Danza black, la questione cruciale del momento è: coreografe e coreografie bianche con interpreti nere/neri per un pubblico bianco o a prevalenza bianca. Inaccettabile?
Danza black, il rapporto con quella occidentale
Quanto all’Europa, finalmente attenta a una danza politically correct, sono molti i casi che fanno discutere.
Il processo di incontro della donna bianca con l’Africa risale già a qualche decennio fa, quando era visto come frutto di azioni progressive.
La danza contemporanea africana, innestata nelle tradizioni, aveva incorporato i modi di quella occidentale; molto importante l’esperienza di danzatori-uomini coinvolti in produzioni di fonte europea a firma femminile.
Negli anni ‘90 la francese Mathilde Monnier realizzò Pour Antigone a Montpellier dopo un viaggio di lavoro nel Continente Nero.
La tedesca Susanne Linke firmò Le coq est mort all’Ècole des Sables presso Dakar diretta da Germaine Acogny, erede di Maurice Béjart.
La portoghese Clara Andermatt creò Uma história da Dúvida sul machismo a Capo Verde.
Quei performer africani, dopo queste esperienze, dettero vita a propri gruppi in Africa, come Serge Aimé Coulibaly del Burkina Faso (già interprete dei Ballets C. de la B. di Alain Platel in Belgio), autore nel 2016 del potente Kalakuta Republik ispirato alla vita di Fela Kuti.
Ricordiamo anche Salia Sanou e Seydou Boro, danzatori per Mathilde Monnier, che nel 2006 fondarono il Centre de Développement Chorégraphique La Termitière a Ouagadougou in Burkina Faso.
Donne bianche per danze nere
Ora però, soprattutto dopo che il Sacre du Printemps di Pina Bausch è stato rimontato con un cast tutto africano all’École des Sables toccando poi Londra, Spoleto, Parigi, con grande successo, la questione del neocolonialismo in danza è scoppiata con prepotenza: la cultura bianca resta quella universale?
L’Africa non ha riti suoi da portare in scena?
Come smarcarsi dall’Europa e dai suoi artisti, sia pure rivoluzionari come Pina Bausch?
Danza black, Lia Rodrigues e il Brasile
Ma anche in America Latina, in un Paese a forte presenza di popolazione nera, accade che Lia Rodrigues, già in Francia con Maguy Marin, operativa dal 2004 nella favela di Maré a Rio de Janeiro crei Encantado.
Lia guarda al culto dei morti ancestrale brasiliano e ai temi della deforestazione.
Presente anche la natura con i suoi spiriti delle rocce, degli alberi, degli animali, degli antenati.
Una sorta di rito di guarigione.
Al Festival Oriente Occidente di Rovereto, coproduttore della pièce, ha ospitato questo lavoro battagliero e magnifico, che smembra uno spesso tappeto di stoffe variopinte per farne costumi fantasiosamente tribali per un cast multicolor sul sound registrato alla manifestazione della minoranza Mbyá Guaraní nell’agosto 2021 a Brasilia.
https://www.youtube.com/watch?v=shlrrjr-2H8
Robyn Orlin, di famiglia ebrea russa migrata in Sud Africa, al Tanzforum Berlin, in Francia e a Roma Europa Festival ha portato il suo We wear our Wheels with Pride and Slap your Streets with Color…
Lo spettacolo è ispirato alla competizione dei guidatori neri di Bici Taxi di Durban.
Essi, pedalando in ciabatte, gareggiano nell’addobbare i loro veicoli con creatività effervescente.
Gli otto performer della compagnia, programmaticamente “non razziale”, entusiasmano per il loro orgoglioso amore della bellezza e della dignità.
Cristina Rizzo ha mostrato a Fabbrica Europa di Firenze il risultato di uno scambio con Cuba “blanquinegra”; un progetto nato con l’Associazione Hermanos Saìz , sostenuto da Cospe onlus, in collaborazione con il Centro Oscar Arnulfo Romero.
Si chiama Juntarte, cioè la cadena creativa que hace la escena inclusiva, guardando alla danza di strada e anche alle diversità nel contesto della comunità LGBTQ+, per sottolineare un’apertura culturale nuova nella Isla Grande.
Uomini neri per spettatori bianchi
A Torino Danza si è dato spazio ai coreografi maschi africani che rispondono alla chiamata con creazioni di nitido impatto sociale, sia pur sempre davanti a un pubblico bianco “benevolo”, curioso, progressista.
D’un rêve di Salia Sanou, coproduzione di Francia e Burkina Faso, un’indagine per quadri sulle questioni postcoloniali, usa i modi del musical e del pop come strumenti di riscatto.
Broken Chords del sudafricano Gregory Maqoma, con un quartetto di cantanti-performer neri su partitura vocale di Thuthuka Sibisi (già collaboratore di William Kentridge) eseguita dal vivo dal Torino Vocalensemble, compreso anche un Anthem di Henry Purcell, mescola agilmente benissimo Black e White.
Siguifin, Man Rec, Wo-Man/Point Zéro di Amala Dianor dal Senegal, con il sostegno della Francia e l’apporto di danzatori del Mali e del Burkina Faso, è un magnifico lavoro pluristilistico, dalla street dance alla decostruzione postclassica, autenticamente africano, che conquista la platea bianca, sedotta dalla qualità universale, onnicomprensiva, finalmente trovata nel cuore del Continente Nero.
Il panorama delle relazioni Europa-Mondo è in movimento, superando i pregiudizi e le catalogazioni del vecchio “pensiero semplice”, ma anche del “politically correct” e della “cancel culture” a tutti i costi, in nome del potere dell’arte.
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