Il giardino dell’Eden

Dipinto di Vittorio Mazzucconi nel quale a sinistra è rappresentata una figura femminile accovacciata di fronte ad una figura maschile che tiene in mano un frutto rosso e una colomba che copre il volto dell'uomo. Eva e Adamo nel giardino dell'Eden.
Vittorio Mazzucconi, Non più il giardino dell’eden, 1999

Corpo, anima e spirito? Ha un senso scomodare queste illustri categorie a proposito di un’opera d’arte? Cominciamo però dalla loro presenza nell’uomo, che si è attribuito questa triade. Cosa significa? Che, oltre al corpo di cui abbiamo diretta e incontrovertibile esperienza, c’è in noi un’anima, presenza invisibile e non meglio definita; e che quest’anima ha accesso a un’entità più vasta – lo spirito – per quanto essa possa essere ancor meno definita?

Nel quadro qui riprodotto (“Non più nel giardino dell’Eden”) il titolo dice che però non è più così. Non c’è più l’Eden a cui corrispondeva la triade “corpo, anima e spirito”: il corpo è nascosto dietro un muro di idee astratte, che trovano purtroppo il riscontro di una tragica concretezza nella realtà; l’anima appare smarrita e confusa; e lo spirito sembra imprigionato nello stesso muro, che non riesce più ad attraversare.

Al centro di questo dramma rimane ancora, anche se purtroppo per poco, l’antico albero della vita; non è però più verde ma piuttosto azzurro, come un mare o un fiume da attraversare per recuperare la primitiva unità.

In essa, il nostro corpo si univa spontaneamente alla nostra anima, e tale unione sembrava benedetta dallo spirito. Ma era appunto solo il giardino dell’Eden, un’idealità o un immaginario ricordo che l’uomo portava in sé ma che non trovava esempi nella realtà, salvo che in qualche momento di amore e in qualche opera d’arte. Ma adesso, in cui l’amore sembra un’inutile complicazione del sesso e l’opera d’arte ha abdicato alla sua funzione di recupero dell’essenza in un mondo di futili apparenze, cosa ne rimane? Il muro, appunto, che, con la sua costruzione, sostituisce la spontanea unione fra idealità e amore: una costruzione che è l’opera dell’intelligenza umana.

Il quadro del giardino che fu o che avrebbe potuto essere ne mostra, ahimè, la devastazione che è provocata dall’intelligenza, non quella che sa vedere, capire e amare la vita ma quella che non ne comprende il senso e che è invece pronta a rovesciarlo nell’affermazione di un mondo senza senso.

È il mondo dell’intelligenza, che sembrava così bello quando, ai suoi inizi, nacquero la ragione, la geometria e la bellezza dell’antica Grecia, per diventare poi, soprattutto nel nostro tempo, la follia, il caos e la bruttezza che ci dominano.

Sembra che la finalità, tanto pratica quanto astratta, a cui tende l’uomo del nostro tempo, sia quella di diventare artificiale, come una macchina, un robot; che tale diventi lo splendido atleta di allora, emulo degli dèi; che non ci sia più l’intuizione del divino a guidare con l‘arte e la filosofia i bisogni primari della nostra vita, ma che questi producano il gigantesco totem del più stupido consumismo.

Anche l’uomo raffigurato nel quadro non è certo bello come un atleta greco, è anzi bruttino e non potrebbe essere migliore poiché è stato dipinto nel nostro tempo, ma la sua testa è ancora vicina alla colomba dello spirito nel suo ultimo volo, prima che esso si impigli definitivamente nel muro che cresce, cresce…

E’ il muro dell’intelligenza umana, della ragione materialista, avida di denaro, potere e tecnologia. Ai suoi inizi era una bella costruzione, un tempio; poi è diventata sempre più grande fino al cumulo di pietre dei nostri giorni, tanto informe da farci chiedere se è veramente un muro in costruzione o se non è piuttosto qualcosa che sta per crollare. L’intelligenza che, per mezzo di esso, voleva sostituirsi orgogliosamente al rapporto fra l’uomo e lo spirito, accumulando conquiste su conquiste, mostra forse le prime crepe? Altro che crepe, altro che l’incipiente stupidità ovunque diffusa: essa rischia di diventare dirompente e di far così crollare il muro.

È la prospettiva di una prossima catastrofe? Mi sembra nella forza delle cose che i muri dell’arroganza umana presto o tardi crollino, che il naturale equilibrio della natura ritorni dopo la sua transitoria distruzione, che l’eterno miraggio dell’Eden continui ad apparire in nuove forme, che i muri dell’avidità umana divengano di nuovo i templi della sua capacità di superare nonostante tutto sé stessa. Oltre che perla la forza delle cose, mi sembra che tutto ciò possa avvenire in conformità con un ritmo universale, quello con cui lo spirito feconda e trasforma senza soste la materia. È la speranza dell’anima, per quanto essa, nel nostro quadro, sembri smarrita e non riconosca più l’uomo che è nascosto dal muro e tanto meno la colomba che rappresentava una volta lo spirito.

Una diversa lettura ci mostra che il suo soffio raggiunge ancora l’anima che è pronta ad essere fecondata, come un uovo. Un uovo femminile, pronto a ricevere il maschile: l’eterna combinazione con cui la vita si perpetua, indifferente ai muri che la mente costruisce e che vorrebbero negarla.

E’anche l’eterna combinazione dell’arte, quella che è o dovrebbe essere proprio un’imitazione della vita, non certo in un senso verista ma in quello, appunto, di essere viva, di avere cioè in séun corpo, simile a quello dell’uomo, un’anima, che è quella dell’artista e, nelle opere migliori, una presenza dello spirito.

Sto evidentemente parlando dell’arte di una volta perché, in quella di oggi, con l’eccezione della letteratura e del cinema, non vi è traccia di tutto ciò. Quando non si vuol più rappresentare il corpo dell’uomo, si rinuncia a comprenderne e ad esprimerne anche i sentimenti e, finalmente, la stessa vita.

Può esistere un’arte senza corpo, anima e spirito, ossia senza questa vita? Un’arte come quella concettuale in cui, in luogo di essa, sia presente solo il pensiero? Esso è proprio il “progetto del muro”, che non è certo dettato dalla naturale forza del corpo e neppure dal sentimento dell’anima e dal suo anelito allo spirito, ma solo dall’intento materialista, razionale, calcolato, che non solo distrugge l’arte, ma il nostro stesso mondo.

A fronte di tale minaccia, non rimane quindi che sperare che, seguendo il ritmo universale che spingerà il mondo verso un ritorno all’anima, possiamo vederne e assecondarne i primi segni, come il rinnovato rispetto della natura, un’attenzione solidale alla povertà e ad altre forme di degradazione, una vera cultura legata a una coscienza spirituale, e finalmente la liberazione della mente dalla tirannia materialista che rende difficile tale percorso.