e Marina Rocco in La Maria Brasca di Giovanni Testori – Regia di Andrée Ruth Shammah – Foto di Lorenzo Barbieri

La prima regia de “La Maria Brasca “, nel 1960, è affidata a un giovane Mario Missiroli che sulla scena dirige Franca Valeri, per la quale Testori scrive il testo. Trent’anni dopo, nel 1992, Andrée Ruth  Shammah vede in Adriana Asti la sua Maria Brasca. E così come la Asti salutò la grande Valeri una volta diventata lei stessa la protagonista, oggi la Shammah trova la sua nuova Maria in Marina Rocco. Il testimone questa volta passa attraverso una voce fuori campo e un bacio. Un momento poetico che non sveliamo e che accostiamo ai molti rimandi ai tempi vissuti con Testori che la Shammah porta sulla scena. Il rumore del treno che passa e le stoviglie sul gocciolatoio che tremano, il suono delle campane, una voce – quella di Testori – che grida, una radio che suona una nota canzone di Adriano Celentano.

Il cast è ben scelto: Marina Rocco è una fresca e spontanea Maria Brasca.  Giovane, come nel testo dell’autore, che nasconde una volontà ferrea a fronte di un aspetto angelico. Riccioli biondi e grandi occhi chiari sono la veste della rivincita femminile ante litteram, che contagia anche l’Enrica, la bravissima Mariella Valentini. Un testo che mette alla berlina i personaggi maschili ii quali, quando non sono vili traditori come il cognato Angelo (in scena l’eccellente Luca Sandri) sono nullafacenti che contano solo sull’apparenza (il Camisasca è un bravo Filippo Lai, fiorentino, che l’incanto del teatro trasforma in un milanese quasi doc).

La scenografia intima, firmata da Gianmaurizio Fercioni, è quella del 1992, così come le musiche di Fiorenzo Carpi. I costumi sono stati ricostruiti grazie al minuzioso lavoro di raccolta delle note della responsabile della sartoria di allora (Carmela), ritrovate da chi ha preso il suo posto, sua nipote Simona Dondoni. La regia è ancora quella di Andrée Ruth Shammah, che ripropone “La Maria Brasca” con alcuni accorgimenti, frutto della memoria e dell’amorevole riconoscenza verso Testori.

Un ambiente raccolto, la piccola casa con finestre sulla ferrovia, il rudere dove Maria e Romeo si appartano. Intorno ci sono le foglie di un inverno milanese, raccolte con una scopa di saggina che si piega una, due volte. Si piega ma non si spezza, come la Maria Brasca.

La Maria Brasca di Giovanni Testori, regia di Andrée Ruth Shammah

con Marina Rocco, Mariella Valentini, Luca Sandri, Filippo Lai

scene Gianmaurizio Fercioni, costumi Daniela Verdenelli, luci Oscar Frosio, musiche Fiorenzo Carpi, riallestimento a cura di Albertino Accalai per la scena e Simona Dondoni per i costumi

Produzione Teatro Franco Parenti / Fondazione Teatro della Toscana,

Al Teatro Franco Parenti fino al 5 marzo.

Della stessa autrice: La pioggia redentrice di Lisa Ferlazzo Natoli al Teatro Franco Parenti