Ricorrenza Beethoven, la stasi creativa e i successi del 1814-1815

disegno in cui il grande compositore Beethoven è ritratto seduto a un caffè mentre fuma una lunga pipa, un giornale tenuto nella sua mani sinistra.
Beethoven al caffè, disegno di Eduard Klosson, 1823

Ludwig van Beethoven è nato a Bonn nel 1770 e morto a Vienna nel 1827. Del grande rivoluzionario della musica di tutti i tempi ricorrono i 250 anni dalla nascita.
Fyinpaper lo commemora pubblicando, a capitoli (in totale dieci, ed ecco il settimo e l’ottavo), una biografia scritta da Giovanni Caruselli, nostro redattore, autore di saggi, collaboratore di Einaudi, Rizzoli, Vallardi, Diakronia, e altri editori, per testi di storia e filosofia (materie che ha insegnato).

 

La stasi creativa e la ripresa del Fidelio

Gli avvenimenti dell’estate del 1812 avevano verosimilmente dato inizio in Beethoven a un periodo di depressione psicologica che durerà alcuni anni e che sarà accentuato da altre dolorose vicende. Dopo lincontro con Goethe il musicista si recò nella stazione climatica di Karlsbad e poi a Franzensbrunn, dove accettò di prendere parte ad un concerto i cui proventi sarebbero andati a favore delle vittime di un disastroso incendio che aveva colpito Karlsbad. Quindi rientrò, passando per Karlsbad, a Teplitz dove avrebbe ultimato le sue vacanze. Le sue condizioni fisiche e psicologiche non erano buone e lunico conforto di cui poté disporre fu costituito dalle attenzioni che gli prestò lamica Amalie Sebald, attestate da alcuni biglietti del musicista. «Mi sento decisamente meglio, cara Amalie. Se ritenete non troppo sconveniente il farmi visita da sola, mi fareste certamente un grande piacere». Il rapporto fra la Sebald e Beethoven dovette evolversi in quei giorni in maniera tale che la cantante iniziò a sentire per il musicista qualche cosa di più di un semplice sentimento di amicizia, senza però che riuscisse a trovare alcuna rispondenza. Così Beethoven le scrive il 16 settembre. «Tiranno io? Il Suo tiranno! È solo lincomprensione che può farle dire questo, poiché questa Sua valutazione non può in alcun modo riferirsi a me. Dunque non mi rimprovero, sarebbe piuttosto fortuna per Lei. Già fin da ieri non stavo tanto bene, ma questa mattina il male si è manifestato più forte; la causa è qualcosa di indigesto che ho mangiato e la mia natura sensibile che risente subito sia del male che del bene, a quanto sembra. Però non connetta ciò con la mia moralità. La gente non dice nulla, è solo gente, essa tende a vedere negli altri solo se stessa e cioè nulla, ma ora basta! La bontà e la bellezza non hanno bisogno della gente. Esistono senza bisogno di alcun appoggio, e questo sembra che stia alla base della nostra vita sociale. Stia bene cara Amalie. Se questa sera la luna splenderà per me più luminosa del sole di giorno, Lei vedrà presso di sé il più piccolo, il più piccolo di tutti gli uomini».

All’atteggiamento di chiara sufficienza e superiorità nei confronti dei gusti e delle valutazioni della gente comune, tipico di Beethoven, fa riscontro la sua umiltà nei confronti dell’arte che egli esercita. La lettera scritta dal musicista in quegli stessi giorni a una sua giovanissima ammiratrice di dieci anni, ne è una limpida espressione: «Continua, non ti limitare a praticare larte, ma spingiti nel suo intimo, essa lo merita poiché solo larte e la sapienza elevano luomo fino a Dio. Se tu, mia cara Emilia, dovessi avere un giorno un desiderio, scrivimi pure. Il vero artista non deve essere orgoglioso, perché egli sa che larte non ha confini. Egli percepisce oscuramente quanto sia lontano dalla meta e, mentre forse è ammirato dagli altri, si dà pena per non essere ancora arrivato là dove il suo genio migliore lo illumina come un sole lontano. Più volentieri verrei a trovare te e i tuoi cari, che non qualche ricco in cui si manifesta la povertà dello spirito. Se verrò ad Amburgo, farò visita a te e ai tuoi genitori. Per me non esistono altre qualità nell’uomo se non quelle che lo fanno annoverare fra gli uomini migliori. Dove trovo queste, là è la mia patria».

