Marco Almaviva, destrutturare per una visione cellulare di piglio primordiale

 

Vi è nella Filoplastica di Marco Almaviva una magmaticità polarizzata da impellenti ordini biologici, forse in accordo ad un’intima, mentale pellicola darwinista in cui l’aggressione sembra precedere la riformulazione di un caos presente negli arcaici contenuti vitali. Queste sue manifestazioni plastiche avvertono, sin dagli inizi degli anni Settanta, l’esigenza d’una capillare destrutturazione per una pittura che vada oltre il supporto, ideale punto di partenza anche per quel desiderio di ‘trasparenza’ già accolta dal nuagisme informale di Julien Alvard (1916–1974) degli anni Cinquanta.

Nessuna regola precisa

Le manifestazioni di Marco “non rispondono”, per Gérard-Georges Lemaire, “a nessuna regola precisa. Hanno in comune solo questa negazione dei loro presunti modelli. Alcune sembrano composizioni statiche dislocate e rielaborate; altre, al contrario, ci sembrano come portate via da un vento violento e dilatate nello spazio assegnato. Questo gioco, che ha il titolo generico ‘Filoplastica’, denota l’esigenza del suo autore di sottrarsi a ogni interpretazione” (1).

Lineare BPF,, colore olio, Literal Texture, cm. 58 x 83, 2020

Comunque, è attraverso i suoi dipinti ‒ espressi tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta (l’Anelito traduce sùbito tale spirito) ‒ che la palmare tensione, lanciata verso una visione cellulare caparbiamente estesa su ogni primordiale aspetto del mondo organico, si esprime maggiormente, con ampiezza di particolari visivi, nel ribollire di fluidi, corpuscoli, frantumi di particelle come testimonia la grande tela del 1967, Palpito primordiale [fig. 2].

La visione matura

Ma è nel proseguo del suo lavoro che il rilievo di pulsanti membrane citoplasmatiche dai confini arrotondati segnala la sua matura visione di un descensus nella estensibile e plastica forma della realtà: per aggettanti spicole alla volta di una cinetica improvvisa, in quanto resasi necessaria dall’improcrastinabile weltanschauung dell’artista ligure (1934), figlio di Armando Vassallo, scultore e decoratore prossimo al Secondo Futurismo.

Una nuova postura etico-creativa

Si potrebbe affermare che tale necessità di scrittura sia resa più impellente proprio per una rinnovata postura etico-creativa rispetto alle folgoranti apparizioni dei dipinti relativi alla precedente fase “tonale-timbrica” (antagonismo tra ‘elementi tonali’ e ‘segni timbrici’). Uno spazio elaborativo (meditato tra interiori dibattiti sullo spazialismo di Fontana e il suo ‘taglio’) visionariamente carico di forti suggestioni formali legate ad una particolare accesa bidimensionalità tecnico-espressiva, da cui il mantenimento di pregnanti effetti visual che si rivelano sempre più probanti per una loro prossima decostruzione.

Ha una sua incisiva rilevanza l’incontro, nel 1965, tra Almaviva e Giorgio Kaisserlian, ‒ critico firmatario, nel 1947, con Beniamino Joppolo e Milena Milani (2), del “I Manifesto dello Spazialismo”, ‒ proprio per quell’aver introdotto l’artista ligure agli inediti esiti spazialisti sospingendolo verso una pittura che si potesse concretare al di là della precostituita planarità di superficie.

Soprarco, olio su truciolato, cm. 90 x 60, 1972
“Filoplastica”

Saranno tali elementi a consentire lo slittamento nel fluttuante territorio della “Filoplastica” maturata da slanci di forte emotività i quali, per la loro energia, ci conducono all’idealità poetica aleggiante sul portato d’infinitezza sentita da Nicolas de Staël. Il multiplo valore sensoriale qui è ampiamente percepibile, in similitudine all’arte sinestetica, per quella volontà di superamento d’ogni barriera anatomo-fisiologica della percezione e dell’introiezione coscienziale, come già abbiamo letto in tanti esempi: da Kandinsky a Hockney. In tal modo la materia resa visibile da Almaviva, nel suo essere tremula e sfuggente, mostra dall’interno materico e figurale il senso della sua innata capacità di moltiplicazione nel continuo ritratto di organismi colti in atteggiamenti mitotici, come nell’opera Nucleo M [1980, fig. 3], e nelle ripide quanto rapide trasformazioni tanto da poter essere lette nell’intenso olio di gusto embrionale, Avvolgimento del 1972, ben celato dall’imponderabile cupezza di un ignoto (quanto meno per teleologismo) input biologico.

Materia e geometria

Ce lo suggerisce lo stesso artista col suo Dal cupo del 1980: materie visive incanalate lungo strutture geometrizzanti in cui si avverte una sorta di raggrumata primitiva emolinfa, viscosa, simile a ciò che ben conosciamo nei corpi di artropodi e molluschi. Tale viscosità, generatrice di pulsioni cariocinetiche, nel modo in cui la registriamo nell’evoluzione dei primati in maggior misura sviluppata e differenziata, dispiega e rafforza il suo messaggio sul rapporto inestinguibile tra arte e cellularità, e quella sua geometria (animale e vegetale) nel modo chiaro e luminoso che si può cogliere dal germinante dispositivo intellettuale di Paul Klee.

