Intervista a James Wines, artista, architetto, teorico (è del 1987 il suo De-Architecture), saggista, fondatore dell’Ecological Design e della Green Architecture (denominazione che è anche titolo di uno dei suoi libri), provocatore della tendenza decostruttivista, docente alla Penn State University, numerosi riconoscimenti internazionali, autore di circa 150 progetti in varie parti del mondo con il suo gruppo SITE (Sculpture In The Environment), avviato nel 1970.
Parlando di Europa e delle recenti elezioni europee, siamo interessati al tuo parere di intellettuale e progettista, anche perché, come dice Vitruvio, gli architetti hanno molte responsabilità nella società.
“Non è un segreto che abbiamo condizioni eccezionalmente difficili negli USA dal punto di vista sociale e politico. Sembra discutibile se il nostro sistema di “ pesi e contrappesi” sopravvivrà all’era Trump. Dal mio punto di vista, la situazione assomiglia al declino dell’Impero Romano. In tutta la mia vita non ho mai assistito a un livello così allarmante di corruzione e incompetenza. Il fondamentalismo di destra di Trump è pericoloso; ma è ancor più problematico l fatto che lui sembra mentalmente instabile. Gli altri paesi non hanno idea di cosa fare, dato che Trump mente e cambia idea ogni dieci minuti. Inoltre, non conosce nemmeno la Costituzione Americana. Praticamente, è maledetto da una mentalità provinciale, mancanza di cultura e da inesperienza governativa. Si spera che venga sconfitto nelle prossime elezioni; però, nel frattempo, continua a fare danni. Ho amici italiani della mia età che hanno vissuto l’epoca di Mussolini e mi hanno detto che Trump ha gli stessi pattern comportamentali del Duce: la retorica, il linguaggio del corpo, e le tipiche spinte di chi è ossessionato dal potere. È piuttosto triste pensare che quando Trump arrivò sulla scena politica fu guardato dai media come uno scherzo nazionale, mentre solo una minoranza poco informata lo prese sul serio. Apparentemente, la stessa situazione si verificò in Italia durante l’ascesa di Mussolini. Nei primi anni ‘20, Mussolini era visto dalla maggioranza delle persone come un imbarazzo pretenzioso – un soggetto per battute critiche per comici da cabaret. Ma ora, come Mussolini, l’ascesa di Trump è riconosciuta come un errore e un fallimento, cosa da prendere sul serio sin dagli inizi. Trump non è più uno scherzo. Chiedo scusa per questa lunga risposta alla tua domanda – e anche per non aver risposto riguardo all’architettura. Chiaramente, in generale gli architetti – più precisamente l’intero mondo della cultura – condividono questa crisi politica con tutti i professionisti”.
Dal tuo punto di vista, come dovrebbero comportarsi gli Stati Uniti nelle loro relazioni con l’Europa?
“So che l’Europa, come gli Stati Uniti, continua ad avere seri conflitti tra schieramenti politici opposti. Inoltre, come accade con le minacce di Trump alla civiltà e alla Democrazia in America, ci sono fazioni potenzialmente fasciste che guadagnano potere ovunque. Guardando a queste aberrazioni dal punto di vista della storia del XX secolo, gli scenari sono molto vicini e tendono a ripetersi quasi ogni dieci anni. I governi non sembrano imparare mai dagli errori del passato. C’è ancora razzismo e isolazionismo sia negli Stati Uniti che in Europa. Dovremmo supporre che la retorica populista/separatista sia morta molto tempo fa, visti i suoi continui fallimenti. Come artisti e intellettuali, tendiamo a vivere come specie protette in una serra. Ci avvaliamo del nostro punto di vista di persone coltivate (e presumibilmente “più stimate”). Ci sentiamo anche estraniati dalla società ordinaria e al di sopra dei suoi luoghi comuni e discorsi pubblici. Da una parte, come beneficiari di una prospettiva più informata, possiamo vedere e valutare l’ovvio declino della cultura, dell’educazione, della politica e della qualità della vita. Dall’altra, credo che ci sia un’equazione pericolosa tra la nostra prospettiva arrogante e le ansie dovute a un crescente senso di impotenza”.
Se fossi un figlio dell’Europa, come ti immagineresti? Puoi scegliere il paese che preferisci.
“Questa è una domanda interessante. Ho viaggiato molto nella mia vita. Infatti, mi sono appena reso conto di aver visitato 57 paesi, talvolta anche per lavoro. Probabilmente, mi sento più a mio agio in Italia che in qualsiasi altro paese. Questo a causa dell’eredità culturale insuperabile e per l’insistenza continua in una migliore qualità di vita. Ma guardo con attenzione anche alla Francia, di cui amo il discorso filosofico e il contesto elevato. Ho sempre creduto che il più grande privilegio nella vita fosse la capacità unica degli esseri umani di essere partecipativi e di trarre beneficio dal pensiero creativo. In qualche modo, Italia e Francia hanno rappresentato queste aspirazioni meglio e più a lungo rispetto a chiunque altro. Ho spesso fatto dell’ironia su come, in entrambi questi Paesi, qualsiasi tassista possa intraprendere una discussione seria che talvolta lo prende molto di più rispetto al suo impegno di trasportare passeggeri. Gli Stati Uniti sono un paese molto più giovane e, nonostante ci sia una storia di traguardi culturali, questo non è l’elemento intrinseco della sotto-struttura della società. Dalla maggior parte della gente, il pensiero impegnato è considerato un diversivo marginale più che una riconosciuta fonte di prestigio. Ho viaggiato in molte piccole città dell’Europa – lontano dai centri intellettuali. In essi ho goduto di esperienze culturali che mi hanno aperto la mente. Quindi, in generale, mi sento più mentalmente stimolato e socialmente a mio agio in Italia e Francia”.
