Domenico Gnoli, la Fondazione Prada riapre

Domenico Gnoli alla Fondazione Prada
Domenico Gnoli

Riapre con Domenico Gnoli Fondazione Prada. L’artista romano ha goduto di due distinte e folgoranti carriere. La prima come scenografo e illustratore di grandissimo successo, inaugurata appena ventenne nel ’55, poi dal’ 64 fino alla morte nel ’71; la seconda come straordinario interprete di un’arte analitica che, unica sulla scena internazionale, avrebbe potuto essere concorrente convincente della Pop Art USA.

Gnoli e Celant

La mostra è stata concepita da Germano Celant, curatore della Fondazione Prada deceduto per Covid nel 2020. Senza la pandemia sarebbe stata in programma per il 2019. É un paradosso che sia proprio l’inventore, l’animatore, il teorico dell’Arte Povera Germano Celant a volere la prima vera e importante mostra di Gnoli a 50 anni dalla sua morte. Nessuno è forse così lontano da Gnoli quanto il Celant che in quegli stessi anni teorizza l’Arte Povera. Mentre Gnoli con la mostra da Sidney Janis nel dicembre del 1969 scala le vette del successo, Germano Celant scrive i manifesti dell’Arte Povera. Sono due percorsi che si sfiorano. Lo stile di vita di Gnoli, le sue frequentazioni, le amicizie a Parigi, Londra e New York erano internazionali. Gnoli era brillante, estroverso, mondano, non incline a esistenzialismi e per nulla incline a ideologie politiche. Dopo la prima moglie Luisa Gilardenghi, regina della vita sociale di New York e amica di Leonard Bernstein, Diana Vreeland, Andy Warhol, Gnoli incontra Yannik Vu. Proprio Yannik da vedova ha curato la Fondazione Gnoli a Maiorca. Era figlia di una pianista francese e dell’artista vietnamita Vu Cao.

L’entrata di Domenico Gnoli nel Canone italiano del secondo Novecento

L’entrata a pieno titolo nel Canone italiano del secondo Novecento strappa Domenico Gnoli dal ruolo di outsider e comporta un certo ridimensionamento degli affollati plotoni di artisti italiani dei decenni successivi. Una perdita di peso relativo per molti. Questo forse a Germano Celant non doveva piacere moltissimo. L’Italia di Gnoli, orgogliosa del Miracolo economico che cancella la povertà e le macerie della guerra, ha in Roma il centro culturale indiscusso del paese. Nonostante abbia illustrato un’edizione inglese del Barone Rampante di Italo Calvino, Gnoli è più vicino ai primi titoli di Alberto Arbasino. Tra gli artisti dell’Arte Povera grazie al suo dandysmo, che lo portò a gestire un hotel a Kabul e alle mappe cucite dalle donne afghane, gli è vicino il solo Alighiero Boetti.

Un protagonista dell’arte italiana in larga parte dimenticato

Fondazione Prada torna quindi a uno dei passaggi più profondamente originali dell’Arte italiana del secondo Novecento. Gnoli è stato da questo punto di vista una biforcazione che non è stata percorsa e che le istituzioni culturali italiane hanno in larga parte dimenticato. Solo un museo italiano  possiede una sua opera. Gli dedica un saggio nel catalogo Salvatore Settis, studioso dell’Antico e del Mondo Classico, che usa l’idea della “ perfetta ineloquenza”  per interpretare il percorso teorico di Gnoli. L’ intervento di Salvatore Settis nella Fondazione Prada è anche un messaggio di un paese con una Storia Antica, l’Italia, che grazie alla fondazione Prada a Shangai, parla a una civiltà più che bimillenaria, la Cina. Fondazione Prada chiude così l’epoca della curatela di Germano Celant ed entra nel terreno inesplorato dei nuovi anni Venti.