Marta Cuscunà e le Clarisse ribelli

CHIARA CONSERVA - Marta Cuscunà e le Clarisse ribelli
Foto di Alessandro Sala, courtesy Piccolo Teatro Grassi

Marta Cuscunà, le Clarisse e suor Arcangela in scena

I nomi di alcune di loro simboleggiano qualità che sono stereotipi sul genere femminile: Innocenza, Tranquilla, Beata, Mansueta.

Ma non sono affatto mansuete e tranquille. Certamente innocenti. Sono le monache dell’ordine delle Clarisse di Udine che, nel 1534, attuarono un’autentica e primigenia lotta al patriarcato dell’epoca. Finirono con l’essere accusate di eresia dal clero, nonostante le strategie messe in campo per depistare l’Inquisizione che le controllava.

I protofemminismi

La storia del protofemminismo delle Clarisse di Udine è una delle due storie che Marta Cuscunà, attrice e performer classe 1982, intreccia per fornire un excursus sulla condizione delle donne. Nel Cinquecento il genere femminile era merce. E lo si capisce da subito, appena Marta entra in scena, ironica e in apparenza ingenua nei panni di una sposa in bianco, con un bouquet di banconote anziché fiori. Il bianco della purezza messo in piazza al miglior offerente, ceduto all’uomo più danaroso in funzione della dote vantata dalla nubenda.

Donna e merce

“Vista e piaciuta”, come recita Marta nel ruolo di Elena Cassandra Tarabotti, suor Arcangela, monaca e scrittrice veneziana vissuta ai primi del 1600; la sua biografia, poi fusa con la storia delle Clarisse di Udine, è l’incipit dello spettacolo. Arcangela, pur appartenendo ad una famiglia aristocratica, fisicamente “difettosa”, non può sperare in un buon matrimonio.

Così suo padre, conscio che il “valore di mercato” della povera figliola non avrebbe attratto alcun pretendente, la destina al matrimonio con Dio. Diventa quindi monaca, prassi comune in quei tempi, ove non ci fossero possibilità economiche di un buon matrimonio, oppure in presenza di difetti di salute, o quando non fosse possibile vestire il ruolo di “cortigiana onesta” (l’avvio alla prostituzione).

Il palco Marta Cuscunà, le Clarisse e l’Inquisitore

La storia di Arcangela è solo l’avvio. Marta Cuscunà con le sue qualità di interprete ci aiuta a entrare pienamente  nel mondo delle monache resistenti, in virtù anche della sua voce ferma e travolgente.

La scena sembra vuota. Ma, da un lato, agiscono sei piccole figure femminili velate, alle quali fa da contraltare un volto maschile con cipiglio e copricapo vescovile. Sono le sei monache e l’inquisitore, i burattini – riduttivo definirli tali – che l’attrice anima e che non mancano mai nei suoi lavori.

E allora Marta non è sola sul palco. È lei a dare vita ai sette personaggi e a cui la magnifica autrice e attrice dà la propria voce, modulandola diversamente per ciascuno di essi. Tra ironia e serietà, il racconto di Marta Cuscunà si dipana, sciogliendo le aspettative dello spettatore che vorrebbe sempre un lieto fine.

La società delle differenze mai sanate

Ma la storia ha fatto il suo corso e, oggi come allora, ci vuole coraggio, molta fantasia e una sostanziosa dose di autoironia per farsi largo nella società. Troppo maschile, troppo diseguale, troppo antagonista, troppo addormentata. E solo nelle idee egualitaria fra i generi.

Le Clarisse cinquecentesche di Marta Cuscunà sono un segnale che si può e si deve parlare, anche con leggerezza, di resistenza femminile.  Per non abbandonarsi, dopo cinquecento anni, ad una rassegnata sottomissione di genere.

La semplicità ingannata, di e con Marta Cuscunà, aiuto alla regia di Marco Rogante, co-produzione di Centrale Fies e Operaestate Festival Veneto, al Piccolo Teatro Grassi di Milano il 17 e 18 febbraio 2022.

EARTHBOUND ovvero la storia delle Camille, liberamente ispirato a Staying with the trouble di Donna Haraway (© 2016, Duke University Press) di e con Marta Cuscunà, produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Etnorama. Dal 24 al 27 febbraio al Teatro Bonci di Cesena, 1 Marzo Teatro Fabbri di Vignola, 4 marzo Teatro Cristallo di Bolzano.