Ai primi di ottobre Beethoven ripartì da Teplitz alla volta di Linz, dove viveva dal 1808 il fratello Johann, che vi aveva acquistato una farmacia. Johann non godeva della stima del fratello maggiore (si è già notato come il suo nome fosse volontariamente omesso nel testamento di Heiligenstadt)  e gli eventi di quei giorni sarebbero serviti a rendere più pesante il giudizio negativo del musicista. Johann da qualche tempo conviveva con Therese Obermayer, sorella della moglie di un medico di Vienna, al quale aveva affittato una parte della casa, e Beethoven doveva essere già da qualche tempo al corrente della cosa. Decise quindi in quella circostanza di adoperarsi per porre fine alla relazione che egli riteneva illecita, o almeno pericolosa, data la particolare situazione della Obermayer, che aveva già avuto una figlia da una precedente relazione. II suo volere a tutti i costi entrare nella vita privata del fratello era, forse, anche una specie di reazione ai fallimenti dei suoi progetti familiari, e comunque si manifestò in forme particolarmente violente. Andando ben al di là dei semplici consigli, Beethoven denunciò formalmente la Obermayer alle autorità civili e religiose di Linz, per il suo comportamento contrario alla morale, chiedendone lallontanamento dalla città. Liniziativa si mostrò efficace perché alla donna stava per essere ingiunta lespulsione, quando Johann, per risolvere radicalmente la questione, l8 novembre decise di sposare Therese. Beethoven si fermò a Linz fino al giorno successivo al matrimonio e in questo periodo portò a termine la composizione dell’Ottava Sinfonia. Il fallimento della sua iniziativa con il fratello faceva seguito alle altre, già descritte, di questo infelice periodo e il musicista fece ritorno a Vienna alla fine del 1812 in una condizione di profonda prostrazione fisica e morale.

Si apriva una fase di scarsa produttività artistica, motivata da una vera e propria crisi esistenziale, quale mai in precedenza si era verificata. Le sue lettere di questo periodo manifestano in brevi accenni tale condizione: «Già da domenica sono sofferente, anche se, per la verità, più nello spirito che nel corpo» (lettera all’arciduca Rodolfo del dicembre 1812). Come sempre aveva fatto egli tentò di rifugiarsi nella sua arte, come se questa potesse cancellare totalmente i fallimenti relativi ai suoi progetti di crearsi un rapporto affettivo stabile e una famiglia, ma questa volta dovette riuscirgli particolarmente difficile: «Non puoi più essere un uomo, non per te stesso, solo per gli altri, per te non c’è più felicità, se non in te stesso, nella tua arte». Il primo biografo di Beethoven, Anton Schindler, riporta a questo periodo un evento piuttosto oscuro che potrebbe anche essere interpretato come un tentativo di suicidio. Durante una sua permanenza presso la casa di campagna della contessa Erdödy, egli sparì improvvisamente facendo pensare alla padrona di casa ad un suo ritorno a Vienna. Invece sarebbe stato ritrovato dopo tre giorni in una parte nascosta del giardino in gravi condizioni psicofisiche. Lavvenimento, la cui veridicità è stata, però, posta in dubbio, avrebbe fatto seguito all’infelice relazione con l’«Immortale amata». In quei mesi altre preoccupazioni vengono al musicista dalla svalutazione della moneta, che riduce notevolmente la sua rendita. La morte del principe Kinsky, lesaurimento delle risorse del principe Lobkowitz fanno il resto. Saranno necessarie varie battaglie legali perché Beethoven possa avere quanto gli spetta.

