
By now, almost all political commentators, sociologists, and historians repeat with one voice – like a mantra – that democracies are in crisis and that the global political horizon is increasingly obscured by the advent of dictatorships if not totalitarianism.
The lack of care for democracy
But it not easy to explain why, after eighty years of social peace, increasingly large masses of voters have fallen out of love with democratic practices and the ideals of solidarity and cooperation. Let’s try to make some hypotheses.
The progress of the last eighty years has been considered as achievements to be satisfied and proud of. Anyway, the subsequent generations have been feeling that the acquired modernity is permanently active. But you can easily find out that ideation, planning and implementation are turned into increasingly frenetic and complex consumption fueled by a powerful machine of conviction. I refer to advertising and the false equation between happiness, consumerism and conformism. There is no reason to think that such growth can provoke serenity.
It is a big mistake considering that progress goes hand in hand with democracy, rights and freedoms written down in black and white in the celebrated “universal” documents of the modern era.
When we talk about the right to work, do we mean a pious aspiration of the States or something precarious as to arouse shame in those who accept it? Do we mean that those who live in poverty and uncertainty are “equal” to those who are born and grow up taking advantage of far different opportunities?
Democracy and failed promises
But let’s back to the initial question. Why do many no longer believe in democracy? Because it promises a lot but does not keep its promises. We can tolerate differences in social conditions due to those who do more for the community and receive a reward for it. Disaffection towards democracies has developed at the same time as the blatant global domination of big finance? How can one believe in democracy if a handful of super-rich people can ruin an entire national economy or dominate its means of communication.
What have democracies done to avoid all this? If the essence of progress is a competition in which there are inevitably winners and losers, we must compete at our best, forgetting about moral principles in order to defend our own interests, or rather the interests of our nation. Nothing new. It seems that few remember it. And if on this road we run into a war, no one will be to blame, except the losers.
Dictators, or those who pretend to be such, who lie systematically, can only convince when those who oppose them do not demonstrate that the words written on documents will sooner or later become reality. At this point we must ask ourselves whether good intentions come before facts or vice versa. We hope that in the future they will go together.
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Ormai a una voce sola quasi tutti i commentatori politici, sociologi, storici ripetono come un mantra che le democrazie sono in crisi e che l’orizzonte politico planetario è sempre più offuscato dall’avvento delle dittature se non addirittura dei totalitarismi.
Il disinteresse per la democrazia
Ma non sono in molti a spiegare perché dopo ottanta anni di pace sociale adesso masse sempre più consistenti di elettori si sono disamorati delle pratiche democratiche e degli ideali di solidarietà e cooperazione in cui hanno creduto. Con un po’ di presunzione proviamo a fare qualche ipotesi.
I progressi degli ultimi ottanta anni sono stati considerati conquiste di cui essere soddisfatti e orgogliosi, ma le generazioni successive inevitabilmente li ha vissuti come aspetti della modernità acquisiti e consolidati stabilmente. Ma non è difficile capire che l’attività ideativa, progettuale e realizzativa diventa sempre più frenetica e complessa e i consumi devono essere alimentati da una poderosa macchina di convinzione che normalmente chiamiamo pubblicità e che si basa sull’equazione falsa fra felicità, consumismo e conformismo. Non c’è alcun motivo per pensare che la crescita così intesa possa essere portatrice di serenità.
Ma l’errore più grosso condiviso da quasi tutti è che il progresso vada a braccetto con la democrazia, i diritti e le libertà messi nero su bianco nei celebrati documenti “universali” dell’epoca moderna.
Per esempio quando si parla del diritto al lavoro si intende una pia aspirazione degli Stati o qualcosa che si realizza al costo di renderlo tanto precario da suscitare vergogna in chi lo accetta? Quando si afferma che tutti gli uomini nascono eguali si intende che chi vive nella povertà e nell’incertezza è “eguale” a chi nasce e cresce usufruendo di ben altre opportunità?
Chi nasce ultimo e non ha la capacità o più semplicemente l’educazione necessaria a un’ascesa sociale deve restare ultimo, pur essendo “uguale” a chi è più fortunato? Per non parlare dell’assurda disuguaglianza che vige fra un numero ristrettissimo di ricchi e centinaia di milioni di poveri. Se è così la democrazia si riduce al voto da imbucare nell’urna elettorale.
Democrazia e promesse fallite
A questo punto torniamo alla domanda iniziale. Perché molti non credono più nella democrazia? Perché essa promette molto ma mantiene poco le sue promesse. Si possono tollerare diversità di condizione sociale dovute al merito di chi fa di più per la comunità e ne riceve un premio. Ma le speculazioni borsistiche che premiano i più furbi sono meriti che vanno riconosciuti? È un caso che la disaffezione verso le democrazie si sia sviluppata contemporaneamente allo sfacciato dominio planetario della grande finanza?
Come si può credere nella democrazia se un pugno di super ricchi può mandare in rovina un’intera economia nazionale o dominarne i mezzi di comunicazione. Che hanno fatto le democrazie per evitare che questo avvenisse? E allora vale la pena stare dalla parte dei più forti piuttosto che rischiare di precipitare nel mondo dei più deboli.
Se l’essenza del progresso è la competizione in cui inevitabilmente c’è chi vince e chi perde, bisogna competere al meglio dimenticandosi dei principi morali pur di difendere i propri interessi, anzi gli interessi della propria nazione. È un film che abbiamo già visto, ma sembra che pochi se lo ricordino. E se su questa strada si va incontro a una guerra, bene che guerra sia, nessuno ne avrà avuto la colpa, tranne i perdenti.
I dittatori, o quelli che si atteggiano ad essere tali, che mentono sistematicamente, possono convincere solo quando chi gli si oppone non dimostra che le parole scritte sui documenti prima o poi diverranno realtà di fatto. A questo punto c’è da chiedersi se le buone intenzioni vengano prima dei fatti o viceversa. Noi speriamo che in futuro vadano assieme.