Fuori dai denti/ Il valore dell’arte

Quattro domande

Dobbiamo ammetterlo, per misurare il valore di un’opera d’arte non esiste metro migliore di quello del denaro che qualcuno spende per impossessarsene: lo si adotta in tutto il mondo. Ma sorgono alcune domande:

Prima, il valore quando? Quando si fa avanti il primo acquirente o quando ha subìto il vaglio dei secoli e del cambiamento dei gusti, dei bisogni, degli obiettivi dell’ecumene? Se riflettiamo sul fatto che per esempio la Divina Commedia nel ‘700 nessuno se la filava o che nell’’800 due delle quattro Passioni di Bach sono andate perdute, mentre lo spartito di quella Secondo S. Giovanni serviva a un fruttivendolo per avvolgere verdura, anche la questione dell’ecumene va ridimensionata.

Seconda, valore per chi? Per il fruttivendolo evidentemente nessuno, mentre per Busoni, che ha trascritto per pianoforte molte opere di Bach, evidentemente grandissimo.

Terza, il denaro: in carta (euro, rubli, dollari ecc) o in oro? Insomma ci sono di mezzo la geopolitica, gli alti e bassi della borsa, le carestie, le guerre, la rarità del metallo giallo e forse anche La fine del mondo.

Quarta, opera d’arte: ma letteraria, musicale o visiva (per limitarci alle tre tradizionali)? Perché per le prime due il metro scelto si annacqua nella moltiplicazione delle copie e degli interpreti, mentre per la visiva, vista è presa, almeno da coloro che se ne intendono, i Busoni del ramo. Vista nel senso di guardata bene, a fondo: richiede ben poco tempo, nessun caveau, nessun vetro antiproiettile, nessuna traduzione letteraria dal giapponese.

Un’altra moneta è possibile?

Non c’è molto altro da aggiungere. Forse il mazzo va rimescolato e ripristinato un metro di misura contemporaneo al pagamento in conchiglie. Suggerisco: l’emozione che riesce a trasmettere, sia pur momentanea, sia pur un frisson cerebrale (per far contenti i duchampini lo dico nella lingua del francese).

Purché  ti dia speranza, sollievo dall’affanno di ciascun giorno e oblio della morte. James Lee Byars è stato seppellito a S. Maria della Visitazione a Venezia (1997) in un parallelepipedo cavo rivestito di lamelle d’oro: brillano e i loro bordi si agitano alle parole del Libro dei morti uscite dal Jolly Roger al sommo dell’arco delle cappelle laterali: visto è preso.