Dal 13 al 24 novembre 2024 Massimo Motta ha presentato alla Casa della Cultura di Milano (Sezione Arti Visive Contemporanee, curatore scientifico Carmelo Strano) un’inedita serie di fotografie intitolata Trasfigurazoni (2023-2024)
Ombre, strada, colori, pioggia. L’uomo invisibile e la vita quotidiana. L’artista-fotografo Massimo Motta fa di noi fruitori prima degli ascoltatori dei suoi messaggi sociologici e poi degli spettatori delle sue narrazioni urbane frutto della sua fervida immaginazione e della sua inventiva formale.
Sono quindi felice di patrocinare questa sua mostra alla Casa della Cultura. Anche perché Massimo Motta in questa circostanza presenta per la prima volta l’ultima sua produzione fotografica che ormai da tempo insiste nella collusione tra fotografia e pittura, facendo in modo tuttavia che il risultato finale sia sempre un’opera fotografica.
Una decina di opere esemplificative che ci fanno vivere fra gli eventi quotidiani raccontati dall’artista. In particolare personaggi che attraversano la strada, e noi con loro come trascinati in un soft sommovimento intriso di verità e immaginazione, tra le ombre e le loro peregrinazioni e proiezioni, tra la persona invisibile e il dinamismo che la agita, tra l’asfalto e la pioggia e i variegati colori ora succosi ora taglienti.
In questa ultima produzione, il suo Pattern of Media (la ricordata fusione tra fotografia e pittura) lascia il posto al concepimento di una fotografia pura con esiti che tradizionali non sono. Con questi nuovi modi della sua fotografia, Motta continua ad offrire al lettore situazioni o meglio circostanze (spesso dettagli) attimali della giornata. Ad esempio, la vita quotidiana di una persona che attraversa la strada. E io mi ci riconosco: circostanze simili a talune esperienze fatte da me, accademico e architetto orientale dedito alle arti visive, e quindi dentro la cultura orientale che ci fa convivere quotidianamente nella bellezza dell’ombra e dei suoi leggeri movimenti e delle sue leggere metamorfosi. Ecco, in queste opere di Motta, con la loro frizzante e seducente impaginazione, sempre ricca di tensione, mi ritrovo pienamente.
Il fotografo Massimo Motta nel far “vivere” l’ombra, talvolta sembra ne voglia fare una metafora dell’essere o non essere giocando tra ombreggiatura e invisibilità e determinando un “non detto”, una semantica indiretta, provocando di conseguenza la nostra immaginazione con la quale, e non con la fantasia, fissiamo i nostri diari.Motta è stato creativo nell’elaborare questa serie di opere: immagini che ci attirano indirettamente e non per la forza trainante di un dettaglio particolarmente icastico. Semplifica massimamente. Si limita, ad esempio, a mettere in primo piano un pavimento bagnato, un’ombra umana, tra pioggia e colori naturali, e ci racconta, così, il diario di un personaggio che vive naturalmente e semplicemente la sua quotidianità supportato da un’estetica indiretta, grazie a questi dettagli che ci rendono mediatori tra verità e immaginazione.
Motta ci parla della vita quotidiana con la creatività di un artista che ha trasformato la sua macchina fotografica in un pennello, in colori e in natura, elementi che rendono ogni immagine un dipinto artistico ben espressivo.
Con le sue belle immagini l’artista fotografo Massimo Motta dona alla nostra quotidianità un’estetica, una vitalità e anche un’umanità nascosta. Nascosta ma espressa attraverso lo splendore dell’immagine. Motta ci offre un suo osservatorio dal quale la vita ci appare più bella esteticamente ed esistenzialmente.