Crystal Pite, coreografa dei due mondi

Crystal Pite, coreografa dei due mondi
"Assembly Hall" di Kidd Pivot. Ph By Michael Slobodian — Pictured: Livona Ellis, Brandon Alley, Ella Rothschild, Rakeem Hardy, Gregory Lau, Renée Sigouin, Doug Letheren, Rena Narum
Le coreografe contemporanee, il cambio di passo

Non è più un’eccezione: la creatività femminile è una regola, anche nel mondo maschile del balletto. Le coreografe contemporanee hanno raggiunto i vertici della loro arte, anche nei grandi teatri e festival, nelle istituzioni dove le firme autorali erano state finora più che maggioritariamente quelle degli uomini, per tradizione e per costume. Ci sono oggi donne caposcuola, non più allieve e Muse, ma modelli loro stesse, già inseguite da pronti imitatori dei loro stilemi e modi compositivi.

Crystal Pite, Nomen omen

Il caso più eclatante di questo nuovo trend riguarda una coreografa canadese, Crystal Pite, che ha un segno limpido come il proprio nome. Dalla sua British Columbia, dove è nata nel 1970, è arrivata all’Opéra de Paris (Seasons’ Canon nella stagione 2016-2017 e Body and Soul, 2019) e al Royal Ballet londinese (Flight Pattern del 2017) passando per alcuni anni di lavoro come interprete creativa-coautrice del Ballet Frankfurt di William Forsythe, il genio della coreografia post-classica.

Ma quel che più conta, e che ne fa appunto una caposcuola, è che Crystal Pite non porta impresso il sigillo del maestro, seguendone le orme, come spesso accade a chi ha lavorato con i grandi, ma ha imboccato una sua strada, tra uso magistrale del testo ritmico come colonna sonora e straordinario maneggio di poderosi insiemi in movimento nelle compagnie di grande formato dei teatri d’opera. Luci narranti e musiche incalzanti regalano una speciale qualità di energia motoria all’opus ormai ampio e consistente della cinquantenne canadese-globale.

Pite sa lavorare, però, pure per singoli artisti, come la sua compatriota Louise Lecavalier, una “forza della natura”, mostrandola in Lone Epic del 2006 come un direttore d’orchestra in preda a tanti dubbi esistenziali sull’arte, scritti sui fogli da musica che coprono il pavimento, e sa collaborare con registi di prua come Robert Lepage, ad esempio in una versione potente di The Tempest da Shakespeare, passata al Metropolitan newyorkese, all’Opera di Vienna e alla Scala.

Le Improvisational Technologies di Crystal Pite

Avendo vissuto gli anni d’oro di William Forsythe a Francoforte, come interprete di In the Middle, Somewhat Elevated, titolo epocale per il codice classico e il sound metalmeccanico, EIDOS: TELOSThe Loss of Small Detail ed Endless House, impadronitasi delle sue fertili Improvisational Technologies, Crystal Pite, una volta deciso di lasciare la scena, ha giustificato la sua scelta dichiarando: “Sono migliore come coreografa piuttosto che come danzatrice”.

Sta di fatto che è la più richiesta tra Europa e America, come free lance, dal Cullberg Ballet al National Ballet of Canada agli studenti della New York University, ben 60, in Polaris su musica di Thomas Adés, compositore inglese di punta. Mentre, intanto, è a capo di un suo gruppo fondato nel 2002, Kidd Pivot, nome che allude alla monelleria dei bambini unita a una tipica modalità rotatoria del vocabolario della danza: simbolo di un turning point da cui gettare un altro punto di vista sulle cose.

Coreografa residente dal 2001 al 2004 ai Ballets Jazz de Montréal, artista associata al Nederlands Dans Theater dal 2008, Pite è passata alla stessa posizione presso il Sadler’s Wells londinese nel 2013, ed è pure Associate Dance Artist del National Arts Centre canadese.

