Déjeuner sur l’herbe

Fotomontaggio del dipinto colazione sull'erba con aggiunta di Picasso, un falò, ed altri elementi artistici tra cui Gaugain, Vincent Van Gogh e le Torri Gemelle
Bedri Baykam, "The Ultimate Dejeuner", lavoro in 4D, cm 180 x 240, 2008
Fotomontaggio del dipinto colazione sull'erba con aggiunta di Picasso, un falò, ed altri elementi artistici tra cui Gaugain, Vincent Van Gogh e le Torri Gemelle
Bedri Baykam, “The Ultimate Dejeuner”, lavoro in 4D, cm 180 x 240, 2008

BEDRI BAYKAM – L’Europa è una delle più antiche culle della civiltà, con i suoi ricchi e multiformi sviluppi culturali, ma anche con la triste esperienza del potere coloniale, o “Terrore Internazionale”, come potremmo definirlo oggi. La realtà di allora riferisce di “terre conquistate” in diverse aree sottosviluppate del mondo.

Nonostante non si intenda qui riscrivere parte della storia, non si può tacere il ben noto periodo del colonialismo occidentale con cui, ad esempio, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio hanno attaccato le ricche terre straniere.

Molte nazioni hanno conti in sospeso con i vecchi “colonizzatori-invasori-conquistatori” del passato. Tutti questi rapporti di carattere colonialistico in Africa, così come in Medio Oriente, nel Mediterraneo, in Sud America, hanno lasciato tracce nella lingua, nella cultura, nei rapporti economici ed umani, dando luogo ad una sorta di “Sindrome di Stoccolma”.

Lo sfruttamento di risorse economiche in giro per il mondo, praticato dai Paesi europei, “l’Occidente”, è un fatto conosciuto e accettato da tutti. Il Colonialismo, che ha evidenti legami con la schiavitù, sopravvive, con modalità differenti, anche dopo il ventesimo secolo.

Ci si potrebbe domandare “Come è possibile?”. La schiavitù ricercava “servi” che lavorassero gratis, “schiavi” che “pulissero il marcio”, eseguissero il lavoro nei campi o quello pesante al posto delle persone occidentali in Europa e più tardi in Nord America.

Lo spirito europeo, che ha prodotto molti conflitti all’interno dello stesso continente e, più tardi dal 15° secolo, le molteplici attività di conquista che sono seguite, riflette l’evidente complesso di superiorità dell’Occidente.

Le differenze religiose giocano un ruolo cruciale. Gli Europei considerano quasi tutte le altre religioni inutili, irrispettose. Le attaccano e chi le professa è definito “Paien”, cioè “Pagano” (o non Cristiano o miscredente…); questo non è molto lontano dal termine turco dispregiativo “Gavur” utilizzato per i non musulmani.

Arrivando ai nostri giorni, l’emigrazione di lavoratori ebbe inizio negli anni ’50 e ’60 dal Nord Africa, e più tardi dalla Turchia e qualche altro Paese Europeo, inizialmente verso Francia e Germania.

La differenza con la schiavitù propriamente detta risiede nel salario pagato ai lavoratori immigrati. Arroganza, razzismo, pregiudizio sul lavoratore immigrato che vive ghettizzato sono caratteri onnipresenti. Caratteri che, con colore e intensità diversi, si perpetuano da decenni. Pienamente sfruttati dal potere occidentale, all’inizio gli immigrati hanno tollerato, nascosti in circoli sorti intorno alle imprese, sugli autobus, vivendo una vita segregata. Volendo drammatizzare, si potrebbe dire che le uniche viste panoramiche della città consistevano nelle stazioni dei treni delle metropoli occidentali, che facevano riaffiorare la nostalgia del proprio paese, dato che quei binari avrebbero potuto riportarli a casa. 

La seconda e terza generazione, nate in Europa, i nuovi immigrati, i figli, i nipoti cresciuti in un mix di culture, sono la strana sintesi fra la cultura del luogo e quella propria, della famiglia di origine. Tutto ciò è visibile nel modo di vestire, nei gusti musicali, nel modo di parlare, negli accenti, nel modo di vivere liberamente la sessualità, tranne per le famiglie musulmane conservatrici e tradizionaliste.