Nellaprile del 1813 il fratello Caspar Carl, già da tempo ammalato di tubercolosi, si aggravò tanto che si temette per la sua vita. Probabilmente sollecitato da Beethoven, egli scrisse allora una dichiarazione con la quale disponeva dopo la sua morte laffidamento al fratello del figlio Carl, di sei anni. La malattia del fratello lo colpì profondamente ed è probabile che ad essa faccia riferimento in una lettera del maggio 1813 all’arciduca Rodolfo: «Molti eventi dolorosi che si sono susseguiti luno all’altro mi hanno veramente condotto ad uno stato di stanchezza mentale». Alla fine di maggio si trasferiva a Baden, per passare come di consueto il periodo estivo fuori dalla capitale, ma il suo stato fisico e psicologico non dovette trarne grande vantaggio, se gli Streicher, suoi amici, dichiararono di averlo incontrato nelle peggiori condizioni che fosse possibile immaginare, totalmente isolato dall’ambiente e privo di qualsiasi attenzione per la sua salute fisica. È chiaro che in una tale situazione depressiva la sua creatività non poteva esprimersi ad alcun livello e, infatti, in questo periodo nessuna nuova composizione di rilievo vede la luce. Alla fine di quella infelice estate gli giunse una proposta da parte di un certo Johann Nepomuk Maelzel, inventore di macchine musicali fra cui un complesso organo meccanico, nominato «panarmonico», e del metronomo. Il Maelzel gli commissionò una nuova composizione per orchestra che commemorasse la vittoria che il duca di Wellington aveva riportato sull’esercito francese presso Vittoria, in Spagna, il 21 giugno di quell’anno. Ne nacque un brano di fattura non eccelsa che indulgeva troppo a ridondanti effetti sonori e del quale Beethoven stesso non fu troppo convinto: La Vittoria di Wellington venne eseguita insieme alla Settima l’8 e il 12 dicembre nel corso di concerti di beneficienza, e replicata più volte con grande successo di pubblico. Si trattò più che altro di manifestazioni patriottiche, in buona parte dovute all’evolversi della situazione internazionale e della guerra antifrancese. Dopo anni e anni di dominio napoleonico si intravedeva, nell’ottobre di quell’anno, con la sconfitta del Bonaparte a Lipsia, la prospettiva di riacquistare lindipendenza nazionale. Le due occupazioni di Vienna non erano state dimenticate e tutti si adoperarono per la rinascita del sentimento nazionale. Dopo un periodo relativamente improduttivo, Beethoven acquisì la più grande popolarità e si diede alla composizione di varie opere che, se non si collocano certamente ai vertici della sua arte, servirono comunque al duplice scopo di farlo uscire dalla condizione di inerzia in cui si trovava, e di puntellare e accrescere la sua fama nella capitale e altrove. Si trattò quasi sempre di musiche celebrative in onore dei vincitori del Bonaparte, che si apprestavano a riunirsi a Vienna per stabilire il nuovo assetto dell’Europa postnapoleonica.

Che il movente economico fosse pesantemente presente nella produzione di Beethoven è attestato da una sua lettera a Franz Brunswick del 13 febbraio del 1814. «Caro amico e fratello! Mi hai scritto poco tempo fa, ti rispondo ora. Ti compiaci per tutte le vittorie [quelle di Wellington e quelle del musicista, n.d.r.] – anche le mie – Il 27 di questo mese darò una seconda accademia nella grande sala del Ridotto – vieni – dal momento che lo sai. Così mi sottraggo momento per momento alla miseria, dato che delle mie rendite non ho avuto ancora un soldo». Così, paradossalmente, il periodo che segnò il livello più basso nella produzione artistica di Beethoven, fece registrare anche lindice più elevato della sua popolarità. I suoi guadagni crebbero vistosamente, tanto che poté mettere da parte del denaro, che investì in titoli bancari. Il tutto fu sempre inframezzato da ostacoli e difficoltà, come ad esempio nel caso della Vittoria di Wellington. Il Maelzel, che aveva commissionato lopera, si era accordato con Beethoven per una tournée in Inghilterra che sarebbe servita a lanciare sia la Sinfonia sia il suo «panarmonico», ma il musicista si rifiutò poi di partire provocando la reazione dell’inventore, e lavvio di una serie di azioni legali.

