La voce di chi non ha voce

La voce di chi non ha voce, Tindaro Granata a Lugano
Ph Courtesy LAC Lugano Arte e Cultura

Mina e la cover

Nel 1968 Paolo Limiti, Mogol e Paolo Elia scrissero il testo e la musica di una canzone intitolata “La voce del silenzio” in concorso al Festival di Sanremo e interpretata da Tony del Monaco con Dionne Warwick. Fu un totale insuccesso, nonostante la melodia fosse ispirata al preludio in Do minore dell’opera di Bach “Il clavicembalo ben temperato”. Come dire, una garanzia. In seguito, fu Mina, la voce più bella di sempre, a decretarne la fortuna, realizzandone una cover.

Tindaro Granata, arte e impegno sociale

I temi della canzone sono il silenzio e la perdita. Parte da qui, Tindaro Granata,  artista siciliano (Tindari, 2002) che nel 2023 vince (per la seconda volta) il Premio ANCT (Associazione Nazionale Critici di Teatro) per il suo percorso artistico di attore e drammaturgo e quale operatore culturale impegnato nel sociale. Da tempo lavora anche con Carmelo Rifici, direttore artistico di LuganoInScena del LAC (Lugano Arte e Cultura), che lo invita a presentare il suo ultimo lavoro “Vorrei una voce”.

L’assenza di sogni, il teatro in carcere

Sia il testo cantato da Mina che quello di Granata sono improntati al silenzio, alla perdita, all’assenza. Granata parla della perdita dei  sogni di una particolare categoria di persone: le detenute della Casa Circondariale di Messina. Inserito nell’ambito del progetto “Il Teatro per Sognare”, che prende le mosse da un’idea di Daniela Ursino, direttore artistico del teatro del penitenziario di Messina, “Vorrei una voce” segue la traccia dei sogni perduti, dei desideri irrisolti, della mancanza di futuro di chi vive privato della libertà, in carcere.

Le detenute, le loro storie e le canzoni di Mina

Dopo l’esperienza teatrale di Daniela Ursino con le sue attrici non professioniste detenute, che hanno dato corpo, voce e anima ai propri sogni perduti, Granata riprende la questione sociale della detenzione. È solo in scena, tesse una trama intorno alle canzoni di Mina – cantate in playback – e anche intorno alle storie delle detenute. A questo modo l’artista siciliano analizza le conseguenze dell’incapacità di sognare, dell’impoverimento interiore delle persone segregate e svuotate della propria identità.

Il carcere, i volti, il teatro

Il lavoro di Tindaro Granata è un’invocazione a non smettere mai di pensare oltre il presente e guardare al di là del muro eretto dalle circostanze. Un muro che nel caso del testo di Granata è anche fisico, quello del penitenziario. L’attore restituisce speranza a chi l’ha persa varcando il carcere, facendo leva sul senso di comunità che anche in quei luoghi si può realizzare. Questa triste condizione è stata recentemente enfatizzata nel volume “Per voce sola. Volti e voci di donne dal carcere”, ritratti fotografici di Elisabetta Marchina (edizioni FYINpaper – InnerSelf).

Se il teatro è una forma di terapia, Daniela Ursino e Tindaro Granata ne hanno dato ampia dimostrazione. Il loro lavoro è la rappresentazione del fatto che dall’unione di anime che volano con il pensiero oltre un confine invalicabile, possono nascere nuove prospettive e speranze.

Vorrei una voce” di e con Tindaro Granata
con le canzoni di Mina
ispirato dall’incontro con le detenute-attrici del teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina
nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare di D’aRteventi
disegno luci Luigi Biondi
costumi Aurora Damanti
produzione
LAC Lugano Arte e Cultura in collaborazione con Proxima Res

 Teatro Foce di Lugano dall’11 al 13 gennaio.

Dello stesso autore: “Trilogia della città di K.” al Piccolo Teatro di Milano