The Statements

The Statement, un piccolo pezzo seminale del 2016 per il Nederlands Dans Theater, su testo del complice Jonathan Young, con quattro performer intorno a un tavolo, aveva rivelato il talento gestuale e dinamico della Pite per mettere in danza la parola, nella simulazione coreografata di una accesa discussione sulle attitudini e i temperamenti dei “decisori” in campo, intenti a discutere off record e on record circa il da farsi rispetto a una qualche questione “aziendale” non meglio precisata. Poco importa; è la cerimonia del meeting in sé, fatta balletto alla perfezione, a contare.

Opera Houses

Pite ha stupito e trionfato all’Opéra de Paris con Seasons’ Canon su musica di Max Richter da Vivaldi, ispirandosi al movimento delle placche tettoniche con 54 ballerine/i in tonalità blue-green: una sfida tra l’alta scuola della maison e lo sprint del tocco personale dell’autrice.

Crystal Pite, coreografa dei due mondi
The Seasons’Canon di Crystal Pite, Opéra de Paris

È stata una riuscita poi anche Body and Soul, la sua seconda creazione per la compagnia titolatissima di Palais Garnier, un lavoro in tre atti, con un corpo di ballo che si muove magistralmente a sciame e a onde, punteggiato di duetti, inventivi, fluidi, sempre diversi, ma anche forte di un testo ritmico, scritto dalla coreografa stessa, che descrive con semplici parole quotidiane l’azione in scena. Nessuno potrà più dire di con comprendere cosa sta succedendo sul palco se non ci sono personaggi e trame, ma solo danza.  Il finale, misterioso, pop e rock, sexy, animalier, con un’orda di coleotteri giganti, è giubilatorio.

Per il Royal Rallet, Crystal Pite ha ideato invece Flight Pattern sui migranti, immerso in un dolore quieto, collettivo, con il gruppo-falange in lunghi cappotti scuri anonimi e dove una magnifica coppia centrale, “piena di anima”, Kristen McNally e Marcelino Sambé, esprime al meglio i sentimenti della coreografa, costantemente sensibile ai drammi umani schiaccianti dei nostri giorni.

Crystal Pite, coreografa dei due mondi
Flight Pattern di Crystal Pite, Royal Ballet
Kidd Pivot e le opere più originali di Crystal Pite

Per Kidd Pivot nascono le pièce danzate radicali che hanno proiettato Crystal Pite nell’empireo dell’autoralità più originale, rara e preziosa. Dare corpo ai ritmi testuali diventa la dote e la cifra unica della creatrice canadese.

Fa centro con Betroffenheit (2015, Pan American Games) sul ricordo ossessivo di un dramma realmente vissuto da Jonathan Young, interprete-drammaturgo della pièce, a causa di un terribile lutto familiare con la perdita della figlia e di due nipoti nell’incendio della propria casa, a cui segue un altro successo, Revisor da Gogol (Vancouver, 2019), sempre in compartecipazione con l’Electric Company Theatre di Young.

Crystal Pite, coreografa dei due mondi
Betroffenheit di Crystal Pite

Betroffenheit si sviluppa da una sorta di reading danzato, con Young al telefono che ripete i fatti, passando per tutte le fasi del dolore, da attraversare, fino al sollievo in una serata di entertainment-musical con al centro un personaggio in costume azzurro luccicante, doppiato da una marionetta con lo stesso costume, lo straordinario Jermaine Maurice Spivey; ma tutti gli altri interpreti, ciascuno con una personalità e qualità di movimento distinte, non sono meno eccezionali. La tipica modalità di sottolineare-amplificare il testo con il gesto del corpo intero è un atout peculiare della coreografa; nulla a che fare con i mezzi e i modi del mimo e dalla pantomima. La danza è l’alter ego dei dialoghi.

E di nuovo in Revisor (Nikolai Gogol lo pubblicò 1836) la sincronizzazione testo-gesto è di un’esattezza stupefacente, stavolta intorno a un personaggio, un ispettore del Governo, un burocrate, motore di un plot di “revolving doors” e di identità equivocate. Quando l’azione sembra sciogliersi, la musica diventa pulsazione, il palco si svuota e gli artisti, in abiti da danza, lasciati i costumi dei personaggi, ripetono quanto già visto, con una voce fuori campo che descrive gli accadimenti, dà le istruzioni ed enumera le scene. La danza, liberata dal racconto teatrale, si fa più tesa, finché appare una creatura da incubo, un uomo fossile nudo con pinne ossute nella colonna vertebrale e corna nelle mani.

