Danza, l’American way

da Victory of the Sun, BAM

Una forte corrente di Dance Studies all’americana percorre il panorama della danza in Italia, il paese che ha dato origine al balletto occidentale con i suoi maestri itineranti, sapienti artigiani del suono, del gesto, del mimo, di generazione in generazione una forma specializzatissima di cultura orale, dalle corti rinascimentali fino alla Russia degli Zar, in competizione con la scuola francese fondata dal Re Sole.

La danza tra Russia e Usa

Dopo che i russi esportarono questo antico sapere negli USA (George Balanchine, Mikhail Mordkin), culla della modern dance democratica, proprio dal “nuovo mondo” rimbalza adesso in Europa il modo americano di accademizzare l’approccio allo studio e al re-enactment di un’arte sfuggente come è quella di Tersicore, finora “in mano” ai coreografi, ai critici e ai cultori appassionati.

Tutto è iniziato dall’entrata della storia della danza nelle Università e dalla nascita di un’associazione di ricercatori e studiosi, AIR, tra cui Patrizia Veroli, autrice di una biografia imprescindibile su Aurel Milloss, per decenni fac totum del balletto moderno nei teatri lirici italiani.

Ma, soprattutto, la nuova corrente di stampo anglo-americano ha preso l’avvio da un libro, I discorsi della danza (Utet, 2007), una raccolta di saggi su politica, identità, estetica, storia, curata da Susanne Franco e Marina Nordera, docenti universitarie, ora rispettivamente a Venezia e a Nice. Anche a loro si deve un’altra pubblicazione a più voci, Ricordanze: Memoria in movimento e coreografie della storia (Utet, 2010) su archiviare, ricostruire, trasmettere, importando l’american way quanto alla teoria e anche alla pratica.

Dance Studies

È nella seconda metà degli anni Novanta che i Dance Studies conquistano una propria fisionomia all’interno della rete dei  Cultural Studies” che si focalizzano “scientificamente” sulle nuove politiche delle differenze di razza, di genere, sessuali, culturali, transnazionali. Con questa loro pluralità utilizzano strategie “porose” rispetto alle discipline “tradizionali” e ai loro valori ideologicamente “universali”. E si tratta anche di presupposti per la scrittura giornalistico-critica tradizionale sullo spettacolo e sulla danza.

Il corpo in movimento, nelle sue pratiche, viene analizzato nei contesti politici e sociali con cui “negozia” la sua presenza e il suo accreditamento nel mondo e sulle scene. Si osserva e si studia “senza giudizio” di valore da dover mettere in campo.

Re-dance

Re-play, re-make, re-creation, re-enactment: i Dance Studies hanno aperto una vivace discussione su come rapportarsi ai titoli del passato.

Se l’artista-coreografo Mats Ek ha ideato una Giselle contemporanea alternativa (1987), che agli esordi scandalizzò la critica, per poi approdare trionfalmente all’Opéra di Parigi e alla Scala di Milano, accanto a quella classica tramandata dal 1841, ora i re-make sono orami un fatto acquisito e accettato.

Se Alexei Ratmansky ha firmato la re-creation di Bolt, il bullone, di Lopukhov-Sciostakovich (1930-1931), balletto bandito da Stalin, sulle scene del Bolshoi moscovita; se la coppia Hodson-Archer (Ballets Lost and Found, Routledge 1994) ha ricostruito basandosi su documentazioni scritte, immagini e testimonianze dirette il Sacre du Printemps di Vaslav Nininsky (Joffrey Ballet, 1987; Opéra de Paris, 1991), scatenando partiti opposti di entusiasti e di detrattori, oggi La morte del cigno di Mikhail Fokin per Anna Pavlova (1907) è diventata oggetto di re-invenzioni costruite come dediche a quel cammeo storico glorioso, un gioiello di poco più di 3’.

 Swans never die

Swans never die è un ciclo attivato sulla spinta di un progetto a lungo termine, Mnemedance, innescato proprio da Susanne Franco, la quale ha in animo di dar vita ad altre analoghe operazioni culturali, da porre in atto sulle scene teatrali.

