Balletti da smontare, La bella addormentata

Balletti da smontare, La bella addormentata
La bella addormentata dello svedese Mats Ek

La Bella addormentata di Marcus Morau, il balletto “smontato”

Bisogna dimenticare tutto ciò che sapevamo sulla fiaba della Bella addormentata, da Perrault ai Grimm, sul balletto di Ciaikovsky e Petipa, sui remake di Roland Petit, con la fata cattiva Zizi Jenamaire-soubrette in nero, e di Mats Ek, con le fate moderne vestite come caramelle, e dimenticare anche le teorie di Bruno Bettelheim, sulla natura profonda di antichi storytelling.

Anzi, meglio ricordarsi tutto, per capire cosa di tanto nuovo ha fatto Marcos Morau, invitato a “smontare il balletto” dalla compagnia dell’Opéra de Lyon, ora diretta da Julie Guilbert, ex Cullberg Ballet svedese, devota alla creazione contemporanea. Meglio non fermarsi neanche alle dichiarazioni di intenti del coreo-foto-regista, nato a Valencia nel 1982, dotato di un gran gusto per l’immagine plastica e incisiva, che si è meritato il successo di cui gode alla testa del suo gruppo, La Veronal, ma ha mostrato qui di saper lavorare anche “per conto terzi”.

Sonno, sogno, incubo, la Bella addormentata alternativa

Morau, non privandosi nel programma di sala di citare una scheggia di “cancel culture” in forza del metoo#, che vorrebbe la Bella subire nel sonno centenario un bacio imposto, nei fatti ragiona dei ruoli dei personaggi assegnati d’ufficio al campo del bene e del male, non così distinti nella vita, e si interroga sul sonno e sul risveglio: e se la Bella avesse dormito sempre, fin dalla nascita? E se non si fosse svegliata mai?

Quel che si vede in scena risponde alle domande: la partitura originale è smontata e rimontata, ripresa e lasciata, dalla maledizione di Carabosse all’adagio della rosa, al finale dolcissimo-trionfo dell’amore, con legami sonori elettronici di Juan Cristóbal Saavedra, per decostruire il racconto, che procede in orizzontale, con traversate della scena lievi, scandite con grazia e ironia, in cuffiette e crinoline bianche unisex ondeggianti, come campane, come tutù a corolla in pizzo, come gonne rotanti dei Sufi, per terminare in rincorse forsennate quasi fuggendo da una minaccia oscura, che spira da fuori scena.

Una modalità tipica di Morau, che usa anche gli spazi invisibili nelle sue regie.  Tutti/e guardano a qualcosa che incombe, una forza che spira dalle quinte, mentre la storia procede, con percorsi in avanti e a ritroso, rovesciando la dimensione del tempo – i famosi cent’anni della dormiente – con flussi dinamici crescenti. E procede fino a spogliare la scena, strappando le tende, le porte e il tappeto color carminio che la arredano. La musica dell’happy end non consola, ma pressa, allarmante.

Dal bianco al rosso

Intanto ognuno ha indossato sul bianco un dettaglio di colore rosso, un gilet, un giustacuore, una falda, per mostrare poi la lingerie e infine la nudità. Tutti/tutte sono cortigiani/e, balie, fate, madrine del parto di Aurora, tate che sembrano le ancelle, bianche e rosse, della serie tratta dal racconto di Margaret Atwood.

I/le 15 interpreti non hanno mai tregua, passandosi un fagotto-la Bella bebè, portando in braccio la Bella bambina-una bambola, palleggiandosi la Bella in età da marito. Re, Regina e Principe, riconoscibili nel turbine uniforme dei performer, fanno la loro parte, con sentimento, nell’ansia degli accadimenti.

Ci sono dolci abbracci e un bacio finale, quando la Belle-pupazzo ha ormai i capelli bianchi. Ma resta pur sempre la bimba adorata tra le braccia della mamma.

Facile immaginare che la vicenda si possa ripetere, ancora e ancora, moltiplicandosi, come in un loop incantato e senza vie d’uscita.

Danza di nozze

Nella coreografia, una ridda continua e precisa come un orologio nel suo farsi e disfarsi montando di tono, dall’oscillare ipnotico iniziale allo scorrere come su rotelle ai gesti spezzati di un galateo misterioso al freezing provocato dalla macchina del tempo-server che giganteggia sullo sfondo, fino alle traiettorie a perdifiato che concludono lo smontaggio della pièce e del palcoscenico, ridott all’osso, rivelando le strutture, compresa l’alta scala che mette a dura prova gli equilibri di chi sale e scende, in modo lento e cerimoniale, o a rotoloni, per la Bella che precipita. Che succede? Forse preparativi di nozze a contropelo, reggendo enormi mazzi di fiori e veli bianchi?

In questo folle vento, in questo caos ordinatissimo, con scatti furiosi in scarpe da tennis rosse, la danza è sempre sottintesa e sottesa, nel virtuosismo ritmico dell’azione, che si infiltra negli interstizi dello spazio e del tempo, per incorporare l’incubo della principessa Aurora.

Ed è bello che il pubblico si divida, tra buuu immediati dei contrariati dalla radicalità di Morau e applausi degli spettatori “contemporaneisti”, per tutti, autore, ballerini, décor-scatola, luci brumose o nitidissime, segno che l’operazione “uccidiamo” la Bella nel bosco addormentato, è riuscitissima, come la ripresa filmata da vedere su ARTE-tv.

 

Della stessa autrice: Danza di colore e politically correct

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ELISA GUZZO VACCARINO
Laureata in filosofia, ha insegnato storia ed estetica della danza in università italiane e straniere e alla scuola di ballo della Scala di Milano. Si occupa di danza per Quotidiano Nazionale, periodici e riviste specializzate, scrivendo anche libri. Collabora con la Biennale Danza di Venezia e il Premio Carla Fendi di Spoleto. È membro del Consiglio Superiore dello Spettacolo presso il Ministero dei Beni Culturali.