Danza e coreografia, un ribaltamento dei ruoli

"Hatched Ensemble" di Mamela Nyamza. Ph Lorenza Daverio, Courtesy Triennale Milano
Donne che creano per uomini

Per qualche secolo, sono stati gli uomini a mettere in scena le donne: registi e coreografi hanno usato le ballerine come strumenti del loro talento direttivo, inventando le Silfidi, le Giselle e poi le Carmen.

Nel Novecento le danzatrici, soliste o a capo dei loro gruppi, hanno preso in mano le proprie sorti, diventando protagoniste del movimento moderno e della scena contemporanea, da Isadora Duncan e Loie Fuller, al femminile, fino a Martha Graham e Pina Bausch, incorporando gli uomini nel loro lavoro creativo.

Adesso possono essere le donne a coreografare con e per gli uomini e nei contesti queer si arriva persino a cambiare le carte in tavola. Alcuni casi e titoli esemplari raccontano il nuovo corso con esiti felicissimi.

Quattro uomini per Anne Teresa

Anne Teresa De Keersmaeker, ruvida ragazza fiamminga, poco più che ventenne fece centro con il quartetto femminile minimalista Rosas danst Rosas, nel 1983, creando un pezzo esemplare. In quel contesto Anne Teresa dettò la moda degli scarponcini agguerriti per le giovani donne che diventerà il simbolo della Giornata Internazionale della Danza il 29 aprile 2022. Una moda trasmessa a 1500 praticanti di danza contemporanea in tante città di più paesi e che sarà “plagiato” da Beyoncé nel suo video Countdown del 2011.

Le Rosas, capofila di orgoglio femminile, hanno fatto scuola al punto che il loro quartetto “arrabbiato” è approdato in India, in “Bollywood style”, e recentemente è passato anche in corpi maschili recentemente. Si è innescato così un meccanismo positivo globale di cui c’era bisogno.

Da Rosas a P.A.R.T.S

Oggi Anne Teresa De Keersmaeker è attiva alla testa di una scuola-faro a Bruxelles, P.A.R.T.S (Performing Arts Research and Training Studios), succeduta al Mudra di Maurice Béjart, dove lei stessa aveva studiato.

Nel 1996 è diventata Baronessa, su investitura del Re del Belgio per meriti artistici, nonché Officier de l’Ordre des Arts et des Lettres della Repubblica Francese nel 2000 e Leone d’Oro della Biennale di Venezia nel 2015 danzando lei stessa nuovamente nel suo epocale Fase del 1982 su musica di Steve Reich.

Ed ecco che, nel vortice delle Quattro stagioni di Antonio Vivaldi, è un quartetto maschile 2024, firmato da Anne Teresa con l’ex allievo sudafricano Radouan Mriziga, Il Cimento dell’Armonia e dell’Inventione, a fare di nuovo l’andatura, dettando lo stato dell’arte oggi. Proprio in un momento storico che richiede una danza sempre più politica, acuminata, determinata.

Radicale, determinata, Anne Teresa De Keersmaeker

Non si smentisce, nel suo radicalismo, la coreografa belga, che con il supporto di Berlino, Bruxelles, Parigi, Londra – e Milano in Triennale – offre insieme al complice nordafricano, anzitutto una danza di luci al neon, ritmata e geometrica, su un duro silenzio. Un silenzio di mezz’ora di orologio in cui quattro uomini, diversi per caratteristiche fisiche, tecniche e temperamentali, Boštjan Antončič, Nassim Baddag, Lav Crnčević, José Paulo dos Santos, paiono agire senza un disegno teatrale riconoscibile.

“Il Cimento dell’Armonia e dell’Inventione” di Anne Teresa De Keersmaeker con Radouan Mriziga / Rosas. Ph Anne Van Aerschot, Courtesy Triennale Milano

Poi le stagioni vivaldiane, non per ordine, ma indicate da una scritta proiettata danno il via a pezzi di bravura dei singoli o in varie combinazioni tra loro, mettendo in gioco gli elementi “senza logica” di prima, per arrivare a una chiusura di senso entusiasmante. Tutto questo evitando ogni retorica rispetto a musiche che rischiano la caduta negli stereotipi più vieti: sulla qualità della lettura musicale ha vigilato la violinista Amandine Beyer. I calzoncini e i soprabiti di velo dei quattro ballerini virtuosi beffano le barriere delle mode di genere.

Tre danzatori per Carolyn

Si chiama Islands il programma modulare che l’americana Carolyn Carlson, nata in California nel 1943, dal suo avamposto parigino – è ormai cittadina francese ed è entrata all’Académie des Beaux-Arts, assunta come coreografa preclara sotto la Cupole nel 2020 – proietta combinando le qualità e i talenti dei suoi affezionati interpreti.

Al Teatro della Tosse di Genova il programma firmato Carlson ha messo in valore tre uomini, ispirati da lei, dal suo mondo poetico visionario, incorporato nelle improvvisazioni personali di ciascuno, condivise con la maestra-suscitatrice.

Ed ecco l’italiano Riccardo Meneghini, incontrato nella Venezia di cui la Carlson è stata “Dogaressa” negli anni Ottanta, al Teatro la Fenice e in Biennale Danza. Poi il giapponese Yutaka Nakata, che è parte del suo attuale gruppo in Francia, e Tero Saarinen, finlandese come la famiglia d’origine di Carolyn, “Dea delle acque”, spirito della natura.