Presso le Università americane, dove i Dance Studies hanno preso l’avvio, la danza praticata è d’uso; da sempre gli spazi universitari negli USA offrono un’accessibilità al lavoro di prova e di scena, che i teatri commerciali non possono mettere a disposizione se non a caro prezzo.

Basti ricordare La vittoria sul sole/Victory over the Sun di Kruchenykh-Matyushin-Malevich, epocale opera futurista russa del 1913, riproposta con gli studenti di CalArts (California Institute of the Arts) nel 1983 e con la regia di Robert Benedetti, una versione migrata poi a Berlino, Los Angeles e alla BAM, Brooklyn Academy of Music

Filologia russa

Intanto in Russia la danza ha conosciuto riprese doc di titoli di spicco: Andris Liepa, figlio d’arte di casa Bolshoi, e Isabelle Fokin, nipote di Mikhail Fokin, grande riformatore del balletto, hanno firmato la ricostruzione autentica di Oiseau de Feu su Stravinsky; Sergei Vikharev, di casa Marinsky, ha rimesso in opera una Bella addormentata pre-sovietica, con la scena finale della parata del Re Sole a Versailles, espunta dopo la Rivoluzione russa.

Su ognuna di queste e altre riprese, giudicate più o meno “filologiche”, si sono accese discussioni accanite tra i coreografi, che oltre all’insegnamento ricevuto dai loro maestri sono in grado di leggere le notazioni coreografiche, in particolare i “balletti scritti” con il metodo Stepanov, nei quaderni conservati all’Università di Harvard, e i critici, partigiani di redazioni ereditate per trasmissione da docente a discente, con interpolazioni o tagli operati nel tempo, difendendone la ratio artistica consolidata per accumulo da connaisseurs esperti.

Questioni di metodo

A chiudere provvisoriamente il cerchio della questione di “come” si riporta in scena un titolo degno di restare attivo, arriva il saggio La grande stagione del balletto russo, fra Ottocento e Novecento: tradizione e avanguardia (Dino Audino, 2022). Ne è autore Elena Randi, docente all’Università di Padova, la città di Riccardo Drigo, musicista per il balletto assunto alla corte zarista dal 1878 alla Rivoluzione.

 

Da Les millions d’Arlequin

Nel capitolo su L’Arlecchinata (Les millions d’Arlequin, 1900), con musica appunto di Drigo, ripercorrendone la traiettoria attraverso le documentazioni esistenti, la studiosa lamenta la mancanza di un metodo saldo nell’attitudine dei rimontatori che ci si sono esercitati, con l’intendimento di dar vita prossimamente a una redazione scenica più efficace.

Les millions d’Arlequin, però, vive tuttora intanto in Russia a Pietroburgo (Sergey Kozadayev l’ha esportato fin negli USA), e si continua a danzarlo nella versione di Alexander Mishutin, educato al Bolshoi moscovita; il pas de deux non manca nei concorsi per giovani talenti in Russia, mentre a Cuba (Arlequinada) lo si insegna alla Escuela Nacional de Ballet.

E dunque: Università versus teatro? Professori versus coreografi? Dance Studies USA versus tradizione europea?

Facile prevedere che il mondo della danza danzata e quello della danza studiata entreranno in collisione, nella vecchia Europa dove il balletto non è un immigrato, come negli Usa, ma è un nativo preservato che passa da corpo a corpo, da maestro ad allievo. La correttezza coreografico-politica è il nodo di una guerra culturale che non mancherà di dare i suoi frutti e i suoi brividi.

 

ELISA GUZZO VACCARINO 87 Articoli
Laureata in filosofia, ha insegnato storia ed estetica della danza in università italiane e straniere e alla scuola di ballo della Scala di Milano. Si occupa di danza per Quotidiano Nazionale, periodici e riviste specializzate, scrivendo anche libri. Collabora con la Biennale Danza di Venezia e il Premio Carla Fendi di Spoleto. È membro del Consiglio Superiore dello Spettacolo presso il Ministero dei Beni Culturali.