Una delle conseguenze del grande successo di Beethoven fu la ripresa del Fidelio nel 1814. L’opera, come si ricorderà, era stata presentata otto anni prima per ben due volte e non aveva incontrato un particolare favore del pubblico, motivo per cui era stata praticamente abbandonata dal musicista. Adesso il Karntnertor Theater decideva di rimetterlo in scena con alcune modifiche e rimaneggiamenti. Fu messo a punto un nuovo libretto sul quale lavorò il poeta Georg Friedrich Treitschke, direttore di scena del teatro, che Beethoven ritenne ben adatto alle sue musiche. In vista della prima rappresentazione del rifacimento dell’opera, che si tenne il 23 maggio del 1814 con grande successo di pubblico, il musicista riscrisse anche louverture, dopo aver modificato, talvolta malvolentieri, vari brani. Non riuscì tuttavia ad ultimarla per la sera del 23 e così essa fu eseguita nella seconda delle numerose repliche, che si tenne il 26 maggio. Beethoven fu assistito in questa circostanza dal giovane pianista Ignaz Moscheles che avrebbe poi collaborato alla biografia del Maestro, scritta da A. Schindler nella sua edizione inglese.

 

I successi del 1814 e del 1815

Alla fine del 1814 la grande epopea napoleonica, che tante speranze aveva suscitato e altrettante delusioni aveva inflitto a intellettuali e artisti di ogni paese europeo, era virtualmente chiusa. Le contingenze storiche che paradossalmente avevano associato la diffusione delle idee illuministiche con lespansionismo militaristico francese e con la momentanea soppressione dei diritti dei popoli, ponevano le basi per un rigetto globale di quanto la Grande Rivoluzione aveva prodotto. La pesante responsabilità di fissare le direttrici del nuovo ciclo storico che stava per aprirsi fu affidata a quella folla di diplomatici, plenipotenziari, cortigiani e teste coronate che convennero a Vienna nel settembre del 1814, per restarvi fino al giugno dell’anno successivo. Non vi poteva essere in quei mesi contrasto più stridente fra l’estrema gravità delle questioni trattate (più volte si arrivò sull’orlo della rottura e della guerra) e latmosfera frivola e distratta che gli organizzatori del congresso vollero creare attorno ad esso, quasi a voler stemperare la drammaticità oggettiva delle questioni che vi si dibattevano. Limperatore aveva addirittura nominato una specie di comitato organizzativo che doveva programmare e pianificare i divertimenti e le distrazioni. A parte i lavori del Congresso, si voleva festeggiare in tal modo quella che fu percepita come la fine di un incubo durato quasi vent’anni e dare l’impressione che Vienna fosse ancora una volta la capitale dell’Europa. Come tale essa ospitò ogni sorta di attività dalle caccie ai balletti, dalle fiaccolate ai concerti sinfonici. Beethoven, al vertice della celebrità, fu invitato a partecipare attivamente e il musicista non rifiutò il suo apporto. Quali fossero i sentimenti di un repubblicano della prima ora come lui era stato, nei confronti di quell’imponente apparato politico che si apprestava a cancellare i principi della Grande Rivoluzione – o almeno ci provava – per restaurare lassolutismo monarchico, non ci è dato sapere.

