Oceania, lo sguardo Maori sull’Europa

ARIEL SOULÉ – In occasione dei 250 anni dalla scoperta dell’Australia da parte del capitano James Cook, il governo neozelandese ha deciso di spendere più di 13 milioni di dollari per commemorare l’evento. Questo il costo di una piccola flottiglia che accompagnerà una perfetta replica del leggendario Endeavour con il quale il prode capitano sbarcò nel 1769 nel “nuovissimo continente”. Per la signora  Anahera Herbert-Graves, l’attuale amministratore delegato dell’Assemblea Ngāti Kahu, il parlamento delle tribù Maori, non è stata una bella idea. Probabilmente era opportuno un pizzico di rispetto per la popolazione Maori “scoperta” 250 anni fa dagli europei. Anche perché gli scopritori non si fecero alcuno scrupolo nel massacrarli se ostacolavano la colonizzazione. La signora ha aggiunto – con un tocco di humor nero – che commemorare Cook è un po’ come commemorare “il ​​contributo di Adolf Hitler alle autostrade moderne per raccontare la storia della resistenza ebraica”.

Le autorità hanno dichiarato che l’intenzione dell’iniziativa è quella di ricordare l’arrivo degli europei, mettendo, però, sotto la lente di ingrandimento alcune dolorose verità come quelle  contenute nelle proteste dei Maori. Inoltre si sarebbe trattato di una buona occasione per guardare a un futuro comune dopo un passato di conflittualità e di ingiustizie, come si può leggere nel website creato appositamente per pubblicizzare l’evento: https://mch.govt.nz/tuia250

Qualche tempo fa l’amministrazione di Gisborne ha ritenuto opportuno rimuovere la statua del grande capitano, in quanto era stata ricoperta di scritte e graffiti non proprio elogiativi. https://www.bbc.com/news/world-asia-49728901

Anche in Australia ci sono state proteste contro la celebrazione dell’europeizzazione dell’Oceania e si è diffusa la definizione di “giorno dell’invasione”per ricordare più realisticamente l’evento. Così va il mondo, ma forse andrebbe meglio se gli europei cominciassero a fare i conti seriamente con il loro passato di colonialisti. Raramente i libri di storia – scolastici e non – si soffermano sui genocidi perpetrati nei secoli dai “civilizzatori” del vecchio continente, oppure sullo sradicamento di culture comunitarie secolari se non millenarie.

Per la verità qualche cosa si è fatto: la lingua maori è stata riconosciuta come seconda lingua ufficiale ed esiste anche una rete televisiva che trasmette in lingua maori. Anche in Canada, l’altra grande ex-colonia di Sua Maestà Britannica si comincia a guardare la realtà più obiettivamente. Nel 2015 una commissione parlamentare d’inchiesta ha pubblicato un documento ufficiale di 1.200 pagine, secondo cui si può parlare di un vero e proprio “genocidio di razza” nel Paese, perpetrato soprattutto ai danni delle donne indigene. Sì è accertato dopo anni di ricerca che una donna indigena ha una probabilità dodici volte maggiore di essere uccisa o sequestrata rispetto a una donna non indigena. La Commissione ha anche redatto un lungo elenco di 900 raccomandazioni al Parlamento e ai governi perché si combatta seriamente tale incredibile seguito del colonialismo razzista del passato.

Quali parole chiave possiamo adoperare per dare una lettura sintetica di tutto ciò? Ne basterebbero tre: verità, giustizia, riconciliazione. Verità perché è assolutamente immorale nascondere sia la storia del colonialismo europeo, sia le conseguenze  che esso ha portato fino ai nostri giorni. Giustizia affinché i sopravvissuti o i parenti delle vittime siano – almeno in parte e ove possibile – risarciti per i terribili torti subiti. Infine riconciliazione perché la vendetta pura e semplice non generi altra violenza e perché si disinneschi una pericolosa reazione a catena.