Lingua fascista
“La lingua non è né reazionaria, né progressista; essa è semplicemente fascista” diceva Roland Barthes (Lezione -1978). Questa forte espressione nasce dalla convinzione che “tra il pensiero e la cosa c’è sempre la parola” e che “il funzionamento del linguaggio è inconscio”, dunque qualunque oggetto noi pensiamo è il “modo in cui il linguaggio ‘pensa’ quel certo oggetto”, perciò, “la lingua, qualunque ne sia l’uso (quindi anche quello politically correct) è fascista, perché ci obbliga comunque a dire qualcosa. La lingua pensa e parla” (Felice Cimatti – Logica della decisione- 2024). Dunque la violenza del linguaggio è l’imposizione imprescindibile della parola alle cose.
Il linguaggio crea la realtà
Ma c’è di più. Il linguaggio crea la nostra realtà. Il diritto, ad esempio: “la potenza specifica del diritto consiste nella capacità virtualmente illimitata di produrre realtà, che pur non coincidendo con quelle naturali, operano performativamente su di esse, trasformandole profondamente” (Giorgio Agamben). Ciò è ancora più vero se pensiamo ai prodotti finanziari (ad es. future, btp, i mutui, ecc..), alla fisica (gli atomi, elettroni, protoni, bosoni, ecc…). Naturalmente il ‘reale’ esiste, gli oggetti esistono di per sé, ma sono inconoscibili, ed è il linguaggio a istituire l’ontologia del mondo umano. “Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose “e i fatti sono proposizioni istituite da noi (Ludwig Wittgenstein). Dunque, la nostra rappresentazione del mondo crea il mondo.
Il linguaggio è indipendente
Ma c’è oltre. Il linguaggio risponde ad una sua logica tutta interna, non controllata dal parlante “la grammatica è autonoma e indipendente dal significato” (Noam Chomsky). In sostanza il linguaggio pensa per noi, secondo una struttura interna che pericolosamente ci sfugge.
Invero, l’inconoscibilità dell’essere era stata già teorizzata “la verità non esiste, se esistesse non si potrebbe conoscere, se si conoscesse non si potrebbe comunicarla” da Gorgia di Leontini. Gli epitomi vi hanno aggiunto l’istituzione ontologica del mondo da parte del linguaggio, fino alla sua stessa indipendenza di struttura.
Violenza, arte, politica
Tutto questo trova perfetta realizzazione nell’arte, che da sempre, con il segno, crea la realtà e inventa la lingua, né teme la violenza del linguaggio.
Ma nella vita sociale, politica ed economia è diverso, perché il linguaggio è spesso creazione di violenza. Vivendo in un mondo creato da noi con la parola e il linguaggio, chi è capace di padroneggiare questi strumenti è altresì capace di governare il mondo e cambiarlo. Che ciò sia vero ce lo dice la storia, anche quella novecentesca, tristemente famigerata per i totalitarismi, che hanno ricevuto adesione convinta da interi popoli, e hanno generato morte, distruzione, eccidi e genocidi.
Non c’è scampo, siamo totalmente padroni del nostro destino, inutile delegarlo ad altre entità. Certo, non siamo artefici della nostra esistenza, ma della nostra libertà di dirigerla sì. La attuali dinamiche del mondo ci spaventano, ma in fondo la nostra storia è sempre stata così. Anzi “Viviamo in un mondo antiumanistico, egoista, talvolta spietato, ma tutte le epoche precedenti sono state peggiori” (Fernando Savater).
Dello stesso autore: https://www.fyinpaper.com/arte-e-crimine/