Bellezza, una parola chiave

divino, ma anche dell’umano. L’Islam ha cercato di sospendere la presunzione di una trascendenza nelle mani, nel dominio dell’uomo e la dimensione patetica dell’umano troppo umano, cioè del dio in croce.

Immagino che qualcuno possa anche essere d’accordo con queste mie un po’ presuntuose (per non dire bislacche) note. Ma questo qualcuno giustamente si chiederà di nuovo: “Ma che c’entra il digitale?”. Vediamo: la riduzione del reale all’universale attraverso la geometrizzazione e matematizzazione presuppone di “risolvere” il reale, di definirlo in una presunta essenza catalogabile attraverso gli universali, e in una sua determinata verità.

Questa procedura permette una iper-determinazione fattuale (rende l’ente a disposizione e calcolabile), ma nel contempo rimuove tutto ciò che l’ente è e può essere: le sue molteplici forme, modalità, caratteristiche, disponibilità.
In altri termini l’entificazione attraverso la numerazione, riduce, rimuove, annulla tutto ciò che fa sì che quell’ente sia, tutto ciò che è e anche ciò che può essere.

Quando indico che lì c’è una mela non dico di certo di che mela si tratta, se è matura o meno, se è profumata e che colore ha; se riduco il mondo a ciò che è numerabile perdo tutto il resto, cioè rischio di perdere il mondo stesso, o di guadagnarlo perché così lo riconduco al mio controllo calcolante.

Produco sostanzialmente dominio. Si badi bene il rapporto uomo mondo e sempre intrecciato con il conflitto e con il tema del dominio, solo che attraverso gli universali (elaborato nei modi della metafisica) questo dominio si oggettivizza, qualcuno direbbe: diventa volontà di potenza e, di seguito, volontà di volontà.

Se dovessi fare una storia della emersione del digitale sino al momento nel quale diventa tecnologia diffusa potrei raccontarla segnalando dapprima il grande sogno di Leibniz di poter costruire una macchina capace di ridurre a calcolo ogni (e ripeto ogni) ragionamento logico.

Usava dire che quando sorgeranno controversie tra due filosofi (che per lui ovviamente significava tra due che pensano e discutono di tutto e di più) sarà sufficiente che essi prendano in mano la penna, si siedano di fronte agli abachi e si dicano l’un l’altro: calcolemus.

Questo suo sogno, non si è affatto compiuto nel digitale, anche se molti lo pensano. Per Leibniz il mondo era il migliore dei mondi possibili e quindi bello, anche quando si presenta nei modi del brutto. Per Leibniz si dà una armonia prestabilita (come per Pitagora, Aristotele…forse per tutta la filosofia sino al terremoto prodotto da Nietzsche che ancora oggi semina panico) tra l’esistente, il possibile e quindi per ogni cosa (o evento) presente nel mondo. Nello scenario di Leibniz c’è una ragione sufficiente e quindi una bellezza prestabilita.

Il sogno di Leibniz prosegue con Boole che trasforma la logica in algebra. La sua riduzione ad ogni possibile scelta logica tra vero e falso e, traslando, tra 0 e 1 sarà la base della futura computazione logo-tecnica del digitale. Il sogno continua con Frege con il quale la matematica viene ricondotta ad un sistema logico che possa comprendere tutte le inferenze deduttive utilizzate nella pratica matematica.

Matematica versus logica. Nacque così il primo esempio di linguaggio formale dotato di una sintassi precisa. E siamo così, all’inizio dei linguaggi di programmazione.

Cantor esplorando un domani del tutto inedito, quello degli insiemi e in particolare nella relazione tra insiemi e gli infiniti (la correlazione è persino ovvia) si ritrova a scardinare uno degli assunti fondamentali della stessa meccanica classica che afferma che il tutto è maggiore di ogni sua parte.

Da ciò emergerà un tema cruciale sia dal momento in cui si viene a formare il logos occidentale, sin per intenderci dagli stessi paradossi di Zenone e cioè se il mondo sia continuo o discreto: allora si assunse il primato del continuo (che è il primato dell’ordine storico) contro il discreto ricondotto alla semplice singolarità se non al caso separato dalla procedura a costituire gli universali.

Il digitale opera nel discreto (così funziona la macchina universale di Turing) e non presuppone che necessariamente il tutto sia maggiore di ogni sua parte. Con il digitale la totalità non è chiusa, ma aperta, non predetermina il possibile, ma si predispone all’evento.

Le vicende che portano all’attuale potenza del digitale, cioè il sogno che l’ha in-formata, è continuato in ambiente prettamente logico matematico con Hilbert, alla fine dell’Ottocento, il quale elabora un programma che prevedeva che la matematica e la logica potessero essere sviluppate insieme come un linguaggio simbolico puramente formale.

In altri termini l’intero sistema logico matematico, per Hilbert, non poteva e non doveva presentare alcuna contraddizione interna ed esterna, implicita ed esplicita. Se questo poteva essere dimostrato si sarebbe così compiuto non solo il sogno di Leibniz e di coloro che lo seguirono, ma anche quello della stessa metafisica: l’universalità è totalità e l’insieme degli insiemi non può essere in sé contraddittorio. L’essere è in sé e per sé bello.

Il principio di coerenza, presupposto come totale e totalizzante, crolla quando Gödel costringe tutti ad un drammatico risveglio e manda “tutto per aria” nel momento nel quale dimostra che la logica come la matematica non possono risolvere sé stesse.

Non è la deduzione che ne fa Gödel, ma mi permetto di forzare e segnalare che allora gli universali