Brexit, cui prodest?

Serie di scritte gialle, azzurre e rosse su sfondo nero a proposito della Brexit Brexit

Serie di scritte gialle azzurre e rosse su sfondo nero a proposito della Brexit Brexit

CHIARA CONSERVA- Ormai si dà per scontata l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea e il suo inevitabile avvicinamento agli Usa. Inevitabile perché è impensabile che un Paese chiave negli equilibri planetari resti isolato rispetto ai poderosi blocchi commerciali che governano i flussi economici nel mondo.  Boris Johnson ha dato disposizioni per l’azzeramento di tutte le normative deliberate con i Paesi dell’Unione, dando così un’accelerata alla Brexit. Trump offre a Johnson trattati commerciali estremamente convenienti bilateralmente. Ciò potrebbe significare zero dazi negli scambi reciproci. Ma i problemi politici non mancano. Le posizioni del governo di Londra divergono da quelle di Washington su molti temi. Gli inglesi sono contrari allo strangolamento economico dell’Iran e, in linea con gli altri Paesi europei, stanno tentando di evitare il peggio, mentre i collaboratori di Trump sono su posizioni opposte. Londra vede ancora nella formazione di due Stati indipendenti la soluzione del problema palestinese che Donald sembra ignorare. Lo stesso accade nei rapporti con la Russia. Gli USA vogliono limitarne le ingerenze in Europa. Per contro, l’Unione vuole instaurare rapporti di convenienza reciproca, acquistando gas e petrolio evitando così un riarmo che avrebbe costi economici e psicologici enormi. E che dire dei cambiamenti climatici?  Impossibile discuterne con Trump, anche se stanno molto a cuore alla maggioranza del popolo inglese. Si aggiunga che Johnson governa con una risicatissima maggioranza che da un giorno all’altro potrebbe svanire. Molti parlamentari non sono favorevoli all’idea di un’inedita sudditanza agli USA. Questi infatti potrebbero un domani forzare le scelte di Londra.

Le relative difficoltà hanno spinto il premier britannico a un gesto impopolare: chiedere alla regina di sospendere i lavori del parlamento tra il 9 e fino al 14 ottobre, cioè prima della seduta del Consiglio europeo prevista il 17 e 18 dello stesso mese. L’autorizzazione è stata concessa. A questo modo il parlamento avrebbe minori possibilità di fermare la Brexit prevista per il 31 ottobre. https://www.bbc.com/news/uk-politics-49493632. La sospensione del parlamento per un paio di settimane non è infrequente a Londra, e di solito la si delibera in aprile o maggio da parte della regina su richiesta del capo dell’esecutivo. Ma in questo caso la faccenda è diversa. Le due settimane di sospensione, infatti, si assommano a altre due settimane che di solito le forze politiche inglesi utilizzano in questo periodo per i congressi di partito. In pratica, ci sarà una parentesi di cinque settimane. Johnson ha buone ragioni per pensare che il parlamento si opponga a un’uscita dalla Ue senza un accordo, prospettiva che più volte dichiarata.  Prevedibili ed energiche le reazioni. L’ex primo ministro conservatore Major ha minacciato il ricorso alle aule di giustizia. Altri hanno prospettato un voto di sfiducia contro l’attuale governo che accusano di operare in maniera incostituzionale. Johnson si difende dicendo che c’è ancora tempo per le discussioni parlamentari, ma che inoltre occorre varare numerose leggi necessarie per evitare che il Paese si blocchi. Comunque, nessuna intenzione di scavalcare l’organo legislativo. L’opposizione si è riunita per far sentire la propria voce prima del 10 settembre, data di avvio della sospensione. Inutile dire che si osserva con apprensione quanto sta accadendo nel Paese, considerato, storicamente e a ragione, la culla del parlamentarismo. Ma il presidente del partito conservatore, James Cleverly, difende la scelta di Johnson. Afferma, infatti, che le sessioni parlamentari durano di solito un anno, mentre quella in questione è operativa senza interruzioni dal giugno del 2017. Tutti i nuovi governi si prendono il tempo necessario per presentare in parlamento la propria linea politica. Mentre a Londra si discute, le associazioni inglesi e irlandesi dei produttori manifestano le loro preoccupazioni per i costi dell’intera operazione politica che raggiungerebbero cifre astronomiche. Molti si chiedono: era proprio necessario questo divorzio dalla Ue? A chi giova?