Cristina Cary’s alchemical world at Casa della Cultura/ Oggetti e spirito in vibrazione

Cristina Cary's alchemical world at Casa della Cultura/ Oggetti e spirito in vibrazione
Metergreen, cm. 30 x 30

Till mid-March, I present at the Casa della Cultura Milano an exhibition by Cristina Cary. She is an old acquaintance linked to those few Milan artists to whom Pierre Restany paid his attention of  and that I therefore often happened to see.

I knew her work, I respected her stubbornness and her intelligence in research and its results, but attending her sporadically, due to chance’s strange whims.  All the more reason why I have taken advantage, now, of this circumstance, curating this exhibition and writing some thoughts about her.

Active since the second part of the Seventies, Cristina Cary still today maintains her coherence regarding her methodology of approach to her artistic production. I use this socio-economic term on purpose. It in fact underlines her flexible and constant relationship with the material.

The beginning

At the beginning she had to deal with New Realism and Arte Povera. The first maintained its “aura”, even if it had appeared between Milan and Paris, in 1960. In addition, ten years later, the Lombard capital was invaded by installations and performances that Arman, Rotella, Klein, Spoerri, etc. created to celebrate, curators Pierre Restany and Guido Le Noci, the ten years of success.

It was urban art or, at least, with materials connected to the city. On the other hand, Arte Povera (from 1967) grafted the biological element into this extra-objective polymaterialism, or at least this tended to happen (see chapter two, no. 2 “Arte Povera and its surroundings: emblematic experiences” of my book “The Seventies/ The Orientations of Western Art between Society, thought, Technology”, Skira, Milan, 2005).

Alchemy

Cristina Cary takes advantage of the two historicized tendencies. She grafts the biological element of Arte Povera onto new-realist terrain. But she does this with the patronage of two fundamental elements of Marcel Duchamp.

First of all, a certain expressive asepticity (which goes well beyond linguistic dryness) and which the French artist has synthesized with his concept of “beauty of indifference”; furthermore, from the author of the “Large Glass”, Cristina Cary is imbued with alchemy: an existential condition and not simply a cultural attitude.

Cristina Cary's alchemical world at Casa della Cultura/ Oggetti e spirito in vibrazione
Heavenly Garden, tempera, aquatint, pencil, cm. 50 x 40, 1979

As for the Biologico Povero, from it she has drawn inspiration to start a path of both a material and spiritual approach all her own. In fact, she learns to make each element put on stage speak or “sing” when she builds her work. Particularly emblematic of this is the series of works, also in large format, called not by chance “Planetary Heart”. An expression in which her beloved Yves Klein peeps out – silently – with his spiritual dimensions of astronomical approach (he said that sensitivity was the “currency of the universe”).

A varied and surprising production

I have tried to trace the foundations of Cary’s ideational and emotional path. But there is nothing mechanical or automatic in all this. And there is no lack of enjoyment, nor irony. Nor the subtle socio-ethical message almost in the manner (positive in this case) of the “hidden persuaders” (of consumers) that Vance Packard spoke of in 1957. Cristina Cary has therefore created her semantic and connotative microcosm, a leitmotif of a varied and always surprising production. Demiurge of herself: clearly more in the Duchampian sense than in the Platonic sense.

Pierre Restany wrote: “Cristina Cary has pushed her research very far in the assembly of disused objects and the recovery of industrial scrap metal. She happily expresses the Wild Poetry of Industrial and Urban Nature and has undertaken, at the same time, an exciting research on the Global and Cosmic meaning of her Post-industrial vision”.

___________________________________________________________________

Presento alla Casa della Cultura di Milano (fino a metà marzo), una mostra di Cristina Cary. È una vecchia conoscenza legata a quegli sparuti artisti che a Milano avevano l’attenzione di Pierre Restany e che quindi mi capitava spesso di vedere. Conoscevo il suo lavoro, stimavo la sua caparbietà e la sua intelligenza nella ricerca e nei suoi esiti, ma per gli strani capricci del caso avevo frequentato sporadicamente. Ragione in più perché approfittassi, adesso, di questa circostanza, curando questa mostra e scrivere alcuni pensieri su di lei.

Coerenza dagli anni Settanta

Attiva dalla seconda parte degli anni Settanta, Cristina Cary, ancora oggi, mantiene la sua coerenza circa la sua metodologia di approccio alla produzione artistica. Uso di proposito questo termine socio-economico. Esso infatti sottolinea il suo duttile e insistente rapporto con la materia. Agli inizi si è dovuta confrontare con il Nuovo Realismo e con l’Arte Povera. Il primo manteneva la sua “aura”, anche se apparso tra Milano e Parigi, nel 1960.

Gli anni Ottanta e l’arte urbana

In aggiunta, dieci anni dopo, il capoluogo lombardo veniva invaso dalle installazioni e dalle performance che Arman, Rotella, Klein, Spoerri, ecc. realizzavano per festeggiare, curatori Pierre Restany e Guido Le Noci, i dieci anni di successi. Si trattava di arte urbana o che in ogni caso dava prova di sé con materiali collegati con la città.

Per contro, l’Arte Povera (dal 1967) in questo polimaterismo extra-oggettuale innestava l’elemento biologico, o almeno questo accadeva tendenzialmente (rimando al capitolo secondo, n. 2 “Arte Povera e dintorni: esperienze emblematiche” del mio libro “Gli anni settanta/ Gli orientamenti dell’arte occidentale tra società, pensiero, tecnologia”, Skira, Milano, 2005).

