Edward Lucie-Smith, poesia, vita, società

Il mio DNA è stato analizzato qualche anno fa. Non ho sangue africano. Sono ebreo al 18%, la mia bisnonna paterna apparteneva a una famiglia ebrea emigrata all’inizio del XIX secolo dal Venezuela al Curacao. Uno di loro era un capitano di mare, cosa impensabile per un ebreo. Sono un po’ meno del 50% europeo caucasico. Il resto finlandese, o forse estone. Non ho informazioni al riguardo. I finlandesi sono fondamentalmente immigrati dell’Asia centrale che si sono trasferiti, molto tempo fa, sulle rive del Baltico. Questo sangue misto viene dalla parte di mio padre, per quanto ne so. Le Indie occidentali erano un melting pot. 

In Gran Bretagna gli antenati europei di mio padre erano classificati come “London Dutch”, ma “Lucie”, che hanno iniziato a usare a metà del 18° secolo, non è assolutamente un nome olandese. La mia ipotesi è che in origine fosse un ugonotto francese. Mi dispiace di essermi dilungato, ma forse era il caso di spiegare come, sotto l’ombrello del Raj britannico, io venga da ogni parte e anche da nessuna parte.

Forse è per questo che ho viaggiato così tanto – forse più dei poeti, persino di quelli che sono classificati come viaggiatori. Laddove un Paese abbia qualcosa che può essere detto mondo dell’arte, posso dire che all’80% ci sono stato. Mi rammarico per alcune omissioni. Ad esempio, non sono mai stato in Polonia. Né in Pakistan. Ma in Cina, Russia, Giappone, Iran, gran parte dell’Europa, gran parte dell’America Latina, Canada, Australia, Nuova Zelanda. Gran parte degli Stati Uniti. Sì.

Normalmente compone le sue poesie in un’atmosfera intima e privata. Ma quando si occupa di questioni sociali o pubbliche, la sua poesia è molto sintetica e forte. Un esempio è la sua raccolta “Surviving”. Mi riferisco in particolare a “Preaching to the converted” (Sfondando una porta aperta). Sembra una sorta di decalogo secolare di comportamento nella società, rivolto all’individuo. Vivace, molto secco e aspro è il suo messaggio su “What you want to hear” e “What you don’t want news of”. Ad esempio: “War is bad”. Ma, a proposito: qual è la sua visione, al riguardo, considerando gli attuali fenomeni geopolitici mondiali? Per quanto attiene il riscaldamento globale, ha qualche punto di vista per risolvere o, almeno, tenere sotto controllo il problema? Pensa che ai nostri giorni la poesia possa aiutarci, nonostante non sia amata?

“Cerco di guardare il mondo così com’è, non come potrei volerlo. In epoca vittoriana, la famiglia di mia madre era di quelle allora chiamate “positivisti logici”, il che corrisponde a ciò che oggi diciamo atei. Il paradosso è che uno di loro, il mio ​​prozio Vernon Lushington aveva presentato Burne-Jones a Rossetti, dando così il via alla seconda fase del movimento Preraffaellita. Che era molto diverso dalla sua prima fase e ha portato al simbolismo europeo e al Picasso del periodo blu.

Non ho la pretesa di dire alla gente come fermare il riscaldamento globale. Senza provvedimenti, l’umanità stessa potrebbe essere spazzata via. Ma, essendo così vecchio, non sarò qui per vederlo. E non credo che starò seduto al piano di sopra su una nuvola, dicendo “Te l’avevo detto.” Se dovessi trovarmi su quella nuvola, guardando gli eventi, con più probabilità direi: “Tout passe, tout lasse, tout casse”. Ci sono milioni di altri pianeti, posso per favore guardarne uno più bello?”

Il ritratto di uomo in primo piano
Opera fotografica di Edward Lucie-Smith

E’ probabile che il lettore abbia la sensazione che la sua raccolta “Surviving” sia stata composta insieme con Joe Machine, un eccellente artista che ha illustrato i tuoi testi. Come hai concepito questo profondo modello di collaborazione?

“È una strana alleanza. Mi piace molto Joe come persona. Mi piace anche il suo lavoro di pittore. Ci è capitato di riunirci. È molto diverso da me – classe lavoratrice robusta, ha avuto il massimo dei suoi primi studi a Borstal (carcere minorile). Il suo lavoro mostra che esiste un futuro per l’arte narrativa, storie pittoriche tali che ognuno, qualunque lingua parli, può sperare di far sue. L’arte figurativa parla a un pubblico più vasto della poesia. Ed è più specifico della musica. Non è l’unica cosa che l’arte può fare, ma è una parte importante di ciò che fa. Se guardi la storia dell’arte russa del secolo passato, o giù di lì, l’arte figurativa è sempre lì, e non smette mai di essere sperimentale. L’astrazione russa (futurismo) si arrestò completamente intorno al 1923, a eccezione degli artisti russi, per poi ricominciare con la Perestrojka negli anni ’80.