Energia verde e sostenibilità nell’EU, tensioni centrifughe

disegno, a sinistra una ciminiera con fumo nero, a destra un rami e foglie verdi
Un disegno di ARIES SINCLAIR
disegno, a sinistra una ciminiera con fumo nero, a destra un rami e foglie verdi
Un disegno di ARIES SINCLAIR

 

ARIEL SOULÉ – Gli sforzi per produrre energia verde in Europa crescono. Ma l’abbandono delle fonti tradizionali ha un costo che tutte le economie del mondo devono affrontare.

Un’Europa che dal 2050 non utilizzi più carbone, petrolio e gas: questo l’obiettivo di cui venerdì 13 settembre hanno discusso a Helsinki i ministri dell’Economia dei 27 Paesi Ue. Possibile? Sì, ma difficile. I finlandesi, che sono sempre i primi della classe, hanno già hanno ridotto notevolmente le loro emissioni di anidride carbonica. In Svezia, invece, il movimento no fly si sta impegnando per ridurre le quote di Co2 prodotte dai viaggi aerei, che incidono per il 2% sul totale. Con reti ferroviarie superveloci il traffico aereo a livello nazionale potrebbe essere limitato di molto o addirittura cancellato. Secondo l’agenzia governativa svedese delegata al monitoraggio degli spostamenti, nel 2018 il numero degli svedesi che si servono di voli domestici è diminuito del 3,6%. Le ferrovie, invece, hanno registrato nell’ultimo anno un incremento di un milione e mezzo di viaggiatori, e di quattro milioni in più rispetto al 2016. In Germania e in Francia si pensa  sta valutando l’ipotesi di applicare a per ogni biglietto aereo una tassa supplementare che può oscillare tra 1,5 e18 euro a seconda della lunghezza del viaggio. E sarebbe anche possibile ridurre sgravare un po’ il peso dell’Iva sui biglietti ferroviari. Naturalmente il problema permane sulle tratte a lunga percorrenza o internazionali ma va anche detto contro gli scettici 24/24h che comportamenti virtuosi e rispettosi per l’ambiente sono possibili e praticabili.

La nuova Commissione europea sembra intenzionata ad investire un trilione di euro, nel bilancio che si chiuderà nel 2027, per avviare seriamente la transizione energetica. Lo strumento principale nella lotta al Co2 sembra essere l’imposizione di tasse a chi ne produce. Ciò servirebbe da una parte a scoraggiare chi inquina dall’altra a recuperare denaro per piantare alberi o finanziare la ricerca  la ricerca verde. Ma ci sarebbe anche l’ipotesi di istituire una specie di dazio doganale supplementare sull’importazione nella Ue di prodotti che non rispettano a pieno gli standard di sostenibilità ambientale. I francesi dicono che questo servirebbe ai produttori europei a essere più competitivi nei confronti di americani e cinesi. Ai tedeschi, invece, tremano i polsi all’idea di alimentare altre guerre commerciali. Proprio ai tedeschi si è rivolta la Bce, invitandoli a utilizzare parte dell’enorme avanzo di bilancio accumulato negli ultimi anni in progetti di sostenibilità a lungo termine.

Le numerose organizzazioni internazionali che si occupano del problema sono concordi nel sostenere che non mancano le tecnologie necessarie per il grande balzo verso l’energia verde. È la politica che sembra restia a prendere iniziative radicali, e i motivi non mancano. Infatti se è vero che l’economia verde creerà tanti posti di lavoro da compensare abbondantemente la dismissione delle strutture attuali, tuttavia ci sarà un periodo di transizione non breve caratterizzato da una crisi dell’impiego di forza lavoro. Ciò farebbe perdere consensi alla classe politica al potere, con il pericolo di delegittimarla e di farle correre il rischio di dover abbandonare l’impresa. Inoltre, in alcuni Paesi le fonti energetiche inquinanti costituiscono una risorsa fondamentale per la crescita economica e la transizione rischierebbe di interrompere un trend positivo di crescita. I polacchi, ad esempio, hanno dichiarato che rinunciare al carbone per il loro Paese sarebbe un grave problema.

Emergono poi questioni di ordine politico. In questo momento la Ue dipende dal altri Paesi dal punto di vista energetico: se fra qualche decennio la rivoluzione verde sarà davvero completata, si fosse davvero la rivoluzione verde gli attuali fornitori di energia, cioè i russi, e gli aspiranti fornitori, cioè gli Usa, non ne saranno molto contenti. Insomma un’Europa energeticamente autonoma non solleverebbe molto entusiasmo fuori dal continente. Poi ci sono gli interessi delle grandi multinazionali del petrolio e del gas, collegati con ingenti investimenti finanziari che si intrecciano con i progetti politici più diversi. E infine si ripresenta ancora il problema della competitività. Se adottare politiche di sostenibilità ha un costo, evidentemente i Paesi che non le adottano saranno avvantaggiati rispetto a quelli che le adottano. I normali meccanismi di mercato dovrebbero subire questa variabile in maniera che nessuno sia troppo danneggiato. Lo sforzo è arduo («erculeo», lo ha definito Angela Merkel rivolgendosi ai privati), ma la strada va percorsa.