Barbie – la recensione di plastica

Barbie, l’icona, la rappresentante di un mondo infantile e idealizzato, la bellezza da copertina.

Tutto questo scende in campo nel nuovo film Universal-Warner-Mattel, ma non solo. Grazie alla regista Greta Gerwig tutto assume toni meta-cinematografici. Si parte con una citazione poderosa di 2001 odissea nello spazio. Nel mondo delle bambole neonate da accudire arriva la bambola in cui immedesimarsi. Da qui l’esigenza di rappresentare tutte le diversità femminili. Professioni, desideri e amicizie. me che cosa ne è della figura maschile?

Ken, l’eterno amicone.

Nel mondo ideale delle bambine i maschi sono un complemento d’arredo. Barbiland è dove la paladina e le sue gemelle diverse vivono la propria vita perfetta e dove i diversi tipi di Ken subiscono una specie di glitterata discriminazione. Questo cambierà come una specie di emancipazione dai toni esagerati. A pensarci bene sembra un po’ il percorso del femminismo al contrario. Quando si parte per una battaglia di diritti si rischia di esagerare e travolgere tutto.

Affari, madri figlie e tutto il resto.

Ma nella trama trovano posto argomenti molto variegati, alcuni a buon diritto, come il rapporto tra madri e figlie ed altri meno come la concorrenza tra Ken. In più troviamo la scarsa rappresentazione femminile nel CDA della Mattel, un mondo reale poco realistico e alcune battute sulla scarsa affidabilità fiscale della creatrice di Barbie. Cose che non sembrano così centrali da accalappiarsi così tanto spazio narrativo. infatti il problema che ci sembra avere il film è la presenza di così tante parentesi da far perdere il filo della trama principale. 

 

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