L’allusione al mondo animale ancestrale è un altro topos della Pite, che si è sempre nutrita della magnificenza degli ambienti naturali immensi e selvaggi del suo paese. I back and forward nella narrazione, l’Ottocento di Gogol e l’oggi sovrapponibile, inducono a chiedersi quale è la versione più vera di un racconto anti-temporale, con la carica espressiva del cinema muto. Revisor si fa forte di un’isteria disarticolata, su potere, corruzione, cupidigia, costruito su Insiemi ribollenti con dentro, come sempre, dei magnifici pas de deux.

Assembly Hall al Lac di Lugano

Il Lac con la sua vasta sala teatrale ha catalizzato il pubblico di Lugano, facendo l’esaurito, come era accaduto ad Amsterdam e a Londra, con Assembly Hall, ennesimo vibrante spettacolo da Pite e Young, presentato l’anno scorso a Vancouver.

Un board, incaricato di rimontare la rituale “Quest Fest”, celebrativa di una battaglia medioevale, con armature, spadoni, lance e bandiere, si riunisce in palestra per mettere a fuoco tutti i problemi e cercare le soluzioni adatte a garantirne il re-enactment annuale, che rischia di sparire per i debiti accumulati e il calo di soci. Il cerimoniale del meeting, parodistico, è di per sé uno spasso.

L’azione si svolge su un doppio binario: lo spazio scenico principale, dove si riunisce il board, in abiti odierni, con il capo (diventerà un Re nudo e infelice), la segretaria, i consiglieri volontari e Dave, un ragazzo tuttofare che sarà infine “il” cavaliere inesistente, al modo di Calvino, mentre sul fondo si apre un secondo palco più piccolo con le sue cortine rosse, che ospita i cavalieri combattenti e una candida fanciulla piangente per il suo guerriero morto.

L’allestimento è bellissimo – scena disegnata da Jay Gower Taylor, costumi di Nancy Bryant – con luci che danno spessore ai climi emotivi cangianti e alle alternanze tra oggi (le discussioni secondo il galateo e il linguaggio dei comitati) e ieri (battaglie medioevali evocate). Si discute di passato e presente, di tradizione e rivoluzione. Ogni tableau è un quadro da museo delle cere, frame by frame, con attimi di incisivi fermo immagine-freeze.

La danza è magnifica: catene di movimento ampie, con la tipica spinta ulteriore, in più, della Pite per espandersi al massimo nello spazio; sui dialoghi nel board- in inglese suonano come una partitura vocale, scandita in voiceover da attori, un doppio invisibile di ogni performer-, i danzatori commentano con il gesto significante ogni frase, incarnando ciò che viene detto.

Un sapiente e divertito tocco ironico-critico, nel fuoco di assemblee e battaglie (entrambe guerre a tutti gli effetti), crea momenti di autentico godimento. Un paio di passi a due, inventivi e virtuosistici, ha risvolti stupefacenti; questa danza-teatro, “Pite style”, non è un recitar danzando, ma un dare corpo ritmico al testo, entrando a sottolineare il senso.

Giochi di ruolo, film (Excalibur), fiction e fantasy: tutte queste tipologie di entertainment sono presenti nel tessuto della pièce, manipolate con maestria. Gli otto ballerini sono uno/a più bravo/a dell’altro/a. Si misurano a meraviglia anche con l’enfasi ciaikovskiana, che interviene come artificio retorico di magniloquenza nel momento clou delle lotte-discussioni.

Crystal Pite, impegno sociale e onestà intellettuale

Impegnata sui temi climatici e sociali, Pite evita ogni tentazione didascalica, trattando le tematiche che le stanno a cuore con i mezzi teatrali più diretti, onesti e schietti, come lo è lei stessa quando si rivolge ai suoi interpreti eccezionali: “You are dancers, all of you. Life moves you; life dances you. To dance is to investigate and celebrate the experience of being alive”.

Crystal Pite, coreografa dei due mondi
ph Joel Saget via https://www.dansedanse.ca/en/artist/crystal-pite