La poetica dell’esistenza

È nelle stesse parole rilasciate da Almaviva che osserviamo da vicino la profonda relazione della sua poetica all’esistenza, avvertendoci dell’esclusione di ogni possibile metafisico approdo: si tratta, viene ribadito, di una “risposta ad una realtà che ci sovrasta, solida e organizzata, nei cui confronti le ragioni dell’io sono ben poca cosa”, cosicché tale solidità determina “l’esito della Filoplastica, coerentemente con le ipotesi iniziali della Tonaltimbrica, rientra[ndo] per forza in un orizzonte materialistico all’interno del quale tutte le nostre umane aspirazioni devono ricondursi” (3).

 

Archetipo 2, colore olio, Literal Texture, cm. 43 x 83, 2019
Forma e materia

Forme, dunque, materie, strutture in concorrenza biologica prive di misericordia ma non certo sprovviste di fascino, principi della metamorfosi in pervasive teche cellulari dall’aspetto nebuloso, a volte stazioni in forma di microscopici gasometri, il tutto tradotto per singoli prodotti espressivi provenienti dal primordiale ‘brodo prebiotico’ in cui vengono tracciati e resi riscontrabili in quella ‘linea filetica’ delle Cenancestors: gli ultimi progenitori comuni dell’attuale biosfera. Uno sludging, narrato sovente da Marco, in cui l’agglutinamento delle sue forme consente un’ulteriore capacità aggregativa tradotta in costruzioni piramidali, in spicolari scatti ameboidi risucchianti all’interno le periferiche atmosfere pigmentarie. Un riprodurre, tra grigi, bianchi allarmanti e flebili ombre d’ocra, quel gioco di estreme vitalità proiettate verso lontananti quanto inimmaginabili approdi.

Forma e spazio

Altre volte tali forme raggrumate, ora impilate in colonne, ora espanse in cavernose tracce sul supporto, si dilatano fino alla frantumazione lasciando sul terreno minuscole secrezioni tratte da un ipotetico processo moltiplicativo; altre volte si avvoltolano in vaghe geometrie che ci sollecitano a ricordare, per altre estetiche, le espressionistiche astratte pezzature di un Antonio Scordia.

Quando il tessuto si scompone in tagli giallastri, ecco affiorare il purissimo reticolo vitale, pronto ad altre lacerazioni, ferite, escavazioni al fine di stabilizzarsi nel restringimento d’uno spazio da occupare nel modo più armonioso e in una prossemica la cui sonorità spaziale possa mettere in luce, con chiarezza, il rapporto spazio-ambiente-oggetti in quella precisa linea di sguardo tra l’artista e la corporeità. In tali grumi, in cui la materia palpabile offre alla vista Rassegna una sorta di endoscheletro, è il fluidificarsi di un cromo, ora collose azzurrine trasparenze o di travolte gemme in verticalizzate efflorescenze [Fioritura, 1971; fig. 4], o ancora di un rosso cupo che imbriglia tralci d’azzurro, a consegnarci l’esito perentorio ricompattato in un possibile, unico monolite cellulare.

Composizioni fluenti

È il momento in cui le forme emettono una sorta di gemizio fino a colare giù per biologici pendii, per intimi corpi, lungo materie riposte tra il vegetale e l’animale vicine al fiato di una anfrattuosa fessura o per pliche bagnate da escrezioni dando avvio ad una futura ricomposizione.

Da ciò rimbalzano paesaggi, stratificazioni geologiche popolate da insulari morfologie proiettando, dal loro intestino, diafani corpuscoli, minuzie di organuli, ritagli di polveri convergenti in un tocco bianco, nella ialina traslucidità di fogli piumati. Le ‘forme fluenti’ di Marco – interessante l’approccio critico-storico confezionato, nel 1986, da Ruggero Pierantoni in Forma fluens (4) – rese armoniche, così come accade per gli interroganti pastelli dell’artista Mario Coppola a lui coevo, confluiscono nella totalità epicentrica dell’uomo oggi immerso nel suo degradato e dolente antropocene.

Qui rileggiamo, con Marco, i suoi ectoplastici laminanti Flussi (1988) circonfusi da vibratili strutture ciliari per poi riapparire in morfologie addensate, spicolari come possiamo leggere in Varrine (2000).


