Le “Povere creature” di Yorgos Lanthimos

Le “Povere creature” di Yorgos Lanthimos
ph @element _pictures via Instagram

Un regista cinquantenne, che proviene dal Paese culla della tragedia, firma una pellicola vincitrice di molti dei premi della cinematografia internazionale. Il suo nome è Yorgos Lanthimos e proviene dalla Grecia. Il suo ultimo film è Poor Things (Povere creature), tratto da romanzo “Poor Things!” dello scozzese Alasdair Gray del 1992 (pubblicato in Italia nel 1994).

Lanthimos esordisce alla regia e alla sceneggiatura dopo video clip e corti a basso budget. Ma è con il primo dei suoi sette lungometraggi, Kinsella del 2009, e con Dogthoot del 2011, che passa a produzioni più strutturate per il grande schermo. Questi due titoli permettono a Lanthimos di farsi conoscere, nonostante la scarsità di denaro – dovuta anche all’assenza di fondi statali del suo paese in gravissima crisi economica – non gli consenta di realizzare lavori dal forte carattere espressivo che arriveranno con il successo internazionale. Il segno distintivo dei suoi primi film è l’eloquenza delle immagini, la forza cinica con la quale le realtà sono descritte, in assenza dei fastosi costumi e accessori. Più avanti, con maggiori budget, si aggiungerà la potenza della post-produzione, a cominciare da The Lobster.

I personaggi di Lanthimos sono inimmaginabili soggetti soggiogati dalla spregiudicatezza naturale e ruvida di altri esseri umani. Se nelle prime pellicole la scarsità di denaro obbliga il regista a rimanere entro certi confini – limitare le luci a quelle naturali, nessun costume particolare, gli ambienti sono luoghi comuni ed esistenti, gli attori sono sconosciuti ai più – finalmente il successo internazionale gli permette di compiere il salto qualitativo.

Qualcosa cambia nel linguaggio di Lanthimos con The Lobster. Il cast si correda di figure note. Colin Farrel, Rachel Weisz, Olivia Colman, Emma Stone, sono alcuni fra i nomi che iniziano a collaborare con il regista. Colin Farrel è il protagonista di The Lobster e di Il sacrificio del cervo sacro, nel quale recita con Nicole Kidman, mentre Olivia Colman è la fredda direttrice dell’albergo di The Lobster e la protagonista del film La Favorita con il quale ha ricevuto l’Oscar come migliore attrice nel 2019, pellicola nella quale troviamo anche la Weisz e la Stone.

Quest’ultima è la protagonista di Poor Things (Povere creature è il titolo in Italia), meravigliosa interprete del film vincitore, nel 2023, del Leone d’oro a Venezia. Lanthimos ha a disposizione molto denaro, il costo della pellicola è di 35 milioni di dollari. Non vi è dubbio che in questo modo le grandi doti del greco possano trovare la massima esaltazione, attraverso una spinta contaminazione di tecniche: finzione, realtà, disegno, ricostruzione in studio e in digitale.

L’idea che la società sia malata e marcia e che possa influenzare e determinare i destini dei deboli, o di chi non abbia ancora formato una propria personalità, è l’elemento sempre presente in Lanthimos. Dogthoot è la descrizione di come l’iper-protezione e la chiusura al mondo esterno possa creare dinamiche familiari distorte, paradossali e, diciamolo pure, contronatura. In questo lavoro, come in altri di Lanthimos, si percepisce chiarissima la sua origine greca: i suoi sono personaggi dalla composita personalità che si scopre con lentezza, dai tratti ora comici ora tragici. Il regista conosce bene la tragedia greca, che porta sempre in sé caratteri di farsa, e non fa mancare rimandi ai classici greci. Dall’incesto all’amore tra consanguinei, alla necessità dell’omicidio come elemento richiesto da una entità superiore per la salvezza. I nodi vengono al pettine anche nelle storie di Lanthimos, come nella mitologia greca.

