“Au bord,” la parola liberata dalle immagini a Triennale Teatro

Foto © Cosimo Trimboli, Romaeuropa Festival

Triennale Teatro presenta Au bord di Claudine Galea, drammaturga pluripremiata di Marsiglia, che vive a Parigi. Interprete Monica Piseddu – attrice di straordinaria qualità anch’essa pluripremiata – diretta da Valentino Villa, regista italiano dallo sguardo aperto che ha appreso molto da Luca Ronconi. Au bord è un testo che scava nelle profondità del visivo e delle parole, scrivendo in definitiva del teatro in senso contemporaneo.

Au bord in versione italiana

Il testo di Claudine Galea è presentato nella versione italiana con la traduzione di Valentina Fago e l’apporto artistico di Sander Looner per lighting and stage design, Fred Defaye, sound design e Marco Angelilli, ideatore dei movimenti scenici. Non può sfuggire che il lavoro, elegante, esteticamente impeccabile sia sotto l’aspetto visivo  (scene, luci, costumi) che del suono (scene, luci, costumi) intende muovere altro: scandagliare le connessioni tra ciò che sta in superficie e ciò che è sepolto sotto di essa, liberando immagini da altre immagini, parole da altre parole.

"Au bord," la parola liberata dalle immagini a Triennale Teatro
Foto © Cosimo Trimboli, Romaeuropa Festival

Immagini e parole

Il testo della Galea è sciolto, un fluire di idee che scaturiscono dalla psiche della protagonista, ispirate da una fotografia. L’immagine è lo scatto pubblicato dal Washington Post nel 2004 e che colpì per la brutalità, l’inumanità dei soldati statunitensi a carico di uomini, loro prigionieri e detenuti nel carcere di Abu Ghraib in Iraq. Un crudele “reportage” realizzato dagli stessi militari Usa che indignò l’opinione pubblica,  anche se per poco tempo.

Dal silenzio alla scrittura

In seguito, l’assoluto silenzio caduto sui fatti documentati ha spinto Claudine Galea a opporre il “suono” della sua scrittura. Questa, privata delle regole narrative convenzionali, pone l’accento sui pensieri evocati dall’immagine della militare donna che tiene al guinzaglio un uomo. Nella cruda e abnorme normalità dello scatto, Claudine Galea fa parlare la protagonista che guarda quell’immagine mentre si susseguono pensieri che dall’immagine scivolano evocandone molti altri. Nel contempo le parole perforano sempre più la protagonista nell’intimo, mentre racconta della sua amante perduta e del ventre nero della figura materna prossima alla morte.

Pensieri liberi, il linguaggio di Au bord

Dall’immagine di Abu Ghraib, appena percettibile e a intermittenza e della donna militare che tiene al guinzaglio il prigioniero nudo e torturato, si passa alla tortura per l’amore finito, all’amante, alla madre. La Galea guida lo spettatore nella frantumazione caleidoscopica delle immagini da cui sgorgano ricordi. Il tutto restituito mediante l’adozione di un linguaggio talvolta crudo, estorsivo della verità più profonda e una fatica che sulla scena Monica Piseddu incarna alla perfezione.

Nell’accavallamento nella psiche di immagini, da cui altre si generano, Monica Piseddu è l’essere etereo, coperto da una lunga chioma bianca che spesso le copre il volto. La sua figura è intenzionalmente offerta fuori fuoco allo spettatore, in virtù delle splendide luci e dello spazio scenico vuoto e reso dal regista priva di definizione visiva.

L’effetto sfocato di Valentino Villa suggerisce quanto Claudine Galea esprime: il margine, il bordo, il limite non circoscrive il correre del pensiero che, aperto e libero, porta lontano.

Au bord  di Claudine Galea, 

traduzione: Valentina Fago
regia: Valentino Villa
con: Monica Piseddu
collaborazione al progetto: Monica Piseddu
movimento: Marco Angelilli
luci, stage design: Sander Looner / ARP Theatre Limited
sound design: Fred Defaye
produzione: Romaeuropa Festival, 369gradi
coproduzione: LAC Lugano Arte e Cultura, Triennale Milano Teatro
con il sostegno di: Toscana Terra Accogliente, Olinda
Triennale Teatro, 29-30 novembre 2022.

 

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