Negli anni successivi egli ricorderà con orgoglio gli omaggi e i segni di rispetto resigli da principi e monarchi in quei mesi, ma non senza una sottile ironia rivolta contro se stesso. Seppure, infatti, egli non fu insensibile al grande successo mondano e ai non indifferenti proventi economici che ne derivarono, è impensabile che non abbia percepito la stridente contraddizione che oggettivamente esisteva tra quel tipo di comportamento e i suoi principi. Beethoven probabilmente fu presentato ai sovrani di tutta Europa, che già lo conoscevano per fama, dall’arciduca Rodolfo, che ancora in questa occasione mostrò rispetto e gratitudine per il suo vecchio maestro. Questi ricevette, fra laltro, dalla zarina un compenso di centocinquanta fiorini per la Polacca per pianoforte (op 89), che le dedicò, e per le Sonate per violino (op 30), già scritte dodici anni prima per lo zar Alessandro. Naturalmente il musicista dovette anche comporre alcune musiche doccasione. Fra esse la cantata, chiaramente allusiva ai lavori del Congresso, Il momento glorioso (op 136), il cui testo fu scritto da un medico di Salisburgo, un certo Alois Weissenbach, con il quale sembra che Beethoven andasse particolarmente daccordo (Weissenbach era sordo). La cantata fu eseguita il 29 novembre del 1814 insieme alla Vittoria di Wellington e alla Settima, durante un concerto personalmente organizzato e diretto dal maestro, il quale ricorderà in seguito con piacere di avere scritto di suo pugno i biglietti dinvito indirizzati alle teste coronate che vi parteciparono. Il concerto ebbe un grande successo, ma già alla prima replica lesito fu molto più modesto. Non si arrivò alla terza replica benché fosse stata programmata. Nel 1815 Beethoven completò louverture Namensfeier già iniziata lanno precedente, per celebrare lonomastico dell’imperatore, ma la sua esecuzione non riscosse grande successo, al contrario di quanto avvenne per un altro pezzo doccasione, Tutto è compiuto, per basso, orchestra e coro, scritto dopo la battaglia di Waterloo.

Con gli anni 1812-1815 ha fine il secondo periodo della creatività beethoveniana. Lideale eroico che aveva ispirato vari capolavori tramonta, vivendo le sue ultime manifestazioni, certamente non le migliori, nella Vittoria di Wellington e nelle altre musiche doccasione composte per il Congresso di Vienna. Dopo aver portato al massimo sviluppo le potenzialità insite nella forma sonata, il musicista si volgeva ad altre problematiche espressive in un processo di gestazione che doveva necessariamente avere tempi lunghi. Sull’evoluzione artistica del musicista influirono le mutate circostanze ambientali e storiche: lepoca eroica dei grandi rivolgimenti, delle grandi speranze si chiudeva definitivamente e la Restaurazione culturale spingeva alla ricerca nel passato di nuove stimolazioni. Il primo romanticismo, eludendo in parte i quesiti di fondo posti dalla razionalità settecentesca, andava alla ricerca di unarte popolare, essenziale, in cui si recuperasse il senso della collettività di contro all’individualismo illuministico.

Benché negli anni 1814-1815 Beethoven avesse ottenuto vistosi risultati sia sul piano della popolarità sia su quello del suo tenore di vita, nettamente migliorato anche per la risoluzione dell’annosa questione della svalutazione della sua rendita vitalizia, tuttavia la serenità psicologica non era entrata nella sua solitaria esistenza. Continuava a preoccuparsi della sua situazione finanziaria, facendo di tutto perché fossero pubblicate un po’ dovunque le sue opere già scritte ma non date alle stampe, e mostrava di soffrire particolarmente il fatto di non essere mai riuscito a crearsi una famiglia. Così scriveva nell’aprile del 1815 al vecchio amico Carl Amenda. «Mio caro, buon Amenda! Il latore di questa lettera, il conte Keyserling, tuo amico, è venuto a farmi visita e ha suscitato in me il ricordo di te. Tu vivi felice, hai dei figli, ambedue le cose mi sono state negate dalla sorte. Sarebbe troppo lungo parlarne ora, unaltra volta quando mi scriverai ancora, ti dirò qualcosa di più. Con la tua semplicità da padre di famiglia, mi torni in mente mille volte, e quanto spesso ho desiderato persone come te accanto a me! Però forse per il mio bene, forse per quello degli altri, il destino non vuole venire incontro ai miei desideri. Posso dire che vivo isolato in questa grandissima città della Germania, dal momento che devo vivere lontano da tutte le persone che amo, che potrei amare. A che punto è lì da voi la musica? Sei al corrente delle mie grandi opere? Dico grandi, ma rispetto a quelle dell’Altissimo, tutto è piccolo».