Il racconto di Poor Things è semplice e contrasta con la massima espressività che il greco ha conferito alla narrazione. Si articola in capitoli dedicati ai luoghi attraverso i quali si compie la crescita di Bella Baxter, interpretata dalla bravissima Emma Stone. Il regista non lesina nell’utilizzo di elementi di fantasia nelle ambientazioni, nei costumi che sono sempre eccessivi, nel trucco spesso pesante. E non fa mancare il suo segno distintivo: l’uso di lenti deformanti. Il grandangolo è utilizzato a piene mani anche in Poor Things, come in La Favorita e The Lobster. Si tratta di distorsioni che riflettono i caratteri dei personaggi, immersi nel magma appiccicoso e malato dei contesti sociali nei quali sono rappresentati.

Anche quest’ultimo lavoro, come tutti quelli di Lanthimos, è connotato da un uso ampio e disincantato del sesso, descritto come l’insieme di pulsioni che muove l’umanità. Ma mentre in Dogthoot l’elemento sessuale è lo strumento per porre in risalto le criticità di una società marcia, con Poor Things il sesso diventa la chiave della crescita e della maturazione personale. Infatti, la protagonista, Bella Baxter, usa il sesso a proprio vantaggio, dimostrando che pulsione e cervello sono un tutt’uno e lavorano insieme formando l’identità della persona. Il sesso è l’elemento attraverso il quale Bella, creatura oggetto di una manipolazione chirurgica ad opera dello scienziato folle (Willem Dafoe, smunto con il viso deformato, superbo attore), scopre se stessa, il piacere, la libertà.

Il sesso è liberamente utilizzato senza pruderie sia da Lanthimos che dalla Stone e da tutti gli altri personaggi che si avvicendano nella bellissima e formativa storia, non priva di fortissimi rimandi alla forza dei caratteri che sono mossi dalla volontà e dal riconoscimento della propria intima dignità e parità. Nel film sono presenti molte scene di nudo e di sesso che non sono affatto disturbanti: siamo nel terreno della farsa e ciò impedisce di vedere il lato pruriginoso degli amplessi fra corpi che giacciono su tessuti preziosi, stanze riccamente arredate, alberghi, imbarcazioni e case di piacere dal sapore vittoriano, l’epoca nella quale si svolge la storia.

Il ragionamento, la costruzione di un’identità e di una intimità critica, sembra essere il sentiero di crescita di Bella, nel quale hanno posto anche la pietà, la cura dell’altro oltre alla giustizia, come l’epilogo del film spiega.

Lanthimos oltre agli obiettivi deformanti utilizza il bianco e nero un po’ invecchiato e il colore: tutti elementi che conferiscono un carattere gotico e un alone di mistero alla pellicola. Ciò perfettamente assecondato dalla scelta delle architetture ricreate o reali, nelle quali abbondano elementi strutturali tondeggianti stile déco estremo (come la Casa Batlò di Barcellona). Nondimeno, l’atmosfera surreale e enigmatica è il risultato della colonna sonora spesso cacofonica, con le note che scandiscono i momenti cruciali della crescita della protagonista.

Il film è un’orchestrazione perfetta fra animali impossibili (cane-capra, oca-cane) e attori magnifici sui cui corpi e personalità sono stati cuciti  i caratteri dei personaggi, come quello dell’eccelso Willem Dafoe o di Mark Ruffalo bravissimo nei panni del cattivo poi beffato dal sentimento. I costumi eccessivi, i luoghi improbabili e artatamente caricaturali, i colori fasulli del mare e dei cieli della navigazione in battello (con il bellissimo cameo di Hanna Shygulla), sono la cornice meravigliosa nella quale una donna/bimba diventa padrona del proprio destino, senza pudore, senza vergogna, senza odio. Una donna profondamente solidale con tutti gli esseri viventi.

Una rivincita al femminile che prende le mosse dalla convinzione che il valore di una persona non stia solo nel suo apparato sessuale, ma anche nel suo cervello.

Yorgos Lanthimos non abbandona il leit motif dei guasti della società e di come questi determinino le dinamiche all’interno dei gruppi sociali. Lo fa utilizzando il migliore strumento possibile, osservando la realtà, apportandone accorte mutazioni, perché non sia troppo crudo scoprire che, in assenza di una presa di coscienza, siamo tutti povere creature manipolate da chi è senza cuore.