Netanyahu sceglie per Israele
Dopo dieci giorni di tentate trattative diplomatiche, minacce e massicci bombardamenti su Gaza, la notte fra il 27 e il 28 ottobre ha avuto inizio l’offensiva di terra dell’esercito israeliano, con carri armati e artiglieria pesante, coperti dal cielo dai caccia con la stella di David. È accaduto malgrado le pressioni degli Usa, i tentativi di mediazione di diversi Paesi dell’area del Golfo, la risoluzione in extremis dell’Onu per un “immediato cessate il fuoco” e le minacce dell’Iran.
Gaza, nessun piano per il futuro
I generali americani che avevano incontrato Benjamin Netanyahu erano restati negativamente colpiti dal fatto che questi non aveva alcun piano per il futuro di Gaza. Ma alcune dichiarazioni del capo del governo di Israele sono comunque chiare: stanare e cancellare dalla faccia della terra i terroristi di Hamas, oltre a rimodulare la carta geopolitica e la demografia di Gaza.
Le previsioni di Netanyahu circa la lunghezza della guerra – “ci vorranno mesi “ – ci fanno temere che i piani del comandante in capo siano ben più ambiziosi. Alcuni osservatori hanno espresso il timore che lo scopo finale della guerra sia l’espulsione di due milioni di palestinesi da Gaza. Non bisogna poi dimenticare che dopo la guerra del 1948/49 settecentomila palestinesi furono costretti ad abbandonare le proprie case ed emigrare. E altri ancora verso la Giordania dopo la guerra del 1967. Ai loro figli e nipoti e alle loro famiglie – circa sei milioni di persone – è vietato per legge di rientrare in quella che era la loro terra. La ragione è evidente: la popolazione palestinese cresce e crescerà fino a costituire la maggioranza degli abitanti su tutto il territorio.
Una guerra demografica, Netanyahu usa le armi
Ciò appare inaccettabile non solo ai partiti religiosi di destra ma a quasi tutti gli israeliani. Quella che si può definire una guerra demografica, Israele non la può vincere in un modo diverso.
Circondato da Paesi ostili – Iran soprattutto – e accusato da decenni di agire al di fuori della legalità internazionale, il popolo eletto non può permettersi di far crescere un’altra pericolosa minaccia all’interno dei suoi confini, sia Gaza che la Cisgiordania. Ancora una volta a Gerusalemme si ragiona in termini di sopravvivenza della nazione e in nome di essa nulla può essere vietato. Combattere, vincere o morire.
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