Vi era poi sempre il solito motivo di crescente apprensione per il musicista, e cioè il peggioramento del suo stato di salute e il progredire della sordità. Agli ultimi mesi del 1814 e ai primi del 1815 datano infatti le sue ultime apparizioni in pubblico come pianista. Già nell’aprile e nel maggio del 1814 aveva incontrato molte difficoltà nel partecipare a un paio di concerti in cui fu eseguito il Trio Arciduca. La sua ormai palese sordità rendeva penosa lintera esibizione, come rilevò Ludwig Spohr che vi assistette. «Nei passaggi in “forte” il povero sordo pestava sui tasti fino a far stridere le corde, e nel “piano” suonava così leggermente da saltare interi gruppi di note, di modo che la musica non era più comprensibile». Da una lettera di quell’anno alla contessa Erdödy «Cara, cara, cara, cara, cara Contessa! Sto facendo una cura di bagni, con la quale finisco solamente domani, quindi oggi non ho potuto vedere Lei e i Suoi cari. Spero che goda di una salute migliore della mia. Non è consolante per gli uomini migliori sentirsi dire che anche gli altri soffrono, solo si devono fare sempre dei confronti, e allora si comprende che tutti commettiamo degli errori ma soffriamo in maniera diversa».

Il fatto di non essere mai riuscito a costruirsi un normale ménage matrimoniale e ad avere dei figli spinse Beethoven, alla fine del 1815, a impegnarsi anima e corpo in una vicenda che gli avrebbe procurato non poche amarezze negli ultimi anni della sua vita. Della grave malattia del fratello Caspar Carl e del documento di affidamento del figlio a Beethoven, da questi firmato nel 1813, si è già detto. Nel novembre del 1815 Caspar Carl, che sembrava in quel periodo essersi ripreso dal male, peggiorò rapidamente e morì il 15 di quel mese. Il giorno prima egli aveva firmato un documento in cui nominava il fratello Ludwig «contutore» del figlio Carl insieme alla moglie Johanna. Beethoven, letto il documento, gli aveva fatto modificare la formula, di modo che egli risultasse unico tutore del ragazzo. Prima di morire, però, Caspar Carl aveva ancora apportato una modifica al suo testamento, aggiungendo la seguente annotazione: «Avendo appreso che mio fratello, Ludwig van Beethoven, desidera dopo la mia morte occuparsi totalmente da solo di mio figlio Carl e sottrarlo completamente al controllo e alle cure di sua madre, e in considerazione del fatto che fra mio fratello e mia moglie non regna una perfetta armonia, ho ritenuto necessario aggiungere al mio testamento che in alcun modo io desidero che mio figlio sia sottratto alla madre, ma piuttosto che egli rimanga sempre e nei limiti che gli saranno concessi dagli avvenimenti futuri della sua vita, con sua madre e a tale scopo la tutela su di lui dovrà essere esercitata sia da lei stessa che da mio fratello … per il bene di mio figlio raccomando a mia moglie condiscendenza e a mio fratello più moderazione. Dio voglia che regni fra loro l’armonia, per amore della felicità di mio figlio. Questo è l’ultimo desiderio di un marito e un fratello morente».

