Denatalità, cruccio di 8 miliardi di persone

Denatalità, cruccio di 8 miliardi di persone

 

L’annoso tema della denatalità, fenomeno che interessa molte delle società occidentali dal tenore di vita più agiato, potrebbe nascondere, a nostro parere un tema molto più interessante.
E’ ormai un luogo comune lamentarsi della tendenza conclamata delle giovani famiglie italiane di fare pochi figli. Le cause sono, di volta in volta, individuate in diversi ambiti: sociologici, psicologici o monetari. Una società delle comodità e dell’egoismo, una liberazione della figura della donna non più legata al ruolo riproduttivo così come i rapporti di coppia, l’impossibilità di raggiungere salari stabili e adeguati all’avvio di una famiglia. La popolazione italiana sta, quindi,  effettivamente calando da un paio di decenni e continuerà in modo, alcuni dicono, irreversibile. 

Umani troppo umani

Contemporaneamente però, su questo pianeta, non siamo mai stati così tanti. Otto miliardi di esseri umani è un dato impressionante soprattutto se pensiamo che nel 1950 ammontava a 2,5 miliardi. Solo 70 anni fa.  Allungamento della vita media grazie alla medicina, diminuzione della mortalità infantile, tecnologie e risorse che hanno permesso la colonizzazione di sempre nuovi ambienti. Città sempre più popolose e costruzioni con sempre più piani. Si stima che impiegheremo solo altri 12 anni per raggiungere i nove miliardi. 

Allora a chi dobbiamo credere?

Entrambe le cose sono ugualmente vere ma si apre un dilemma identitario. Si tratta di capire in quale categoria dovremmo iscriverci. Siamo italiani o siamo categorizzabili come essere umani? Come italiani dovremmo temere l’estinzione, come popolo terreste la sovrappopolazione. Entrambe possibilità, forse, catastrofiche. E se proprio dovessimo mettere queste due identità su una bilancia, sarebbe più importante l’essere italiani o essere umani?

Etnia o biologia

Si tratta di compiere una scelta epocale. Legarsi caparbiamente ad un elemento etnico locale e quindi lottare ciecamente per difendere un ceppo culturale, tradizioni e abitudini costi quel che costi. Oppure comprendere il delicato equilibrio ecologico che rischiamo di spezzare con richieste energivore sempre più esose come umanità e darci una regolata. Il tema, quindi, è una questione di identità e di impronta ecologica. Un rapporto, quello con il pianeta, che non si può affrontare per singoli stati.  Fino a poco tempo fa l’idea di una globalizzazione totale, non solo commerciale, faceva prevedere una omogeneizzazione delle culture. Oggi, tra pandemia, sospetti reciproci tra stati, il ritiro delle forze americane da territori divenuti instabili e la guerra in ucraina le cose sono cambiate. Sarà interessante capire quale delle due visioni prevarrà. 

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