Dopo due, tre generazioni le regole e il contesto sono cambiati. Gli ex immigrati ora sono padroni del proprio destino. Molti possiedono doppio passaporto, si sposano con gli abitanti del Paese ove risiedono, parlano varie lingue e hanno progetti per il proprio futuro anche al di fuori del Paese ove vivono. Come i nativi Francesi o Tedeschi. Tutto ciò ha però provocato disordine e scompiglio nei loro nuovi Paesi di residenza. E, molto più di quanto fosse prevedibile, i partiti della destra, razzisti e conservatori, sono cresciuti raccogliendo molti voti, nonostante abbiano politiche deprecabili dal punto di vista dei diritti umani.

Fanatismo religioso e paura sono questioni che non comprendiamo del tutto. È interessante il paradosso secondo cui le regole della democrazia difendono i pericolosi sviluppi che colpirebbero non solo i cittadini ma anche gli stessi diritti. 

I recenti, e ancora in corso, conflitti mediorientali sono terminati generando imponenti flussi migratori e agitazioni verso occidente. Principalmente verso le città affacciate sul Mediterraneo e Istanbul, il famoso ponte all’incrocio fra Oriente e Occidente, da quando la Via della Seta è diventata un tratto distintivo della città. 

Sfortunatamente, migliaia di migranti in fuga hanno perso la vita nelle acque agitate del Mediterraneo.

La vecchia Europa deve accettare e accogliere un certo numero di rifugiati. Accanto ai diritti umani, la realtà è questa: l’Europa ha bisogno di forza lavoro disponibile a svolgere attività che gli Europei si rifiutano di fare. Sì, l’Europa è pericolosamente invecchiata, economicamente è una forza che sta perdendo vigore. Ha necessità di utilizzare come lavoratori gli immigrati e rifugiati, nonostante si professi contraria al loro ingresso e innalzi muri concettuali come quelli veri, invece, di Trump, che non si limiteranno a quello con il Messico.

Intanto Asia, Africa e la geografia mediterranea, così come i Paesi Arabi, mostrano una splendida invasione di giovani che partono dall’Europa. Se l’Europa sta demograficamente annegando e in futuro non sarà in grado di pagare le richieste dei propri esigenti pensionati, sta anche perdendo la freschezza e la spinta vitale della propria crescita economica. L’innovazione tecnologica non sarà in grado di mantenere le promesse su grande scala e su un arco di tempo significativamente lungo. Dal punto di vista politico e ideologico,  l’Europa si adatta lentamente ai mutamenti della realtà circostante, compie scelte difettose, con ritardo comprende le dinamiche delle metamorfosi da cui è travolta. Per decenni leader e ministri degli esteri europei hanno considerato Erdogan un islamico moderato, il cui cuore batteva per la democrazia, che avrebbe fatto tutto il possibile per garantire alla Turchia l’ingresso nell’Unione Europea (!). Non esprimo commenti, neppure da chi ha scritto e intellettualmente sostenuto l’ala sinistrorsa Kemalista che sta tentando di portare la Turchia sotto il modernismo democratico del loro “leader rivoluzionario” Kemal Atatürk. Ricordo i litigi con Joschka Fisher e Daniel Cohn-Bendit. Il primo, Ministro degli Esteri tedesco, il secondo uno dei più chiacchierati leader del movimento studentesco parigino del ’68, ora membro del Parlamento Europeo. Entrambi sono convinti del fatto che il problema democratico turco prenda avvio dalla “vecchia scuola Kemalista” e dal fatto che noi non possiamo comprendere Erdogan. Solo dopo la protesta di massa a piazza Gezi hanno iniziato a prendere atto della dimensione della questione democratica turca. Non solo questo! L’Europa non può essere così ostinata tanto che “la sua popolazione aperta intellettualmente possa pretendere di determinare la storia del mondo”. Ad esempio, si crede che i movimenti globalmente noti come “68 Moviments” o “68 Revolutions” o “the event of 68” siano avvenuti solo in Europa, Francia, Germania, Cecoslovacchia e negli Usa. Esistono circa 5000 libri sulla generazione del ’68. Tuttavia, nessuno di essi cita il più lungo “68 Events” che ebbe luogo in Turchia, partendo da Istanbul. Pochi sanno che il più iconico leader del ’68 – omettendo Che Guevara che fu ucciso dall’Imperialismo nel 1967 – fu Deniz Gezmiş. Lui e i suoi pochi amici, Yusuf Arslan, Huseyinİnan, Mahir Çayan, Ulaş Bardakçı,  sono morti impiccati o uccisi dalla mano armata dalla giunta militare turca in quegli anni.

