Ue, Usa e Cina: che fare?

fotomontaggio, salvadanaio maialino con moneta da 1 euro, sfondo bandiere di diversi paesi

Se è vero che il mondo unipolare statunitense è giunto al termine, è ancora prematuro affermare chi ne sia il successore o se ce ne sia già uno nuovo.  Lasciando da parte inutili pronostici conviene concentrarsi sulle prestazioni economiche degli Stati Uniti, dei paesi europei e – non ultima – della Cina. Inoltre, vale la pena prendere in considerazione il sistema dell’apparato militare e delle alleanze.

Per quanto riguarda la performance economica, il tasso di crescita del PIL degli Stati Uniti è del 3,2% con una bilancia dei pagamenti negativa. Diversa è la situazione dell’ Eurozona, il cui PIL cresce ad un tasso del solo 0,4%. Nonostante questa differenza, tutti i Paesi occidentali hanno una lunga tradizione di investimenti in settori dove è crescente l’utilizzo di tecnologia, ricerca e istruzione. Questo perché la maggior parte di essi hanno economie basate sul terziario. In questo contesto, gli Stati Uniti hanno sempre svolto un ruolo di primo piano, promuovendo il commercio internazionale e la cooperazione economica in forum multilaterali. Più recentemente, invece, gli Stati Uniti hanno iniziato a voltare le spalle ad alcuni trattati, come il Trans Pacific Partnership (TPP) e il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) negoziato tra Stati Uniti, Canada e Unione Europea.

Al contrario, la Cina ha scelto un approccio diverso. Il tasso di crescita del PIL cinese è dell’1,4%, in calo rispetto agli anni passati, ma dal 2013 la Cina ha scelto di aumentare le sue relazioni economiche con paesi di tutti i continenti. In primo luogo, la Belt and Road Initiative (BRI) che ha l’obiettivo di facilitare e aumentare il commercio tra la Cina, l’Asia e l’Europa. L’ultimo incontro BRI, che si è svolto lo scorso aprile, ha dato nuova forza al dibattito sul ruolo sempre più marginale degli Stati Uniti e dell’Occidente nella comunità internazionale rispetto all’importanza crescente della Cina. Inoltre, gli investimenti in Africa, che in questi ultimi anni hanno contribuito a sviluppare infrastrutture fondamentali (https://www2.deloitte.com/insights/us/en/industry/public-sector/china-investment-africa-infrastructure-development.html). Entrambe queste iniziative dimostrano la determinazione cinese a collaborare con altri Paesi e il suo impegno nei progetti a lungo termine come potenza trainante.

Per quanto riguarda il sistema degli apparati militari e delle alleanze, la spesa militare USA è ancora la più alta, circa 650 miliardi di dollari (https://www.sipri.org/media/press-release/2019/world-military-expenditure-grows-18-trillion-2018), e anche il suo contributo economico alla NATO è il più alto rispetto agli altri stati membri. La maggior parte degli stati europei non rispetta nemmeno il contributo minimo del 2% richiesto. Inoltre, gli Stati Uniti considerano ancora importanti le alleanze militari nel Medio Oriente e nel Sud-Est asiatico. Questo consolidato sistema di alleanze, insieme a un apparato militare innovativo, offre agli Stati Uniti una capacità unica di agire militarmente in qualsiasi parte del mondo, in modo da perseguire con forza gli interessi e affermare ciò che i pianificatori militari statunitensi chiamano esplicitamente “il dominio dello spettro completo”.

Il ruolo guida degli Stati Uniti dal punto di vista militare è sottolineato dall’assenza di stati con capacità militari almeno simili. Di fatto, la Cina non è allo stesso livello (la spesa militare cinese è di 250 miliardi di dollari circa), nonostante il suo impegno e il crescente aumento delle spese militari.

Alcune considerazioni devono essere fatte sull’importanza del soft power come strumento per promuovere il ruolo dello stato nella comunità internazionale. A introdurre questo concetto è stato Joseph Nye alla fine degli anni ’80. Lo ha definito il potere per influenzare il comportamento degli altri stati e per ottenere i risultati desiderati. Il soft power di un Paese, secondo Nye, si basa su tre risorse: la sua cultura, i suoi valori politici e la sua politica estera.

Gli Stati Uniti hanno una lunga tradizione nell’usare il soft power per aumentare la loro influenza all’estero. Tra le pratiche di questa strategia utilizzate nel passato troviamo le cosiddette quattro libertà che Franklin D. Roosevelt concepì per l’Europa durante la Seconda Guerra Mondiale: Libertà di espressione, Libertà religiosa, Diritto ad un livello sufficiente di qualità della vita, Libertà dalla paura. I giovani iraniani che oggi guardano i video americani vietati e le trasmissioni televisive via satellite. Le idee statunitensi di democrazia, tolleranza religiosa, protezione dei diritti umani e libero mercato sono profondamente consolidate in tutti i paesi occidentali e anche in molti altri paesi nelle diverse regioni del mondo, ciò che confermano il ruolo guida degli Stati Uniti in questo settore.

D’altra parte, la cultura tradizionale cinese è da sempre una fonte di attrazione, e forti di questo sono state create diverse centinaia di Istituti Confucio in tutto il mondo per insegnare la sua lingua e cultura cinese. L’iscrizione di studenti stranieri in Cina è passata ad almeno 240.000 (2010) rispetto ai 36.000 di un decennio prima. La Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture asiatiche ha attirato molti Paesi occidentali. Il crescente soft power della Cina può essere spiegato prendendo ad esempio la crescita economica e gli investimenti di cui la Cina è protagonista  in molti Paesi africani. Gli stanziamenti economici cinesi spaziano dalla sanità all’assistenza umanitaria, per arrivare agli scambi accademici, professionali e culturali. Per esempio, ci sono 19 istituti oggi in Africa e la Cina ha programmato di spendere 20 milioni di RMB (Renmimbi, basati sugli yuan) per progetti educativi in Sud Africa, come l’insegnamento del Cinese in 50 scuole locali. E’ chiaro ormai che la Cina intende giocare un ruolo determinante nel nuovo ordine internazionale. Ma non è chiaro se l’ordinamento politico cinese possa essere un modello attraente per gli altri stati rispetto al modello democratico, nemmeno forse peri i Paesi del BRICS come l’India, il Brasile e il Sudafrica). Per quanto riguarda la leadership degli USA, in coincidenza con il mandato di Trump sorge un diversa domanda. Non più se gli Stati Uniti siano in grado di mantenere il ruolo di leader, ma se lo desiderino ancora. Forse ci prospetta un nuovo ordine più paritario in cui le relazioni internazionali verranno gestite con un approccio multilaterale. Sicuramente, questa condizione potrebbe suggerirebbe agli altri stati occidentali – Unione Europea in primis – di assumere un ruolo più deciso per offrire maggiori garanzie all’ordine liberale.