La mia Africa

È poi emersa, dopo la visita dell’agosto scorso, la necessità di avere l’acqua. Infatti, viene utilizzata l’acqua di una pozza che si forma dopo la stagione delle grandi piogge, pozza utilizzata anche dagli animali. Nel periodo secco, l’acqua viene trasportata dalle donne a dorso di mulo o a mano da un lago che si trova a circa due ore di cammino.

Una ditta locale ha fatto le prime ricerche. Si dovrebbe scavare il pozzo con costi superiori alle possibilità della nostra piccola Associazione. Recentemente, siamo riusciti a fornire alle comunità della Masai Valley 5 cisterne da 5.000 litri per la raccolta dell’acqua piovana, una di queste presso il piccolo ospedale di Mbogoi.

Nel 2018, quasi senza volerlo, ci siamo spinti fino al Kenya, territorio molto conosciuto, ovvero la costa di Malindi e Watamu, bella dal punto di vista naturalistico. La gente del luogo vive di turismo (siamo onesti, delle briciole del turismo) soprattutto mzungu (bianchi). Il Covid ha mostrato subito un grosso problema: se per caso i turisti non arrivano cosa succede? Succede che… la popolazione locale non ha da mangiare. La nostra associazione sta cercando di inventare attività non necessariamente legate al turismo per dare lavoro.

In questi anni ho imparato una cosa: non deve essere il bianco che propone una via o una iniziativa di sviluppo, bisogna avere pazienza, parlare con la popolazione e capire quali sono le loro aspettative e le loro priorità, solo così si riesce a collaborare e a non costruire torri nel deserto che verranno abbandonate appena il mzungu ricco se ne va.

L’Africa è grande e le necessità dei suoi abitanti lo sono di più. Io non posso dire di conoscerla ma soltanto di averne incontrato un pezzetto con la sua storia, con la sua umanità, con le sue contraddizioni e, perché no, con modalità incomprensibili con l’ottica occidentale. Ho visto la corruzione, la povertà, l’analfabetismo e spesso lo sfruttamento delle persone a tutti i livelli. Ma ciò che rende fantastica questa terra, oltre ai panorami diurni e notturni, è il grande cuore di tutti e la speranza delle persone di migliorare la propria vita, la gioia, il ballo e la musica, quasi come una ossessione. Questo fa sì che, quando torno a casa, dopo il mio viaggio che dura circa 20 giorni, soffro il “jet lag della felicità”. Mi sono domandata spesso: “ma cosa mi fa desiderare così tanto di ritornarvi?” il fatto che per un periodo dell’anno vivo con gente povera, poverissima ma serena.