Alchemical transformation of the body, diptych, 180 x 160 cm, from the series Cuore planetario, 1977-2008
L’alchimia

Cristina Cary fa tesoro delle due storicizzate tendenze. Su terreno nuovorealista innesta l’elemento biologico poverista. Ma fa questo col patrocinio di due elementi fondamentali di Marcel Duchamp. Intanto, una certa asetticità espressiva (che va ben oltre l’asciuttezza linguistica) e che l’artista francese ha sintetizzato col suo concetto di “bellezza dell’indifferenza”; inoltre dall’autore del “Grande Vetro”, Cristina Cary si fa impregnare di alchimia: una condizione esistenziale e non semplicemente un’attitudine culturale.

La passione per l’arte di Yves Klein

Quanto al Biologico Povero, da esso ha tratto spunto per avviare un cammino di piglio allo stesso tempo materico e spirituale tutto suo. Infatti, impara a far parlare o “cantare” ogni elemento messo in scena nel costruire la sua opera. Particolarmente emblematica di questo è la serie lavori, anche di grande formato, chiamata non per caso “Cuore Planetario”. Espressione nella quale fa capolino – silenziosamente – il suo amato Yves Klein con le sue dimensioni spirituali di piglio astronomico (disse essere la sensibilità “moneta dell’universo”).

Una produzione varia e sorprendente

Ho cercato di tracciare i fondamenti del suo percorso ideativo ed emotivo. Ma non c’è nulla di meccanico, né di automatico, in tutto questo. E il godimento non manca, e neanche l’ironia. E neanche il sottile messaggio socio-etico quasi alla maniera (positiva in questo caso) dei “persuasori occulti” (dei consumatori) di cui parlava Vance Packard nel 1957. Cristina Cary ha quindi creato il suo microcosmo semantico e connotativo, leit motiv di una produzione varia e sempre sorprendente. Demiurgo di se stessa: chiaramente più nel senso di Duchamp che non di Platone.

Cristina Cary's alchemical world at Casa della Cultura/ Oggetti e spirito in vibrazione
Mimmo Rotella, Cristina Cary, Pierre Restany, studio D’Ars, Milano, 1988

Nel 1985, Pierre Restany cura una sua mostra sui reperti marini alla Mood Gallery di Milano. Ha fatto parte del gruppo Brown Boveri (sulle archeologie industriali) e trasforma un’auto abbandonata in ancella calabrone mostrata alla galleria Marconi di Milano e poi altrove.

Le mostre

Tra le tante mostre: “Satellizzazione della vita quotidiana”, 1987, Galleria Unimedia a cura di Caterina Gualco; nel 1990, a cura di Pierre Restany, Maria Campitelli, Alberto Veca, sue opere grandi lungo il corso Vittorio Emanuele a Milano nell’ambito di “Percorso della scultura” (curatore Elio Santarella).

Nel 1991: Biennale del Bronzetto a cura di a cura di Pierre Restany Renato Barilli. Nel 1992: mostra a Fiumara d’Arte a cura di Pierre Restany. Nel 1994, selezionata da Pierre Restany per il Premio Unesco; Alla Fondazione Mudima di Milano “Erranze e trasalimenti” libro di Eleonora Fiorani con suoi lavori.

A cura di F. D’Amico, 2010, Biennale di Architettura di Venezia Cultura e Natura a c Fortunato D’Amico. Nel 2021, alla Casa Museo Boschi Di Stefano mostra “La matta di casa”. Dal 2016, realizza l’Art Meeting «I Pescatori di Santa Cristina» presso il castello di Gallipoli, sulla sostenibilità marina dialogando con i pescatori.

I testi critici

Fra i testi critici: Francesca Alfano Miglietti, Franco Bolelli, Maria Campitelli, Pier Luigi Cappucci, Stefania Carrozzini, Viana Conti, Fortunato D’Amico, Eleonora Fiorani, Caterina Gualco, Erwin Laszlo, Pierre Restany, Patrizia Romano, Marcello Sestito, Carmelo Strano, Giuseppe Terragno, Alberto Veca, Pompea Vergaro.

Le collezioni

Collezioni: MAGA of Gallarate; Museum and Study Center of Contemporary Art of the Nouveau Réalisme Dante Bighi in Copparo, Cultural Heritage of the Lombardy Region; MAPP Paolo Pini Art Museum, Franco Dibartolomeo Collection; monumental work at the Terme di Miradolo (Lodi); Municipality of Sesto Calende, Municipality of Cossano Canavese, Gian Franco Ferrè Collection, Fiumara d’Arte in Sicily.

Pierre Restany scrisse: “Cristina Cary ha spinto molto lontano la sua ricerca nell’assemblaggio di oggetti dismessi e nel recupero di rottami metallici industriali. Esprime con gioia la poesia selvaggia della natura industriale e urbana e ha intrapreso, allo stesso tempo, un’entusiasmante ricerca sul significato globale e cosmico della sua visione postindustriale”.

Sciamani sportivi, 2022
CRISTINA CARY: nativa di Gallipoli ma dall’età di quattro anni a Milano. Formazione: Istituto d’Arte di Monza, Università degli Studi di Milano, Scuola Rudolf Steiner. Varie tecniche e mezzi espressivi per disegno, pittura, fotografia, scultura, assemblaggio, installazioni, videoarte, composizioni musicali, new media art con interesse al recupero rigenerativo, scienze umanistiche e scientifiche. Le sue opere insistono su “socialità urbana” (le Panchine Astronomiche), ferraglia, “skrimshander” con il recupero di reperti marini (opere ispirate ai racconti di Melville). Tra le serie di lavori:  “Cuore Planetario” (viaggio dal cielo alla terra al corpo alchemico che si rigenera); “Play ground” (intorno al gioco, giochi elettronici, disegni ironici sull’intelligenza artificiale). Tra i materiali preferiti: metallo, ferro, alluminio.