La metamorfosi del Dibbuk

La mostra presentata con questo strano titolo – Le Dibbouk, fantôme d’un monde disparu -, al Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme di Parigi fino al 26 gennaio 2025 è davvero eccezionale. Molti, come me, non sapevano cosa fosse un Dibbuk, non conoscevano neanche questa parola.

Dibbuk, la leggenda

È l’anima errante di una persona morta che si impossessa del corpo di un essere vivente. Si dice che questa leggenda abbia avuto origine nel XIII secolo nel mondo sefardita e poi, nel XVIII secolo, si sia diffusa in tutta Europa, conquistando il mondo degli ashkenaziti, essenzialmente in un contesto chassidim. Fu tra il 1912 e il 1913 che Shalomy. E. Rappoport organizzò una spedizione etnologica tra il 1912 e il 1913 in Russia e Ucraina, in regioni remote del’impero come la Podolia e la Volinia, alla ricerca di antiche leggende che trasmettessero la tradizione orale. Sotto lo pseudonimo di Sh. An-sky, scrisse un’opera teatrale in quattro atti in yiddish e russo nel 1917 su questo tema, rappresentata con grande successo nel 1920 a Varsavia, e poi a Mosca un anno dopo. Quest’opera fu tradotta in ebraico nel 1922 e rappresentato in tutta Europa (l’opera fu diretta da Gaston Baty al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi nel 1938) e persino negli Stati Uniti.

Il Dibbouk nel dramma teatrale

L’eroina di questo dramma è una giovane ragazza, Lea, il cui padre, Sender, rifiuta regolarmente tutti i corteggiatori e non chiede la sua opinione. Aveva già raggiunto un accordo con una famiglia di sua conoscenza. Ma non mantenne la parola, avendo conosciuto una famiglia ancora più ricca. Quando vengono annunciati questi matrimoni indesiderati, Léa sogna il giovane Hanan e si innamora di lui. Il giovane si è anche innamorato di Lea. Ma il loro amore è impossibile. La storia ha un finale triste quando Hanan perde la vita e Lea è prigioniera di un Dibuk, che non è altro che la persona che ama più di ogni altra cosa. La sua anima Girovaga si impossessa del corpo di Lea: i loro destini sono legati per sempre.

La versione dell’amore eterno

Il drammaturgo ha trasformato la leggenda iniziale, malvagia nell’essenza, in una versione commovente dell’amore puro ed eterno, trasformando la leggenda nera del Dibbuk in un tragico idillio, ma che, al contrario delle versione tradizionale, fa trionfare il sentimento sull’avidità spietata del padre, la cui promessa non mantenuta è in parte all’origine di questo straordinario possesso. Inoltre, Hanan, disperato a causa della sua decisione, si è dedicato senza riserve alla magia per diventare ricchissimo e riuscire così a piegare la volontà di questo padre intrattabile ed egoista.

Hanan, avendo trasgredito le regole cabalistiche più imperative, viene colpito da un fulmine. Lea è posseduta dall’anima errante e infelice di Hanan. Viene liberata da questa pericolosa intrusione, ma non vuole separarsi dal suo amato. I due innamorati, infine, non si lasciano mai nell’aldilà. Alcuni hanno paragonato questa pièce a  Romeo e Giulietta di William Shakespeare  o alla passione che unisce Tristano e Yseut. Ma l’analogia non è esatta, anche se si tratta in tutti i casi di un amore che può avvenire solo nella morte.

Il Dibbouk, il cinema colto e la letteratura

Diversi film sono stati ispirati da questo dramma, a partire dal 1937 con il lungometraggio polacco diretto da Michal Waszyski nel 1937. Dopo la guerra, l’opera ispirò Andrei Wajda, poi Sidney Lumet e i fratelli Joel & Ethan Coen (per citarne solo alcuni). Il tema ispirò anche grandi musicisti come Leonard Bernstein (ha creato un un balletto), scrittori, come Isaac Basevis Singer, Romain Gary, pittori come Issachar Ber Ryback, Marc Chagall (The Cemetery), Natan Altman, Leonora Carrington, e molti altri.

Insomma, il Dibbuk non ha smesso da allora di affascinare i creatori e di segnare profondamente la cultura ebraica moderna. Il catalogo è una pura meraviglia per scoprire questo magico mondo.

Le Dibbouk, fantôme d’un monde disparu, a cura di Pascale Samuel & Samuel Blumenfeld, Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme, Parigi, 240 p., 36 euro.  Mostra fino il 26 gennaio 2025.