I’m not against Maurizio Cattelan‘s banana or Giorgio de Chirico‘s bunch of bananas (see previous post). I’m not against anyone who wants to make art. I have my preferences of course and I can also cheer for someone (in this case a great artist like Fabio Mauri). However, I look with more interest at a work that claims to be art than everything else, including philosophy. So, I’m not against any work, I’m just doing mine. To be more precise: Brunelleschi made his dome; Michelangelo and Borromini theirs, but no one bothered to bury the previous one. They didn’t care because they were making a new dome.
Dome is a link between art and history: there is no art without history, without a dome. Which is today’s one (2021), do we have to choose between Frank Gehry and Zaha Hadid? I don’t mean architectural domes. Perhaps today it is just a screen with the word The end or a Wailing Wall or a sequence of film history deformed by the present whatever (Pierpaolo Pasolini‘s living chest, a mobile face, a basin of milk, a scale, etc.)
I wonder: what did Pontormo, Donatello and, before that, all the others (Duccio, Angelico, etc.) and, after that, Tiepolo, down to us, including de Chirico? The milk pail alone (as it is then exposed, without the projection, without the story). However, if this is the destiny of work, as the market would like and the institution before it, it must be taken into account. Did something escape the control of the artist himself who created the performance? The danger is great.
Perhaps it is precisely from this control that we must start again in order to restore the relationship with those who in the past (up to de Chirico, so to speak, and even beyond) had neither digital nor cinema and the performance, hybridization of visual art with theater, was not legitimized.
I want to introduce a wedge: the downsizing of the importance of technology and what it allows to do. I am interested in all of Mauri, including his drawings, his photos: which bucket, so to speak. As well as I am interested in Joseph Beuys and the precise control of all the images concerning his work. Neither of them has forgotten the relationship with the object, just like Pontormo.
Just to give an example: without knowing it, I called Without a job about ten years after Without by Mauri. Today a certain dominant mentality judges that the latter’s work is current, avant-garde, because it uses the most advanced technological tool available, the projection of film light, and he makes a performance of it. Anyway, no one reflects that perhaps the step forward, necessary for any work of art, consists instead in the very opposite: the machine stops and the use of your imagination starts, the one that arises from a subtraction of gaze. It is the full eye the cancer to fight today.
But where does the dome, the story end? Well this “goes around”, like “the wind”; Pontormo, like the bucket, like the rabbit, are the things that remain. Maybe only in photography.
Il mondo classico
Io non sono contro la banana di Maurizio Cattelan e per il casco di banane di Giorgio de Chirico (v. post precedente), non sono contro nessuno che intenda fare arte. Ho le mie preferenze naturalmente e posso anche tifare per qualcuno (un Grande artista come Fabio Mauri in questo caso), ma guardo con maggior interesse un lavoro che si dichiari d’arte rispetto a tutto il resto, compresa la filosofia. Non sono contro nessuna opera quindi, solo faccio la mia. Preciso: Brunelleschi ha fatto la sua cupola, Michelangelo e Borromini la loro, ma nessuno si è preoccupato di seppellire la precedente: se ne fregavano, perché facevano una nuova cupola.
Cupola, legame tra arte e storia: non esiste arte senza storia, senza cupola. Quale è quella di oggi (2021), dobbiamo scegliere fra Frank Gehry e Zaha Hadid? Non intendo cupole architettoniche. Forse oggi questa è proprio uno schermo con la parola The end o un Muro del pianto oppure una sequenza della storia cinematografica deformata dal presente checchessia (il petto vivo di Pierpaolo Pasolini, un viso mobile, una conca di latte, una bilancia ecc).
Rifletto: cosa hanno fatto Pontormo, Donatello e, prima ancora, tutti gli altri (Duccio, Angelico ecc.) e, dopo ancora, Tiepolo, giù giù fino a noi, compreso de Chirico? Il secchio di latte da solo (come poi viene esposto, senza la proiezione, senza la storia). Ma se questo è il destino del lavoro, come vorrebbe il mercato e prima di lui l’istituzione, bisogna tenerne conto. Qualcosa è sfuggito al controllo dello stesso artista che ha creato la performance? Il pericolo è forte.
Forse è proprio da questo controllo che bisogna ripartire per ripristinare il rapporto con chi nel passato (fino a de Chirico, per intenderci, e anche oltre) non aveva a disposizione né il digitale né il cinematografo e non era ancora sdoganata l’ibridazione dell’arte visiva con il teatro: la performance.
Voglio introdurre un cuneo: il ridimensionamento dell’importanza della tecnologia e di ciò che essa permette di fare. A me interessa tutto il Mauri, compresi i suoi disegni, le sue foto: quale secchio, per intenderci, così come interessa Joseph Beuys e il preciso controllo di tutte le immagini che riguardano il suo lavoro: nessuno dei due ha dimenticato il rapporto con l’oggetto destinato a restare. Quindi con Pontormo.
Solo per fare un esempio: senza saperlo, ho chiamato Senza un lavoro di una decina d’anni dopo il Senza di Mauri. Una certa mentalità dominante oggi giudica che l’opera di quest’ultimo sia attuale, all’avanguardia, perché usa il più evoluto strumento tecnologico a disposizione di chi fa arte visiva, la proiezione di luce cinematografica, e ne fa una performance; ma nessuno riflette che forse il passo avanti, necessario per qualsiasi opera d’arte, consiste invece proprio nell’opposto: il fermo macchina, il ricorso alla tua immaginazione, quella che nasce da una sottrazione di sguardo. É il pieno di occhio oggi il cancro da combattere.
Ma dove finisce allora la cupola, la storia? Beh questa “fa il suo giro”, come “il vento”; Pontormo, come il secchio, come il coniglio, sono le cose che rimangono. Magari solo in fotografia.