Varrine, olio su tela, cm. 151 x 130, 2000

Ed ecco che essi paiono legare, nel bagliore improvviso di un tragitto velocissimo, i graffiti paleolitici all’action painting di Jackson Pollock, per poi sbiadire, sconfinare e far ritorno, negli Archetipi [1 e 2 del 2018/’19; fig. 5] carichi di ogni oggetto naturale indagato, pronti per essere riconsegnati alla visibilità di un mondo tutto da riconoscere. Come le petrarchesche rime sparse dei ‘Fragmenta’, i segnali di Almaviva paiono rincorrere altre stringhe d’universo. In uno spingersi ancor più lontano, ecco che la griglia di tale geografia astronomica s’infittisce sul tapis roulant dei suoi Lineari (2020/’21) in Rectoversi [fig. 6].

La pittura e la superficie

Mosso dalla continua spinta creativa l’artista stende una pittura che si vuol mostrare, per quanto possibile, sganciata da una precostituita superficie. Ciò fa sì che, nel 2019, con la produzione dei primi Artefatti (mostrati, per la serie dei ‘Lineari’: Archetipi e Rectoversi, nella recente personale alla Casa della Cultura di Milano dal 17 maggio al 4 giugno 2024 ), la sua rivoluzionata pittura si esistenzia in quel suo precedere fuor dal supporto alla ricerca d’una autonomia dalla flatness (la necessaria indipendenza dalla planarità).

Archetipo e Rectoverso, raccontano quindi l’autogestione della pittura dalla cogenza della superficie: sganciarsi, dunque, dalla metrologia legata ad immagini in superfici planari per un’arte che nutra ancor più l’aderenza tra il dipinto e la sua letteralità. Ciò che fu cammino fruttuoso della Filoplastica si va desertificando, essa: rifrantumata, imbrigliata e immessa in un reticolo ri-creativo, ricomunica, in tale literal texture, il suo agognato approdo, anche nell’inquietante umanissimo “rischio” del praticare, in arte come nella vita, la certezza.

NOTE

1.Gérard-Georges Lemaire, In the meanders of the force of nature, in: Marco Almaviva. Filoplastica and its developments, ed. by Gérard-Georges Lemaire, Carmelo Strano, FYINpaper and InnerSelf publishers, Milano 2022; p. 64. Marco Almaviva. Pittura oltre il supporto, dalla Filoplastica agli Artefatti, Casa della Cultura, Sezione Arti Visive Contemporanee (curatore scientifico C. Strano); tra i molteplici interventi: Marziano Almaviva, Marco Marinacci, Milano 2024.

2.Su tale fondativa atmosfera culturale utile anche il racconto di Milena Milani: Uomo e donna, in Lucio Fonta Concetti spaziali (premessa di Beniamino Joppolo), Ed. Nicola Moneta, Milano 1950.

3.Almaviva, sull’origine della sua poetica, dalla Tonaltimbrica alla Filoplastica, avverte: «In origine, e nel percorso che è giunto alla Filoplastica, vi è stata una certa consonanza con le tematiche dell’esistenzialismo (l’angoscia e la gratuità dell’esistente, ad esempio), ma la mia condizione non era quella di un disagio indefinito di fronte al mistero dell’essere. Non ho mai privilegiato la dimensione di una soggettività che reclama la propria centralità» in: Una conversazione con Marco Almaviva, in Filoplastica and its developments, cit.; pp. 99-111.

4.Ruggero Pierantoni, Forma fluens: il movimento e la sua rappresentazione nella scienza, nell’arte e nella tecnica, Bollati Boringhieri, Torino, 1986. Agile e innovativo anche il suo: Salto di scala, Bollati Boringhieri, Torino 2012.

 

Marco Almaviva nasce a Novi Ligure nel 1930. Inizia il suo apprendistato culturale verso la fine degli anni Cinquanta a Brera. Il padre, lo scultore Armando Vassallo (maestro e sodale di Francesco Messina), fu presente alle Biennali veneziane del 1928 e 1930. Il lavoro creativo di Vassallo (va ricordato), volto ad innovativi progetti estetico-formali, non fu di certo in linea con l’imperante classicismo favorito dal regime fascista. 

 

Una collaborazione con Papireto 254, III (2024)

Articolo precedenteIntorno alla pulsione, rivoli e fiumi
Articolo successivoLa danza dentro / Contraddanza
ALDO GERBINO
Morphologist, poet, former Professor of Histology and Embryology at the University of Palermo and Emeritus from the Italian Society of Experimental Biology. Art and literature critic. Recent poetry publications: “Alla Lettera erre” (Almanacco dello Specchio, Mondadori 2011), “Non è tutto” (Club di Milano 2018). His poems have been featured in:"Nuovi Argomenti", "Corriere della Sera", "La Repubblica-MI", "Gradiva", ERI-RAI Editions. Morfologo, poeta, già Ordinario di Istologia ed Embriologia all’Università di Palermo ed Emerito della Società italiana di Biologia Sperimentale. Critico d’Arte e letterario. Recenti pubblicazioni di poesia: “Alla lettera erre” (Almanacco dello Specchio, Mondadori 2011), “Non è tutto” (Club di Milano 2018). Sue poesie in “Nuovi Argomenti”, “Corriere della Sera”, “La Repubblica-MI”, “Gradiva”, Edizioni ERI-RAI.