In particolare, come ti sentiresti ad essere un cittadino britannico o italiano?
“Se fossi effettivamente un cittadino di uno dei due Paesi – e se Trump fosse il Presidente – vivrei gli stessi drammi che sto vivendo ora. Trump lo percepisco come fosse un matto conclamato. Per me è un crescente pericolo per la stabilità globale e gli standard etici. Berlusconi, per esempio, era un problema politico: ma non ho mai pensato fosse instabile, o una minaccia internazionale. Certo, proprio come Trump, era avaro, pieno di sé, volgare, promiscuo ecc. – ma almeno somigliava di più a un burocrate convenzionale ben coinvolto in conflitti di interesse, ma non certo un despota incontrollabile. Questa è la differenza. Sono subentrati alcuni difetti nel sistema elettorale americano che hanno fatto sì che Trump andasse al potere. Questo, assieme ad altri fatti problematici che lo hanno sostenuto e hanno accelerato la sua influenza distruttiva. Se fossi un elettore in Gran Bretagna o in Italia, mi sentirei più al sicuro grazie alle numerose misure correttive nel sistema parlamentare. Cosa più importante, mi fiderei del potere collettivo di resistenza della voce dei cittadini. La Brexit, per esempio, ha causato molte rotture; ma, per lo meno, la struttura al potere e i rappresentanti eletti hanno sentito la responsabilità di mantenere il dibattito ordinato. Sia in Gran Bretagna che in Italia ci sono fazioni di destra a cui mai potrei dare il mio supporto. Tuttavia, mi sentirei comunque più sicuro da un punto di vista politico per via della qualità del dibattito pubblico. Inoltre, in Europa, c’è una struttura largamente rispettata di valutazione del cambiamento politico, affiancata da un certo senso dell’umorismo nell’attraversare le controversie. Il fatto che Trump sia incapace di umorismo genuino rappresenta una delle più pericolose minacce”.
Pensi che dovremmo temere per le sorti della democrazia?
“Credo che la democrazia sia sempre in una situazione di insicurezza. Questo perché, con le opzioni democratiche, le persone si sentono fin troppo a loro agio, possono giocare come vogliono con le proprie libertà personali e sembrano non avere una costante consapevolezza che queste fragili opportunità possono essere sottratte, distorte, o completamente distrutte dai dittatori. Bisogna ricordare che i tiranni più distruttivi, negli ultimi cento anni, hanno iniziato la carriera politica come rappresentanti democraticamente eletti. Penso che la più grande forza degli Stati Uniti sia la diversità razziale e culturale, che si trova ora minacciata da Trump. A New York, per esempio, la prova più evidente della diversa situazione americana è nel fatto che puoi camminare per la città per un’ora intera senza sentire una parola di inglese. Nella maggior parte degli altri Paesi, un così alto livello di multiculturalismo è ben difficile da incontrare. Dati i rischi che la democrazia corre a causa di Trump, gli Stati Uniti hanno bisogno di un costante rinnovo della propria forza di resistenza”.
E gli architetti cosa dovrebbero fare per questo tipo di problemi?
“Come artista, mi sento specialmente apprensivo e anche inadeguato a proporre una soluzione significativa. Come architetto, credo che ci siano più possibilità per cambiamenti tangibili e progressivi. Ci sono potenziali contributi al miglioramento della società che non sono strettamente politici. Gli edifici consumano più dei 2/5 dell’energia globale. Gli architetti parlano tanto di salvare il mondo, ma le sfide più grandi sono connesse all’industrializzazione e a come essa impone la sua inevitabile dipendenza da fonti di energia, compresi i servizi di spedizione e la fornitura di prodotti. Sfortunatamente, a causa di questa trappola all’interno della rigida struttura economica, sarebbe impossibile per vaste porzioni di popolazione sopravvivere oggi senza un sistema industriale ben oleato. L’umanità non può vivere senza una continua domanda di tecnologia. Questo approccio “sistemico universale” è fondamentalmente non sostenibile. Per esempio, ci sono stati tre decenni di espansione di progetti urbani massivi praticamente in ogni Paese. Senza dubbio, i risultati sono stati milioni di acri di colate di cemento e innumerevoli selve di grattacieli di vetro. La motivazione primaria è l’avidità del settore immobiliare. Inoltre, il paradigma del design urbano è stato estremamente vorace in termini di consumo energetico. Così, gli architetti hanno sicuramente una missione chiara e definita: sviluppare alternative ecocompatibili. Questo obiettivo è diventato una delle aree dove la ricerca è chiamata ad agire in modo urgente, con la più alta domanda di cambiamenti innovativi e nell’interesse della sopravvivenza dell’uomo. Penso che questo sia almeno il riassunto di una risposta alla tua domanda così ampia”.
Come possono gli architetti aiutare gli esseri umani a preservarsi dagli effetti negativi della globalizzazione?
“La globalizzazione non è necessariamente un male in se stessa. Sfortunatamente, è stata basata su un consumo irresponsabile di energia e un’espansione incontrollata di domanda industriale. Da un punto di vista etico e umanitario, direi che ogni architetto dovrebbe concentrarsi nel risolvere alcuni aspetti della sfida ambientale. L’umanità sta affrontando la crisi più pericolosa nella propria storia. È particolarmente rilevante che Trump sia un anti-ambientalista e che non creda nel surriscaldamento globale. Forse, dato che rappresenta una completa antitesi ai valori della sostenibilità, potrebbe essere considerato un presagio iniziale di tutto ciò che l’umanità dovrà affrontare nel XXI secolo”.
(C. S.)