Il ’68 turco iniziò a maggio e finì quattro anni più tardi, quando Deniz e due suoi amici vennero impiccati illegalmente. Ancora oggi i loro ritratti, a partire da quello di Deniz, sono esposti dai circoli democratici di sinistra, sebbene sia passato circa mezzo secolo dalle loro esecuzioni. Smetterò di dilungarmi su questo farsesco e ridicolo egocentrismo europeo, che si comporta come se questi leader turchi del ’68 non ci fossero mai stati. Non solo sono esistiti, ma sono stati anche i più resistenti rivoluzionari romantici della storia internazionale del ’68. Cos’altro possiamo aggiungere? È come se dicessero “La seconda Guerra Mondiale è avvenuta solo in Europa”. Ridicolo allo stesso modo. Questi giovani sono stati in prima linea durante tutto il periodo dal 1968 al 1972, e sono diventati il simbolo delle due generazioni successive.

A dire la verità, questo non è l’unico euro-centrismo o egocentrismo dell’Europa. C’è un’altra storia che riassumerò in breve. Dal 1984, sono stato uno tra i pochi pionieri a far crescere la voce degli artisti non occidentali contro l’indiscutibile egemonia degli artisti Europei e Americani. Dal “Manifesto di San Francisco” che ho distribuito al Museum of Modern Art di San Francisco, il 30 Giugno / 1° luglio del 1984, ho scritto molti altri articoli e libri, ho tenuto letture, conferenze e interviste su questo tema. La maggior parte degli storici e dei curatori d’arte occidentali non potrebbero essere meno interessati alla vita e al futuro dell’arte e degli artisti non occidentali. Come ho detto in uno dei miei principali articoli di quegli anni «La storia dell’arte moderna è un “Fait Accompli” Occidentale» e così è la scena contemporanea… Per i musei europei è un milione di volte più importante esporre 5000 volte di fila Anselm Kiefer, Jean-Michel Basquiat, Mario Merz, Georg Baselitz, Sandro Chia, Eric Fischl, Tony Cragg, Joseph Beuys, Francis Bacon, Vincent Van Gogh o René Magritte, che scoprire l’arte degli altri paesi o le loro esposizioni nazionali, aprire sé stessi ad altre culture, ad alcuni territori sconosciuti… È come se, non vedendo ogni artista più e più volte, il pubblico occidentale non fosse capace di afferrare l’importanza di lui o lei! Perché, siccome hanno visto gli artisti occidentali milioni di volte, quando guardano il lavoro di artisti Tunisini, Boliviani o Turchi con cui non sono in contatto, vengono automaticamente intrappolati nel proprio gioco e pensano che “questo artista deve essere milioni di volte meno importante perché l’ho visto milioni di volte in meno”. Questo la dice lunga sul Monopolio-Imperialismo culturale dell’Occidente, la supremazia egocentrica occidentale, la mancanza di interesse per il resto del pianeta… I nomi disseminati qua e là, Zaha Hadid, Shirin Neshat, Chéri Samba, Nil Yalter, sono come specie esotiche da mettere un po’ qui e lì, così che loro stessi, gli occidentali, possano sentirsi di fatto “campioni del mondo”, e non solo i nomi più inflazionati e ripetuti nella scena europea!