Lultimo appello di Caspar Carl fu del tutto inutile. Certamente in Beethoven agiva il desiderio di poter fare da padre a Carl, a causa delle frustrazioni subite in passato sull’argomento, e così egli si sentì in dovere di ignorare le ultime volontà del fratello, facendo di tutto per escludere Johanna dalla tutela del figlio. I suoi rapporti passati con la cognata non erano stati dei migliori. Quando il fratello aveva deciso di sposarla Ludwig aveva cercato di opporsi al matrimonio e in seguito aveva costantemente osteggiato lunione fra i due. Ciò non toglie che egli riconoscesse a Johanna delle doti di saggia amministrazione del denaro, se garantì per lei presso Steiner per un prestito di millecinquecento fiorini. Non altrettanta stima aveva probabilmente in questo campo per Caspar Carl, al quale affidava comunque la gestione di alcuni suoi affari minori. Malgrado ciò Caspar Carl era stato sospettato di aver ottenuto in modo illecito del denaro sfruttando i suoi rapporti con gli editori delle musiche del fratello. Nel 1811 Caspar Carl aveva denunciato la moglie per furto e Johanna era stata processata e condannata ad un mese di arresti domiciliari. Il fatto sarebbe stato in seguito sfruttato da Beethoven per il conseguimento dei suoi scopi. Pochi giorni dopo la morte di Caspar Carl, il 22 novembre, il tribunale, nel rispetto delle sue ultime volontà, assegnava la tutela di Carl alla moglie e al fratello congiuntamente. Il 28, però, Beethoven chiese alla corte di modificare tale disposizione richiedendo per sé l’esclusiva tutela del nipote e dichiarando di potere addurre motivazioni sufficienti a giustificare un tale provvedimento. Facendo seguito a tale dichiarazione egli richiedeva, il 15 dicembre, che il tribunale prendesse in considerazione la condanna subita quattro anni prima da Johanna a causa della denuncia del marito, considerandola una prova evidente della mancanza di moralità della cognata. Vi erano, secondo Beethoven, sufficienti motivi per non tener conto del testamento di Caspar Carl ed il tribunale mostrò sostanzialmente di essere daccordo con lui quando, il 19 gennaio del 1816, lo nominò ufficialmente unico tutore del ragazzo. Qualche giorno dopo, il 2 febbraio, Carl dovette separarsi dalla madre per andare a frequentare come convittore l’istituto diretto da Cajetan Giannatasio del Rio. Ma per il musicista non era ancora abbastanza poiché, qualche tempo dopo, egli si rivolse di nuovo al tribunale chiedendo che fosse impedito a Johanna di vedere il figlio. I giudici deliberarono che gli incontri di Carl con la madre sarebbero avvenuti esclusivamente sotto il controllo di Beethoven o di un suo rappresentante. Si trattava di una clausola assai pesante per Johanna, poiché in questo modo si dava a Beethoven la possibilità di determinare il numero e la frequenza di tali incontri.

Così egli manifestava la sua soddisfazione ad Antoine Brentano qualche giorno dopo: «Ho combattuto una battaglia per togliere un bambino indifeso e infelice dalle grinfie di una madre indegna, e ho vinto. Te Deum laudamus». Il desiderio del musicista di voler fare da padre a Carl si manifesta in questa lettera del 13 maggio 1816 alla contessa Erdödy: «Mia degna, cara amica! Lei potrebbe forse credere, e con ragione, che il Suo ricordo sia stato in me cancellato. Ma è solo unapparenza: la morte di mio fratello mi ha dato un grande dolore ed anche grandi fatiche per salvare il mio caro nipote dalla sua corrotta madre. Sono riuscito a farlo ma fino ad ora non ho potuto fare niente di meglio per lui che sistemarlo in un istituto e quindi lontano da me. Che cosa può essere un istituto di fronte all’affetto senza limiti e alle cure di un padre per suo figlio? Tale infatti io mi considero, e cerco di pensare tutti i modi possibili per avere accanto questo mio prezioso tesoro, per potere esercitare su di lui uninfluenza più diretta ed efficace. Solo quanto è difficile ciò per me! … Da un mese e mezzo poi la mia salute è incerta, di modo che spesso penso alla morte, senza paura, è solo che lascerei troppo presto il mio povero Carl».

La determinazione con la quale il musicista operò per escludere Johanna da ogni tipo di rapporto con il figlio non può che stupire e trova una sia pur parziale giustificazione nella convinzione, in buona parte infondata, che la donna potesse apportare un danno irrimediabile al ragazzo dal punto di vista della sua formazione morale, convinzione che appare chiaramente in alcuni passi del Diario. Il musicista la accuserà di essersi data alla prostituzione, affibbiandole lepiteto di Regina della notte, e di commettere ogni sorta di amoralità. Così, fra litigi continui e riappacificazioni momentanee, Beethoven vivrà gli ultimi anni della sua vita, dividendo il suo tempo fra limpossibile progetto di crearsi unartificiosa paternità e la composizione dei suoi ultimi capolavori.

 

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