De civitate Industriae: città Made in Italy, da Crespi d’Adda a Solomeo

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Può l’architettura incarnare lo spirito dell’industria italiana e trasmettere ai posteri la sua visione del mondo? E come può farlo ancora oggi?

“Per architettura si deve intendere lo sforzo di armonizzare con libertà e con grande audacia, l’ambiente con l’uomo, cioè rendere il mondo delle cose una proiezione diretta del mondo dello spirito”, così Antonio Sant’Elia apre nel 1914 il Manifesto dell’architettura futurista.

disegno stilizzato color ocra e nero di strutture di aspetto industriale
Tavola de “La città nuova” (1914) di Antonio Sant’Elia

Tuttavia, la volontà di imprimere al paesaggio una nuova connotazione industriale – il tentativo di costruire con l’architettura una visione di impresa – arriva molto prima dell’orientamento funzionalista dell’architetto futurista. Difatti, già a partire dalla seconda metà del 1800, sul nostro territorio sono realizzate molteplici company towns. Realtà extraurbane, progettate per essere autonome e chiuse in se stesse, sorgevano su iniziativa dei singoli imprenditori, in prossimità di insediamenti produttivi, con il fine di dare alloggi ai lavoratori e alle loro famiglie, fornendo, inoltre, i basilari servizi sociali e ricreativi.

Crespi d’Adda

Il villaggio operaio di Crespi D’Adda, nel bergamasco, ne è uno degli esempi più noti e meglio conservati al mondo. Situato lungo le rive del fiume Adda, sorto a fine del XIX secolo per volere della famiglia Crespi e diventato patrimonio dell’UNESCO nel 1995, rappresenta una vera e propria isola temporale dove l’impronta industriale è ancora oggi ben percepibile.

Veduta di una villetta a due piani circondata dal prato e rivestita per gran parte in pietra
Villino del dirigente nel villaggio industriale di Crespi D’Adda

Nel 1906 l’impianto della città è ormai ben consolidato sulle linee guida delle citiés ouvrières francesi, secondo l’idea dell’imprenditore

Cristoforo Benigno D’Adda, il cui ambizioso progetto, iniziato nel 1878, prevedeva la realizzazione, attorno agli stabilimenti industriali di famiglia, di un vero e proprio sistema insediativo. Il layout urbano è costituito da un sistema di strade ortogonali tra loro che ne sottolineano l’organizzazione razionale. L’impianto a scacchiera regola la maglia delle case operaie. Differentemente, un disegno più libero definisce l’insediamento delle case dei dirigenti, progettate con un impianto planimetrico appena più complesso delle precedenti. Vi sono inoltre numerosi edifici a destinazione pubblica: scuola, chiesa, cimitero monumentale, lavatoi.

Ciò che colpisce di più di Crespi D’Adda sono i numerosi linguaggi architettonici in cui ci imbattiamo mentre percorriamo le sue strade. Il neogotico-lombardo arricchisce le facciate dei villini, la chiesa invece ha il suo stile rinascimentale, in contrasto con quello neo-medievale del castello, o ancora quello eclettico, con particolari decorativi orientaleggianti, del mausoleo.

A distanza di un secolo, il rapporto tra uomo e paesaggio industriale è fortemente cambiato: il fenomeno delle città aziendali, realtà utopistiche e chiuse in sé, dove le vite ruotano attorno al grande elemento produttore della fabbrica, non esiste più e, al contrario, si tende ad intervenire lontano dai centri abitati. Tuttavia non mancano eccezioni significative, esempi in cui l’industria si scopre un medium per lo sviluppo di nuove potenzialità, che si inserisce all’interno di realtà urbane già consolidate.