Federico De Leonardis espone a Genova un vuoto pieno

Federico De Leonardis espone a Genova un vuoto pieno
Federico De Leonardis, a sinistra,a con Manuel Teles (foto Giuseppe Petringa)

Ligure di nascita e milanese d’adozione, Federico De Leonardis da sempre progetta e crea nello e per lo spazio che lo ospita. Il suo lavoro è costantemente alla ricerca di un equilibrio delicato fra la presenza, affidata sempre a scarti, tracce di eventi di energia sviluppatasi altrove, e l’assenza, affidata alla memoria automatica comune a tutti noi.

In mostra il “muro” di De Leonardis

La Galleria Sharevolution contemporary art di Genova, in collaborazione con la Galleria Michela Rizzo di Venezia, è tornata a occuparsi dell’artista recentemente (fine 2024). Titolo: Carcere d’invenzione IX. Attingiamo dall’ampio ed esauriente comunicato stampa. Tema: l’invisibile inteso come imprevisto, con la sua terribile presenza all’interno di ciascuno di noi, dietro il muro, quel
muro che protegge il nostro inesauribile immaginario.

L’arte e il vuoto

Per De Leonardis, l’arte oggi è tesa a riempire il vuoto. L’artista, infatti, non intende il vuoto come concetto astratto ma come parte della nostra vita sin da subito. “Il vuoto come tempo, un tempo più concreto e potente di quello che vediamo scorrere sui nostri orologi e che ha sempre un effetto e avanza a scatti imprevisti e definitivi”.

Scrive ancora l’artista: “Il vuoto è un corpo concreto, uno spazio percorribile e vivibile.
In un mondo che denuncia oggi in modo lampante il suo horror vacui e che per fuggire la paura della morte riempie ossessivamente ogni spazio, inquinando ogni angolo visivo” come si legge nel comunicato stampa, De Leonardis è artista della tabula rasa, del passo indietro. Non mostra gli oggetti, ma procede alla loro preliminare cancellazione, lasciandone solo dei resti, non tanto per sottrarli alla vista, quanto per renderli più visibili. In apparente contraddizione con le sue origini e i suoi studi, distrugge anziché costruire, svuota anziché riempire, lasciando semplicemente alcune tracce, che scavano però nel profondo di tutti noi memorie sepolte e finalmente riemerse.

Lo spazio

L’installazione proposta dialoga con gli spazi della galleria attraversandone l’architettura e dando vita a un discorso sospeso tra i suoi muri. Nelle sue Carceri d’invenzioni sottrae le catene a strutture carcerarie, liberandole da stereotipi di costrizione, punizione, internamento obbligato. La linea catenaria che attraversa lo spazio di ingresso della galleria converge verso il centro a determinare la cornice di un vuoto sospeso sul quale si orienta lo sguardo dell’osservatore, condotto, dal vettore direzionale, oltre il muro. La catena prosegue intersecando in punti, altezze e angoli calcolati, la struttura muraria e il pavimento.

I luoghi e la storia

E così lo spettatore può riappropriarsi dello spazio, vivendone la fisicità e insieme la storia, in questo caso secolare, del palazzo che ospita l’installazione. In altri termini, lo spazio viene percepito sensorialmente e mentalmente agito, come Federico De Leonardis dice: “La ricchezza di allusioni storiche nei grandi ambienti rinascimentali della galleria, affacciata a una delle piazze più importanti del centro storico della città al primo piano di Palazzo Doria, ha ispirato il mio lavoro, da sempre attento ai riferimenti spaziali e storici degli spazi in cui espongo. Il titolo della mostra, mutuato dalle celebri stampe di Piranesi, è indicativo di un rovesciamento: a essere in carcere è l’invenzione e conseguentemente l’occhio del visitatore”.

Oltre il concettuale

Definire concettuale questo architetto dello spazio è riduttivo: in lui la materia è prima di tutto il calco di un’energia impiegata da altri, fisica e psichica nel contempo, e non ha alcun valore formale in senso stretto. La forma a cui pervengono le sue opere è più per sottrazione che per aggiunta e i vuoti, attraverso la materia che li connota, costruiscono geometrie semplici ma rigorose, elementarizzando la tensione euclidea tipica dell’architettura, così come gli Specchi infranti posti in galleria, nei quali è esplicita la polarità di pieni e vuoti, sono quasi un ready made, ormai avulsi da ogni riferimento funzionale, di cui l’artista vuole evidenziarne la tensione e l’energia. L’atto di rottura diviene testimonianza e residuo di un’energia passata di cui l’oggetto – lo specchio – conserva la memoria.

Urbanista e artista

Federico De Leonardis (La Spezia, 1938) vissuto a Lerici fino al termine del liceo, ha stu-
diato ingegneria prima a Roma e poi a Genova e successivamente architettura a Firenze. Dal 1963 vive a Milano dove per una decina d’anni ha lavorato come urbanista, partecipando allo studio operativo di Piani di Sviluppo Industriale per la Cassa del Mezzogiorno e Piani turistici per varie regioni. Abbandonata la professione, dal 1973 si
dedica esclusivamente all’arte. Dopo un periodo di volontaria clausura di studio, la prima mostra personale (ex S. Carpoforo a Milano, 1978) inaugura la sua carriera d’artista, che lo vede partecipare nel tempo a numerose personali e collettive sia in Italia che all’estero.

Le costruzioni spaziali di De Leonardis

Facendo tesoro delle passate esperienze nel campo dell’architettura e dell’ingegneria, la sua ricerca mantiene vivo interesse per la spazialità, producendo lavori che trovano la loro espressione ideale soprattutto in grandi installazioni, sia in spazi privati di galleria che all’aperto in spazi pubblici.
Le sue opere non possono definirsi sculture nel senso stretto della parola, ma costruzioni spaziali che coinvolgono i materiali più disparati legati alla storia dei luoghi spesso non deputati che le ospitano: nelle sue installazioni De Leonardis ama lavorare sui resti di una memoria ancora viva legata ad essi, utilizzandoli come calchi di un passato indelebile di cui narrano la storia.

Materiali di “risulta”

Uno dei primi lavori realizzati dall’artista nasce a Lerici, nei luoghi della sua infanzia, ed è memoria di quando da ragazzo raccoglieva sulla battigia oggetti abbandonati che il mare trasforma col suo incessante movimento fino a renderne irriconoscibile l’origine e la funzione. L’installazione, costituita da migliaia di resti naturalizzati da lui raccolti sulle rive di tutto il Mediterraneo, è stata presentata una prima volta a Stuttgart, in occasione del IX Kunstistorische festival (1979) e successivamente al Museo del Palazzo dei Diamanti a
Ferrara nei primi anni Ottanta.

L’interesse per la materia disfatta o consumata dall’uso, suscitatrice di memorie collettive è evidente in tutte le installazioni successive, in cui si evidenzia una pregnante attenzione al valore del vuoto, all’assenza piuttosto che alla presenza. Fare un elenco delle sue numerose invenzioni, nel senso originario della parola, è sterile: le opere di De Leonardis (i Musei, i Muri, le Carceri, le Compressioni ecc.) vanno viste direttamente. Come ha espresso chiaramente Luigi Grazioli in un racconto a lui dedicato, nei suoi lavori bisogna attraversare
uno spazio che ti attraversa e le immagini fotografiche o digitali che li documentano, pur necessarie e indicative, sono del tutto insufficienti a esprimere il complesso messaggio.