L’Occidente deve smettere di pretendere di fregarsene e di essere affettuoso nei confronti delle culture mondiali e degli orizzonti colorati. Perché non lo sono. Se fai una lista delle mostre dei maggiori musei occidentali, non saprai se piangere o ridere. Ma vedrai direttamente quello di cui sto parlando. Gli artisti mondiali che provano ad accedere ai “templi dell’arte occidentale”, si scontrano con i peggiori problemi del visto per l’area Schengen o di quello degli Stati Uniti… Questo, oltre alle differenze di milioni di dollari di capitale nei mercati dell’arte dei loro paesi… Per questo abbiamo lanciato il World Art Day, come un’associazione internazionale di arte, partner ufficiale dell’UNESCO. Vogliamo un giorno “equo” per tutti quelli che sentono e pensano l’arte, in tutto il mondo. Un giorno in comune per tutti i continenti che vivono con l’arte: il 15 aprile, compleanno del grande Leonardo da Vinci, artista versatile e poliedrico. Forse così potranno capire che l’arte non è solo un gioco tra nazioni ricche, che l’arte, storicamente e concretamente, riguarda il mondo intero, non solo le megalopoli occidentali! Potresti pensare che sono troppo duro con l’Europa. Non penso sia così. Basta osservare come l’Europa è percepita nelle relazioni politiche internazionali: quando Bush stava invadendo l’Iraq nel 2003, tendenzialmente per trovare armi di distruzione di massa, l’Inghilterra era accanto a lui, anche attraverso il suo Primo Ministro Tony Blair: un social-democratico! O, per lo meno, quello avrebbe dovuto essere…

Questa è stata una mancanza di sincerità nei confronti del diretto contributo alla guerra, dove, come ogni giorno, l’intera società parla di pace con falso e superficiale entusiasmo! Pensate a come la Francia, che in passato non ha fatto l’errore di invadere l’Iraq con gli Stati Uniti, non abbia osato fare molto, oltre che dover accettare il divieto di esportare vino francese verso l’America. Il Parlamento Europeo è rimasto a guardare 1,5 milioni di Iracheni assassinati da bombardamenti contro civili innocenti.

L’Occidente proverà ad apparire bene, a difendere la propria immagine, a prescindere da quello che fanno o da ciò che accade! In altre parole, l’Occidente non ispira fiducia nel mondo. Non quando si costruiscono muri nei confronti di rifugiati, non quando sembrano spaventati dagli USA, non quando cercano di monopolizzare tutta l’arte e gli eventi internazionali solo a proprio favore… D’altro canto, lasciando da parte il resto del mondo, l’Unione Europea non ispira fiducia nemmeno agli stessi Stati europei! La domanda è semplice: Quante persone scommetterebbero davvero del denaro sulla durata di altri 10 o 20 anni dell’Unione Europea? Fidatevi, non molti lo farebbero! Soprattutto non voi! C’è una costante rivalutazione di quando ogni Paese abbia bisogno degli altri, come un “contratto di matrimonio” rinegoziato ogni 10 anni! La “Brexit”, con tutto il caos che ha provocato in Gran Bretagna e in Europa, fa sorgere parecchi punti interrogativi riguardo a tutto il vecchio continente. Nel 2004, quando l’Europa ha ufficialmente “iniziato a rapportarsi” con la Turchia, è strano che molti abbiano pensato fosse l’inizio di una “non così lunga, strada confortevole” che sarebbe terminata con un “lieto fine”. Nella stampa del mio Paese, io ero uno dei pochissimi ad essere scettico riguardo le relazioni della Turchia e ogni altro futuro accanto all’Europa. Per quanto mi riguarda, non c’era possibilità. Tutte queste chiacchiere possono condurre ovunque: con il problema di Cipro, il problema Armeno e dei Kurdi, uniti al fatto che il Governo Turco aveva problemi quotidiani con le nuove regolazioni che avvicinavano il Paese ogni giorno più all’Arabia Saudita che all’Europa, era ovvio che i dialoghi si sarebbero fermati, prima o poi. E l’hanno fatto. Ora, spesso, hanno bisogno di “processi di rianimazione” per rimanere vivi!

Se l’America è stata la terra delle opportunità, l’Europa è stata la terra della saggezza filosofica post-greca, della scienza e dell’establishment della politica conservatrice. Spero che l’Europa possa tornare agli standard di uguaglianza e pace universali di Diderot, Voltaire, Rousseau e Sartre, tornare a essere realmente aperta alla fratellanza e sorellanza con il Mondo. Questa meta non è facile da raggiungere, soprattutto quando le statistiche demografiche ci dicono che con le prospettive di tasso di natalità calcolate per questo secolo, l’Europa vivrà uno spostamento razziale al potere, non desiderato ma, direi, non inaspettato.

Bedri Baykam, artista, scrittore, saggista