Vincenzo Consolo, uno sguardo al “romanzo metaforico”

Vincenzo Consolo
Vincenzo Consolo

Sono passati 10 anni da quando Vincenzo Consolo ci ha lasciato per sempre. 

Il grande Pablo Picasso, un po’ arrogantemente, amava dire: “io non cerco, trovo”. Altri, invece, cercano per poter trovare. Vincenzo Consolo apparteneva a questa seconda categoria. Lui stesso affermava, a proposito delle parole usate, “non sono però parole inventate, ma reperite, ritrovate. Le trovo nella mia memoria, nel mio patrimonio linguistico, ma sono anche frutto di mie ricerche, di miei scavi storico-lessicali

Il “Gallo-Italico”

Possiamo dedurne che il suo scrivere non era solo una soddisfazione o un godimento del corpo o dello spirito ma anche un vero e proprio duro lavoro. La sua scrittura è in parte classica, ma mai letterariamente arcaica, anche se recupera, e questo è un suo primario carattere, più di cinquecento parole antiche. Tante ne conta il glossario pubblicato nella sua Opera completa. Parole prese non dal dialetto genericamente siciliano, ma da una lingua vera e propria: il “gallo-italico”, probabile lascito dell’invasione angioina del XII secolo, e che in parte si parla ancora oggi in alcuni borghi siciliani dei Peloritani e dei Nebrodi. 

Uno di questi è San Fratello, borgo molto amato da Vincenzo Consolo, dove meglio si è mantenuta questa eredità linguistico-storica. Un insediamento non molto lontano da Sant’Agata di Militello dove lo scrittore è nato e cresciuto. 

Vincenzo Consolo e la scrittura polifonica

In realtà Vincenzo Consolo non inventa rivoluzionari strumenti linguistici, ma fa sempre emergere il meglio dalle parole utilizzate. E questo produce una prosa nuova e fa registrare, a noi che la leggiamo, una seconda, formidabile caratteristica del suo linguaggio: una scrittura musicale, ritmica e polifonica. Sicuramente colta, originale, significativamente poetica, forte, intensa e polisensoriale.

Leonardo Sciascia, uno dei suoi fondamentali maestri, commentando la lettura del libro di Vincenzo Consolo Il sorriso dell’ignoto marinaio, non disse che era ben scritto, che sarebbe suonato scontato, ma scrisse che era ben costruito. 

Il romanzo metaforico

E in effetti tutti gli scritti di Vincenzo Consolo, che prima di tutto, come è ovvio, scriveva benissimo, erano il risultato di una “costruzione”. La sua narrazione riusciva ad assemblare testi che avevano una natura ed un significato molto diverso. Così facendo, lo scrittore non crea il romanzo come classicamente lo conosciamo, ma assembla ciò che Cesare Segre, nel suo profilo introduttivo all’Opera Completa, chiama “non-romanzo” o, come lui stesso definiva, “romanzo metaforico”. 

Ma se non è un romanzo non possiamo non porci la domanda su che cosa sia questo “non-romanzo”. La risposta potrebbe forse essere semplicemente: è un’opera d’arte, nel suo caso, letteraria. 

Le avanguardie

Nel secolo scorso è spesso avvenuto nella storia delle arti, raramente in letteratura, un fenomeno simile e gli storici lo hanno generalmente inquadrato sotto la voce avanguardia

Penso a Filippo Tommaso Marinetti, leader del movimento futurista e alle sue “parole in libertà”; a Kurt Schwitters e ai suoi collage-assemblage; penso a Tadeusz Kantor e al suo teatro; a Daniel Spoerri e ai suoi Tableaux-pièges; o a George Lucas e alla sua sagra di film Guerre Stellari e a molti altri ancora.

Cesare Segre scrive anche che Vincenzo Consolo è il miglior scrittore della sua generazione. Non sono mai stato interessato alle classifiche, ma con pudore e grande rispetto direi, e questo si può affermarlo, che è sicuramente uno scrittore di tipo nuovo nel campo della letteratura, sia a livello italiano che internazionale.

In Italia, paradossalmente, non è mai stato annoverato nelle file di ciò che abbiamo definito avanguardia. Ma egli è stato innegabilmente uno scrittore molto particolare. Quando negli anni Ottanta del secolo scorso, ho comprato il suo libro Il sorriso dell’ignoto marinaio pensavo di leggere un saggio sull’opera di Antonello da Messina. Ed in parte lo era, pur fedele a una scrittura da scrittore-romanziere (e che scrittore!, verrebbe da dire) e non da storico dell’arte. 

Il sorriso dell’ignoto marinaio di Vincenzo Consolo

Il barone di Mandralisca, al suo ritorno a Cefalù, osserva l’opera di Antonello da Messina ritrovata ed acquistata in una, oggi la chiamiamo farmacia, allora si chiamava “spiezzeria” di Lipari, e l’autore presenta la scena così: “… s’accostò al leggìo e, nel silenzio generale, tolse il panno che copriva il dipinto. Apparve la figura di un uomo a mezzobusto. Da un fondo verde cupo, notturno, di lunga notte di paura e incomprensione, balzava il viso luminoso […] L’uomo era in quella giusta età in cui la ragione, uscita salva dal naufragio della giovinezza, s’è fatta lama d’acciaio, che diverrà sempre più lucida e tagliente nell’uso ininterrotto […] Tutta l’espressione di quel volto era fissata, per sempre, nell’increspatura sottile, mobile, sfuggevole dell’ironia, velo sublime d’aspro pudore con cui gli esseri intelligenti scoprono la pietà […] Il personaggio fissava tutti negli occhi, in qualsiasi parte essi si trovavano, con i suoi occhi piccoli e puntuti, sorrideva ad ognuno di loro ironicamente, ed ognuno si sentì come a disagio…”. 

Un romanzo storico

Superba lettura di un piccolo grande capolavoro pittorico. Ma questo suo romanzo è anche molto di più: un romanzo storico. Ricostruisce, infatti, attraverso la figura del barone Enrico Pirajno di Mandralisca, fatti ed accadimenti reali di contesti regalandoci l’atmosfera che si respirava. Solo leggendo il suo libro finalmente so chi era veramente Enrico Pirajno, e chi erano le altre personalità pre-risorgimentali narrate nel suo libro come Salvatore Spinuzza, suo amico giustiziato dai borboni nel 1857. E ancora altre personalità come Carlo e Nicola Botta con i quali, in qualche modo, personalmente convivo ormai da cinquant’anni. Visitando le case dove vivevano e leggendo quotidianamente le targhe marmoree che ne ricordano la storia e il loro passaggio terreno in quel di Cefalù.

E questo suo non-romanzo è al contempo un’antologia di liriche perché ogni pagina è imbevuta di afflussi di parole che viaggiano per conto loro e che solo apparentemente nulla hanno a che fare con la logica del racconto. Superato un primo momento di sbalordimento, ci accorgiamo che questi passaggi non disturbano minimamente la lettura, anzi. 

 

Ho conosciuto Vincenzo Consolo a Milano dove tutti e due abitavamo. Gli ero quasi coetaneo e provengo dalla stessa area siciliana. Ma colpevolmente l’ho pochissimo frequentato, distratto com’ero dalle avanguardie ufficiali che in qualche modo, anche un po’ arbitrariamente, si erano auto proclamate tali. Ritornato più stabilmente in Sicilia ho cominciato a rileggere i suoi scritti ed anche degli altri autori siciliani del secolo scorso, ai quali vorrei dedicare il tempo che mi resta come lettore, ed anche nei limiti delle mie capacità, come promotore della loro conoscenza. 

 

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