Il Novecento visto da Giorgio Fontana

nella foto, sulla destra, si vede il volto di un giovane scrittore con la barba, i baffi e gli occhiali neri; ha gli occhi neri. Sullo sfondo una libreria bianca.
Credits by Tania Madaschi

Quasi tutti i grandi scrittori italiani del secolo passato sono deceduti, da Italo Calvino ad Andrea Camilleri di recente. Anche i cosiddetti movimenti e gruppi nati alla fine di quel secolo sono quasi dimenticati, come i Cannibali.

 

Lo stesso fenomeno succede in Francia, e quando si fa il nome d’un autore di valore, ci si riferisce inevitabilmente a romanzieri di generazioni già anziane, come Patrick Modiano, la più giovane potrebbe essere Amélie Nothomb. Ciò che risulta strano è che non nasce una generazione con idee nuove capace di rovesciare l’estetica e il pensiero degli illustri predecessori.

 

Tuttavia, tra le nuove leve, Giorgio Fontana (nato nel 1981) sembra imporsi in modo decisivo. Ha scritto Buoni propositi per l’anno nuovo (Mondadori, 2007), Novalis (Marsilio, 2008), Per legge superiore nel 2011, Babel 56 (Terre di Mezzo, 2008), La velocità del buio (2011). Ha ricevuto, nel 2014, il Premio Campiello per Un uomo felice, il suo primo libro, e, nel 2016,ha pubblicato Un solo paradiso. Non ha scelto la via della sperimentazione, ma non ha nemmeno ripreso le tematiche e lo stile del realismo o del neorealismo del secondo dopoguerra. Ancora meno del naturalismo di Zola e dei suoi seguaci. Però, rimane un realista a modo suo.

 

Pur essendo realista, infatti, non ha cercato un modello nel passato. Prima di noi (Sellerio, 892 pagine) non è una saga storica, né un romanzo familiare vicino allo spirito freudiano. É la storia d’una famiglia, a partire dal disastro di Caporetto del 1917. Il personaggio principale è un semplice soldato, Maurizio Sartori, che ha scelto di disertare un po’ per caso nella grande confusione della disfatta e della fuga generale dell’esercito italiano. Non è un rivoltoso, solo un uomo disgustato da una guerra che ha perso tutto il suo significato. Dopo avere camminato senza meta, è accolto dalla famiglia Di Martino e Maddalena Tassan. Lavora per loro nei campi. Per lui non è solo la salvezza, ma anche la speranza di una nuova vita. È attratto dalla figlia Nadia. Nel novembre 1918, pensa di tornare a casa, ma finisce per sposare la ragazza: hanno avuto un figlio, Gabriele.

 

Un anno dopo, si stabiliscono a Udine perché una zia aveva fatto sapere che c’era richiesta di un manovale. All’inizio degli anni trenta, Nadia è con i ragazzi nella casa familiare. Maurizio lavora ma pensa che la sua vita sia un vero fallimento. Giorgio Fontana fa poche allusioni alla vita del regime. Parla soprattutto delle faccende di questo piccolo mondo che non sembra essere cambiato per niente. Del mondo esterno quasi nulla: il ritratto del re un po’ovunque e ricordi della guerra. È ancora un mondo che cambia poco.

 

Poi un evento straordinario: Mussolini è venuto fare un discorso. Grande agitazione, poi tutto torna alla normalità. La religione, la scuola… i bambini di Maurizio cominciano a pensare al loro avvenire. Spiega ai suoi figli che il Duce ha dichiarato che sarà non belligerante…

 

Di nuovo, un salto nel tempo. Siamo nel 1943. Gabriele, diventato insegnante, è in guarnigione vicino Udine. Domenico combatte in Africa. È fatto prigioniero. Gli eventi precipitano: caduta del fascismo, invasione dei nazisti… Renzo sceglie la resistenza e fa parte della brigata Garibaldi. Gabriele viene mandato in Toscana. Maurizio vede i suoi figli nella voragine d’un altro momento della guerra, molto più tormentato. Ma l’autore non descrive quasi nulla di quello che succede – solo in quale modo i suoi protagonisti sono coinvolti.

 

Un altro balzo nel tempo: siamo a Milano nel 1957. Gabriele si è sposato e ha già due figli, Renzo è sempre preso dalla politica. E così seguiamo gli ulteriori eventi fino a oggi di questa famiglia “senza qualità”.

 

Giorgio Fontana ha fatto tutto il contrario rispetto a Novecento di Bernardo Bertolucci: le storie e gli eventi hanno preso il posto della Storia. Si può capire molto attraverso il destino di tutti i membri di questa famiglia, ma rimane una trama in secondo piano. Per lo scrittore, l’Italia è quella degli italiani e non dei conflitti, dei partiti, dei governi, della crisi. Questo romanzo è unico nel suo genere: permette di capire come l’Italia si è trasformata nel secolo scorso ed è diventata quella che conosciamo adesso.

 

Il romanzo non segue alcun modello della storia della letteratura. Tutti i cambiamenti hanno creato un’altra società e dunque individui d’un altro genere. È difficile concepire come il fante di Caporetto sia diventato un uomo del trionfo della Democrazia Cristiana! È completamente cambiato, ovviamente. Ma forse rimane in lui forse qualcosa della natura antica dell’italiano: la capacità di superare tanti cattivi colpi della sorte con le doti del camaleonte e, nello stesso tempo, di rimanere se stesso.

 

Queste pagine si leggono con avidità perché il lettore si rende conto che le avventure individuali sono quelle che contano nella vita e che tutto il resto crea un sipario, un palcoscenico, una scenografia. Insomma, un contesto dove agire o no, dove subire o no. Anche con questo strano rapporto con gli eventi e la cultura del passato, il romanzo non lascia indifferenti; al contrario, è appassionante dall’inizio alla fine.