“The Seventh Man” di Carolyn Carlson con Riccardo Meneghini. Ph ©F.Iovino, Courtesy Teatro della Tosse – Genova

Seventh Man mostra ll trentino Meneghini sudare letteralmente le sue sette camicie di vari colori, mentre in A Deal with Instinct l’androgino performer nipponico evoca le arti marziali d’Oriente. Infine Saarinen in Room 7 diventa il doppio perfetto di Carolyn, che già gli aveva affidato il suo a solo più famoso in tutto il mondo, Blue Lady.

“A Deal with Instinct” di Carolyn Carlson, con Yutaka Nakata. Ph ©F.Iovino, Courtesy Teatro della Tosse – Genova

La pregnanza e l’intensità del gesto, in abiti maschili scuri, con una gran gonna di plastica trasparente istoriata da Carolyn Carlson stessa, che è abito e tovaglia, mantello e superficie luminosa, mostrano tutta l’arte di una donna assertiva infusa in corpi maschili.

“Room 7” di Carolyn Carlson con Tero Sarinen. Ph Luigi Gasparroni, Courtesy Teatro della Tosse – Genova

Gisellə e cigni queer

Gisellə, con la schwa, è la protagonista queer della versione attuale del napoletano-tedesco, per formazione e carriera, Nyko Piscopo e del suo gruppo Cornelia, ricco di eccellenti performer accademico-contemporanei tutti in bianco su una scena candida essenziale, fatta di portali e ventagli, dove  i/le performer si muovono su musiche originali di Luca Canciello.

“Gisellə” di Nyko Piscopo, con Cornelia Dance Company. Ph Serena Nicoletti, Courtesy Teatro Carcano – Milano

Piscopo, classe 1986, con carriera di ballerino classico-moderno, già promettente giovane talento coreografico, noto per aver messo mano a cigni, belle addormentate e schiaccianoci non canonici, ha “covato” a lungo questa creazione decisamente di svolta.

Elisa Guzzo Vaccarino: Come e quando è nata l’idea della “Giselle” con la schwa?

Nyko Piscopo: “Tutto viene dal mio retroterra di ballerino classico, dal mio rispetto per la tradizione, per cui guardo avanti restando legato alle radici, anche come napoletano, con mamma del rione Sanità, emigrato lontano per la danza”.

EGV: È sempre una storia di amore e morte, riscritta per la nostra epoca “fluida”?

NP: “La schwa del titolo lancia un po’ una provocazione sulla fluidità; certo è anche una storia di morte, del gelo di morte, come nell’originale. L’amore e la morte stanno sempre l’uno nell’altra, in ogni epoca”.

I linguaggi e i codici di Mamela Nyamza

È sudafricana la speciale “Morte del cigno” di Mamela Nyamza (Guguletuthu, Città del Capo, 1976), che ha fatto sua la padronanza del balletto classico bianco, è passata attraverso il cenacolo afroamericano di Alvin Ailey a New York ed è danzatrice, insegnante, coreografa, curatrice, regista e attivista.

“Hatched Ensemble” di Mamela Nyamza. Ph Lorenza Daverio, Courtesy Triennale Milano
“Hatched Ensemble” di Mamela Nyamza. Ph Lorenza Daverio, Courtesy Triennale Milano

Mamela Nyamza mixa più linguaggi e più codici, sfidando differenze etniche e identitarie in lavori come Hatched Ensemble, che allude alla cova e allo schiudersi delle uova. Il lavoro si snoda fra punte accademiche e mollette da bucato, volti con trucco-maschera e sound percussivo con il tema della Morte del cigno che domina un incipit tutto di schiena tra sculturine portatili alla Kentridge. Un musicista tradizionale sudafricano e una cantante d’opera accompagnano l’azione risonante nel muovere i fianchi – le pinze che decorano i lunghi tutu unisex – mentre tutti si vestono di rosso e sfilano orgogliosamente come in pose da selfie.

 

Uomini che scrivono di donne

Non è il primo, Enrico Pastore, a raccontare di donne danzatrici nel suo Che peccato essere una curiosità, copyright della soubrette-spia Josephine Baker a proposito di se stessa, fresco di stampa per Miraggi edizioni. Un libro, quello di Pastore, nel quale l’autore scopre le ballerine rivoluzionarie del secolo sorso.

Giovanni Lista già aveva letteralmente “resuscitato” Loie Fuller, danseuse de la Belle Époque, amata da impressionisti e futuristi, maga della luce; già Adrien Sina aveva celebrato in Feminine Futures la “filosofa” visionaria dell’eros Valentine de Saint-Point. Già Luca Scarlini, prolifico investigatore, aveva raccontato della Marchesa Casati in Memorie di un’opera d’arte.

Il talento femminile riconosciuto da uomini, scoperto da donne

Sono gli uomini a dover dare il “vero” riconoscimento universale a quelle artiste, non da oggi rivelate da ricercatrici donne, che se no resterebbero nella nicchia del “femminile”? Un bel tema per grandi discussioni di qui all’eternità. Ne varrà comunque sempre la pena, purché il talento sia riconosciuto come tale, da chiunque lo scopra e lo valorizzi.

Pastore si è lasciato trasportare nelle storie di esistenze teatrali memorabili: Sada Yacco, ovvero l’arte della bella morte di una geisha peccaminosa e misteriosa in scena; la magnifica etera Cléo de Mérode, regina di scandali e testimonial di prodotti Ma anche Edith Craig, sorella di Godon, compagno di isadora Duncan, agit prop della danza libera e della donna libera, Emmy (Ball) Hennings, dadaista, scrittrice e cabarettista, e appunto Valentine de Saint Point, innamorata dell’Oriente e impavida autrice del Manifesto della lussuria.